giovedì, agosto 16, 2007

Quarta Serie, episodio pilota: ORE WA! AMON!




[nota: le parti in corsivo su Tetsuya sono di Magus "Tetsuya" Rex]


Il gigantesco ragno infila le sue zampe dentro l’ascensore, poco prima che le porte si chiudano. Le fa brancolare nel buio, cerca disperatamente di spalancare gli sportelli.
Ryo Asuka punta il fucile dritto contro la sua testa. La faccia rimane inespressiva mentre preme il grilletto.
È solo quando la testa del demone esplode, che sul suo volto compare un sorriso compiaciuto.


“Mi spiace, Akira. Ti ho donato un’eredità di paura”
Il ragazzo vicino a lui non replica nulla. Chiude gli occhi e cerca di ignorare il terrore.
“Perché io?”, chiede a voce molto bassa.
“Perché solo una persona con un animo come il tuo può farlo. Mi dispiace, credimi”
Di nuovo, il ragazzo sprofonda in silenzio.
“Io… io non so se posso farlo…”, mormora a voce bassissima, in modo che l’altro non senta.


L’ascensore arriva a destinazione. Si apre, su uno spiazzo davanti a un portone, con una maniglia antipanico.
Ryo afferra la maniglia e si rivolge all’amico, in piedi davanti a lui.
“Superata questa soglia non saremo più umani. Eppure, proprio per questo daremo all’umanità una possibilità in più di sopravvivere”
Tira la maniglia. “Sei pronto?”
Il ragazzo con lui, un ragazzo mingherlino, dall’aria terrorizzata, ancora vestito con la divisa scolastica, annuisce.
Ryo sorride.
“LASCIATE OGNI SPERANZA, O VOI CHE ENTRATE!!”





“Adesso questo è il mio corpo. Non c’è più bisogno di chiamarmi Jeeg, professore. Sono tornato Hiroshi Shiba”
Non c’è troppa felicità nel pronunciare queste parole. Significa che non c’è più bisogno di tenere la propria identità nascosta a Mayumi, perché Mayumi non c’è più.
Yumi guarda il ragazzo davanti a lui e annuisce gravemente. “Purtroppo, quel mostro che ci ha attaccati dall’interno della base, prima che voi scompariste, sembra averla uccisa. Come ha ucciso anche il povero dottor Heinrich. Solo Miwa è sopravvissuta a quello che è successo in quel laboratorio”
Hiroshi è l’unico a sapere che quel mostro, a differenza di quanto creduto da Yumi e dal resto della base, non ha ucciso sua sorella. Era lui, sua sorella, trasformata per curare Hiroshi infertagli da Sosuke Oshiba. Ferita che è stata rimarginata solo quando – con il corpo completamente controllato dai propri stessi nanoidi, senza la minima volontà di farlo – il giovane Shiba ha divorato ciò che era diventata la sorella, alimentandosi con le nanomacchine impiantate in lei.
“Dobbiamo uccidere Ryo Asuka”, dice risolutamente Hiroshi, voltandosi verso il professore, mentre questi lo sta accompagnando nella Sala di Controllo.
Prima ancora di una qualunque frase pronunciata dallo scienziato, che sembra star muovendo un’obiezione, Hiroshi aggiunge: “Dottore… non è un essere umano! Non lo è mai stato e potrebbe essere lui una delle cause di questa guerra… o di quella che verrà combattuta nel futuro. E non è tutto. Dobbiamo formattare ogni computer prima che…”
Poi si volta verso le telecamere di sorveglianza. “E’ meglio parlarne al sicuro”
“Hiroshi, sei al sicuro dentro la Fortezza come in nessun altro posto”
“NON CAPISCE! È una faccenda troppo lunga da spiegare…”
“Hiroshi – lo interrompe Yumi – calmati un attimo. Ci sono cose che non sai ancora. Qualunque cosa tu voglia fare a Ryo Asuka, ad esempio, non sarà più possibile perché… è… è scomparso”
Gli occhi di Hiroshi si spalancano dallo stupore.
“Scomparso?”
“È… credo sia difficile da spiegare senza che tu mi prenda per…”
“Professore. Dopo quello che è successo, diciamo che sono molto aperto di vedute”
“È come sbiadito. Quando il Fuji ha iniziato a eruttare una sorta di strana luce verde, il suo corpo è sbiadito e scomparso nel nulla. Sono ormai settimane”
Il corpo di Hiroshi si irrigidisce. “I-il Fuji… ha eruttato quella luce anche qui?”
E ancora prima che Yumi gli risponda: “Professore… quanto è passato da quando siamo scomparsi?”





“… almeno una decina di giorni”, dice Sakon a Sanshiro, mentre camminano per i corridoi del Drago Spaziale, assieme a Fuan Lee, anch’essi diretti alla Sala di Controllo per stabilire un contatto con la Fortezza delle Scienze.
“Quindi non deve mancare molto allo scontro con il Generale Nero”, mormora Sanshiro, cercando di riprendere conto del tempo passato.
“Meno di una settimana. Da quanto ne sappiamo, la Fortezza delle Scienze non ha grandi speranze di farcela. E se tu fossi l’unico a essere tornato, lo scontro si risolverebbe in un suicidio”
“Devo andare subito a vedere”, dice risolutamente Sanshiro, guardando dritto davanti a se’.
“Sanshiro – lo interrompe Fuan Lee – non dire stupidaggini! Hai bisogno di riposo. E inoltre… inoltre Grace era molto preoccupata per te. Non puoi andartene in questo modo senza averla nemmeno salutata”
Sanshiro ci pensa un attimo. Grace, di cui una volta era così innamorato e che, al tempo stesso, non l’ha mai ricambiato del tutto. Forse è stata Grace l’origine del bisogno disperato di entrare in una tale comunione col Gaiking.
Le porte della Sala di Controllo si aprono.
Forse…
Il ricordo di quello che è successo nel futuro gli invade di colpo la mente, portandogli via ogni altra preoccupazione.
“Sakon – dice voltandosi verso di lui – i soldati di Schwartz sono ancora accampati qui?”
Sakon scruta per diversi minuti la sua espressione, cercando di decifrarla.
“Sì… perché?”
“Non è successo nulla di strano?”
“No… dopo l’incidente prima che partiste, no”
Sanshiro resta un attimo in silenzio. “Indicami la cabina di Schwartz, per piacere”


E in quel momento che gli schermi della Sala si accendono, mostrando l’ultima comunicazione che i nostri si aspetterebbero di sentire.





...Tetsuya si pulisce le labbra, dopo aver ultimato la propria porzione di spezzatino. La sala della mensa è completamente vuota, fatta eccezione per Go e Kaori, impegnati in una partita a dama su un tavolo vicino. Una partita dalla quale, Tetsuya ne è sicuro, Go uscirà sconfitto come sempre. Ripone le posate nel piatto, quindi si alza per dirigersi verso la cucina portando le stoviglie sporche con se.
“Yatta!!!” urla di gioia Kaori, d’un tratto.
“Ahhhhhhh! Tre in un colpo! Non è possibile!!!” strilla di seguito Go, spazientito e deluso.
“E siamo tre partite a zero.” è il commento soddisfatto di Kaori che stringe in pugno l’ultima pedina mangiata, in segno di trionfo.
“Bambina infernale! Adesso ne facciamo un’altra! Così vedrai l’immenso potere di Go Ichimonji!” proclama Go, preparando in fretta e furia la scacchiera per una nuova partita.
“Mi spiace Go.” replica lei con tono da sufficienza, alzandosi dal tavolo “Ma adesso ho da fare.”
“Ahhhhhh! Solo un’altra, dai!” piagnucola Go, agitando caoticamente le braccia.
“E hai da fare anche tu, se non sbaglio.” sentenzia Kaori, mentre si avvia verso l’uscita.
“Ahhhh! Bambina infernale e saputella!” conclude Go, inscenando un broncio più adatto ad un bimbo.
Tetsuya sorride.
“Come sempre”, pensa.


“Go Ichimonji, lei è Maria”
“Carina!”, commenta Go, con un sorriso che gli arriva da un orecchio all’altro.
Maria fa un sorriso imbarazzato, anche perché la tuta di pilotaggio di Minerva X non aiuta ad avere una conversazione con un uomo in cui possa sentirsi a suo agio.
“Hai qualcosa per coprirla?”, chiede Tetsuya.
Go si scuote improvvisamente e la sua faccia si fa completamente rossa. “Certo, certo!” tartaglia, porgendole la giacca.
“Grazie”, fa Maria, sorridendo e facendo arrossire Go ancora di più.
Poi guarda Tetsuya e non può fare a meno di notare l’espressione che ha. Un’espressione che non ha mai visto sul dedito pilota del Great Mazinger. Felicità, pura e semplice.


L’espressione di chi è appena tornato a casa.


“Allora anche voi pilotate uno di quei cosi? Che roba sono? Il tuo sembra una sorta di Mazinger Z”
Go riempie Tetsuya di domande, via via che si inoltrano nel Kanto, verso Edo. A Maria fa specie sapere che non esista qualcuno a cui Tetsuya non si sia presentato come pilota del Great Mazinger. Deve aver tenuto molto ai suoi segreti nel periodo della sua permanenza a Edo, pensa.
“Il mio è il Great Mazinger… è una versione avanzata del Mazinger Z”
“Addirittura! Aaaah, che ti credi, un giorno anche io ne piloterò uno. Magari il robot rosso che ci ha salvato”
Tetsuya si incupisce leggermente. Non è il primo accenno al Getter Robo che viene fatto da Go: fin dal suo periodo di autoesilio tra i sopravvissuti di Edo, il ragazzo ha accennato a un gigantesco robot rosso che li ha aiutati nel lungo esodo dei profughi dalle città distrutte del Giappone. Un robot che ha distrutto dei mostri di Mikeros che li stavano attaccando.
Dopo aver visto il futuro in cui Go è un membro dell’Armata Getter, sotto il comando del cinico Hayato Jin, Tetsuya non è più così divertito dalle affermazioni del suo amico.
“Come vanno le cose a Edo?”, chiede per cambiare discorso.
“Bene… beh, in realtà continua ad arrivare un mucchio di gente e il capomastro non ha mai il cuore di cacciarli via. Per certi versi abbiamo parecchio aiuto in più, ma prima o poi dovremo fare i conti con le scorte che abbiamo”
Tetsuya annuisce, con un sorriso. Tipico del capomastro.
“E poi, un bel po’ di gente si è spaventata quando il Fuji ha iniziato a eruttare quella luce verde”, aggiunge Go, facendo ghiacciare Tetsuya e Maria.
“L’avete… l’avete visto anche voi?”, chiede Maria.
“Certo, credo che l’abbiano visto tutti nel raggio di miglia. E nessuno è in grado di capirci niente… speriamo che non sia un’altra arma di quei mostri bastardi”
“Speriamo…”, mormora Maria.





Rivedere Edo è una gioia e un motivo di turbamento, per Tetsuya.
I ricordi del suo primo arrivo nel villaggio, in seguito alla decisione di non pilotare mai più il Great Mazinger, si sovrappongono allo spettrale villaggio fantasma sterminato in massa dall’Armata del Mazinkaiser. Alternativamente, la gente che esce ed entra dal bunker, guardandolo con curiosità, dandogli da mangiare e da coprirsi, si mescola con le immagini di camere e camere vuote, piene solo delle Z tracciate a spray.
Un’Edo formicolante di vita e una sterilizzata, si contendono il diritto di esistere nella memoria di Tsurugi.
Tetsuya tenta di scacciare ambedue e di concentrarsi sul presente, dove un’unica persona sta di guardia al bunker. È completamente avvolto in una quantità enorme di stracci e panni sporchi, che ne tengono il viso nascosto. L’unica cosa che si riesce a scorgere sono gli occhi, scuri e profondi, cerchiati di nero.
Sta appoggiato a un muro, senza dire nulla.
Go gli fa un cenno. “Questi sono con me”
L’uomo annuisce, senza staccare per un momento lo sguardo dai due. Tetsuya lo ricambia, lievemente infastidito, quasi sfidato, prima di distoglierlo con un lieve senso di irritazione.
Poi prende Maria da parte. “Ti prego – sussurra – qui ci sono persone a cui tengo moltissimo. Non fare nulla che possa in qualche modo turbarli”
Confusa, la ragazza si limita ad annuire, decisamente stupita dall’aria preoccupata e protettiva che Tetsuya ha improvvisamente assunto.
L’uomo continua a fissare i due, aprendo lo sportello del bunker.
Quando Go e i piloti entrano nel complesso sotterraneo, li segue, chiudendosi lo sportello alle spalle.




Hiroshi si scontra con un muro di indifferenza. Quello che ha visto, il terribile avvento di suo padre nella forma del virus Shiba è un’eventualità che i professori della Base non tengono nemmeno in considerazione.
Yumi ha acconsentito a parlare con Hiroshi fuori dalla base, conscio del suo improvviso timore che verso alcuni degli strumenti di controllo interno della Fortezza possano essere usati da qualcuno o qualcosa.
Hiroshi, dal canto suo, cerca di sfoderare una pazienza che non ha.
“Quello che ho detto è vero! Siamo stati nel futuro. Ogni macchina, ogni meccanismo era controllato da mio padre, in forma di virus. È necessario formattare ogni computer della Fortezza. Potrebbe essersi già propagato dal computer centrale che abbiamo prelevato dalla Build Base!”
Yumi guarda per un attimo Umon, poi scuote la testa.
“Non è possibile, Hiroshi. La progettazione dei tuoi stessi componenti ne verrebbe estremamente rallentata. Buona parte dei disegni sono proprio su quei computer della Build Base”
“NON HA IMPORTANZA! Non capite il pericolo che rischiamo di correre?”
Come se non lo avesse sentito, Yumi continua il discorso. “… e inoltre non possiamo permetterci nemmeno per un attimo di dover annullare e riprogrammare tutti i computer che sovraintendono alla difesa della Fortezza. Il Generale Nero potrebbe attaccare da un momento all’altro, per quanto ne sappiamo”
Gli occhi di Hiroshi si stringono, nella frustrazione di non riuscire ad essere ascoltato.
Proprio mentre sta per ribattere, una comunicazione arriva a entrambi i dottori.
Yumi avvicina il comunicatore all’orecchio, per sentire la voce spaventata di uno degli assistenti.
“Professore… è meglio che veniate nella Sala di Controllo. C’è qualcosa che dovreste assolutamente vedere”


Quando i due dottori e Hiroshi entrano nella Sala di Controllo, gli schermi sono tutti accesi. Gli assistenti cercano di tenere il sangue freddo, continuando a prendere dati. Eppure, nessuno, per quanto lo sguardo sia incollato sulle tastiere, sugli schermi, sui tabulati pieni di dati e aggiornamenti, riesce a ignorare il volto del mostro che campeggia su ogni monitor, in diretta da Berlino.


“MI RIVOLGO A VOI, UMANI”, esordisce il Generale Rigarn, dell’Armata dei mostri mammiferi.


Yumi entra, mantenendo il sangue freddo e limitandosi (un gesto ormai abituale) ad aggiustarsi gli occhiali sul volto.
“Ti ascoltiamo. Cosa vuoi?”
Per un attimo, Hiroshi vede il volto umano del Generale Rigarn stringersi in una smorfia, sentendosi trattato senza il rispetto abituale che gli viene tributato da parte dei suoi sottoposti.
“Trattare. I miei soldati e io siamo disposti ad abbandonare il campo di battaglia. Ci ritireremo sotto terra, e rinunceremo allo sterminio degli esseri umani”
Nessuno riesce a trattenere un moto di sorpresa. Perfino Hiroshi aggrotta per un momento la fronte, decisamente perplesso e lascia correre lo sguardo agli altri, presenti nella sala. Sui volti del personale della base si disegna qualcosa a metà tra la sorpresa e la diffidenza. Dopo mesi e mesi di una guerra allucinante e durissima, nessuno concede un eccessivo credito alle parole degli invasori di Mikeros. Tuttavia, se ci fosse una minima speranza di fermare il bagno di sangue in cui tutti ormai stanno navigando, se ci fosse anche una sola possibilità di dar tregua a una lotta che ormai sembra solamente star consumando ognuna delle parti in causa…
“Cosa vuoi in cambio?”, chiede Yumi, tagliando corto.
Sul volto di Rigarn, reso più gigantesco dall’immagine presa in dettaglio sui monitor, compare un mezzo sorriso.
“Non è con te che intendo trattare, umano. C’è una donna nel vostro esercito. Una donna in grado di entrare nella mente degli altri”
Lo sguardo di Hiroshi si indurisce. “Maria”, sussurra a mezza voce.
“È con lei che tratteremo. Mandatela qui, nel nostro territorio. Nessuno le farà del male. Questo siamo disposti a giurarlo”
Per un lungo momento, la Sala di Controllo sprofonda nel più teso dei silenzi. Poi Yumi annuisce. “Gliene parleremo”





I passi risuonano veloci e nervosi per i corridoi del Drago Spaziale.
Lo sportello che apre l’intera area affidata ai piloti americani di Schwartz, si apre di colpo. Alcuni guerriglieri americani sono nei corridoi, a parlare, a riprendersi dall’ultima battaglia combattuta e a prepararsi alle nuove che arriveranno.
Non sembrano cambiati così tanto: cani da battaglia, con le facce sfregiate e un sorriso strafottente da chi sfida la morte.
Quando Sanshiro entra, il sorriso ha però un attimo di cedimento: nemmeno i più cattivi tra i soldati americani si lasciano andare alle solite battute e ai soliti sfottò. Quello che era il ragazzino giapponese che perdeva spesso la pazienza, sembra diventato un folle dallo sguardo cupo e spiritato, che attende solo di essere provocato per reagire in maniera terribile.
Un paio di soldati, appoggiati alla parete, si scostano senza dire nulla.
Altri smettono di parlare per qualche secondo, per poi riprendere a farlo con un tono tutt’altro che naturale.
Sanshiro cammina indifferente, fino alla cabina dello stesso Schwartz.
La sua voce, rivolta al piccolo citofono appena fuori dalla porta, è bassa e controllata. Per certi versi, non somiglia affatto alla voce di Sanshiro.


“Schwartz. Abbiamo bisogno di fare due chiacchiere”


Dopo qualche secondo, la porta si apre.


Schwartz è proprio davanti, seduto a una scrivania su cui sono stati sistemate mappe, cartine, appunti e piani da battaglia. Tiene i piedi sul tavolo e guarda davanti a sé con sfida, sogghignando.
“Non credo che abbiamo molto da dirci”
“Ti sbagli”, ribatte Sanshiro.
Si avvicina leggermente. “Ho visto cosa sei veramente. Ho visto cosa sei capace di fare. E soprattutto, ti ho già ammazzato una volta”
Schwartz corruga la fronte. Anche se il sorriso si fa più accentuato, è molto meno sicuro di prima.
“Che diavolo stai dicendo? Sei impazzito?”
Sanshiro adesso è a ridosso della scrivania. “Tutt’altro”
Gli occhi sono estremamente cupi. In qualche maniera, sono ritagliati nel buio come quelli del suo robot, del Gaiking, quando si accende nel buio del proprio hangar.
“Stai attento, Schwartz – mormora Sanshiro – stai attento”
Poi, prima che l’altro possa replicare qualcosa, se ne va, senza mai voltarsi indietro.


All’arrivo alla Fortezza, Sanshiro viene accolto caldamente, come Hiroshi, dagli scienziati. Davanti a Yumi e al suo staff, senza dire nulla, entra nella Sala Controllo, si slaccia il casco. Il suo volto sembra decisamente indurito: il giovane e spaccone ex asso del baseball è molto cambiato. Guarda con un’espressione decisamente aliena la Fortezza, quasi la vedesse per la prima volta. Gli occhi non sembrano riuscire a soffocare del tutto la furia che li animano… occhi di una macchina da guerra come il robot che pilota, non certo di un essere umano.
“Sono felice che sia tornato anche tu”, esordisce Yumi, stringendogli la mano.
Sanshiro annuisce, senza dire nulla.
“Hiroshi ha fatto ritorno alla base poche ore fa, e abbiamo ricevuto comunicazione da Tetsuya e Maria. Manca solo da trovare Koji, e finalmente potremo dire che almeno questo incubo è finito”
“Koji non tornerà”, replica Sanshiro, con voce asciutta.
Gli occhi di Yumi si spalancano. “Cosa?”





Un piccolo, indecifrabile sorriso compare sulle labbra di Sanshiro Tsuwabuki.
“Koji è morto, professore”
La sala intera per un momento si raggela, molto più di quando Rigarn è apparso in comunicazione per offrire la sua proposta di pace. Nessuno osa dire nulla. Gli assistenti guardano Yumi come se da lui dipendesse il dover dire a tutti i costi qualcosa, il dover rassicurarli.
Eppure, lo scienziato non riesce a dire o a fare nulla se non scuotere la testa. “Non è possibile”


“Vi hanno già descritto lo scenario, presumo. Quindi non ci sarà bisogno di aggiungere molto. Koji è stato ucciso dal suo doppio, a bordo del Mazinkaiser. Mazinger Z è esploso… non credo che nessuno avrebbe potuto sopravvivere al suo posto”, continua imperterrito Sanshiro, trattenendo una vena di compiacimento, mentre parla.
Per un momento, lo sguardo di Yumi si indurisce e si pianta su quello noncurante e crudele del pilota di Gaiking.
Prima che possa dire qualcosa, è Sanshiro che volta le spalle e fa per uscire.
“Ho bisogno di un po’ di riposo. Sono stati giorni piuttosto pesanti”
Il rumore della porta scorrevole è l’unico a graffiare la cappa di silenzio che è venuto a creare. Yumi rimane a guardare Sanshiro allentarsi, gli occhi fissi nel vuoto, il bisogno improvviso di sedersi.





Per Maria, il villaggio sotterraneo di Edo è un brulicare di corridoi, stanzoni enormi, facce, chiacchiericcio incessante, profughi in cerca di sistemazione, gente che ride e altra impegnata in qualche lavoro. Anche Tetsuya è inizialmente molto disorientato.
“Siete cresciuti parecchio”
“Aaah, hai visto? Ormai siamo importanti! Guarda, lì c’è qualcuno a cui farà parecchio piacere rivederti…”
Facendo cenno a Tetsuya di non dire nulla, Go lo guida fino a un tavolino isolato nella grande sala mensa, dov’è seduta una bambina. Poi, a tradimento, le copre gli occhi.
“Kaori, c’è una sorpresa!”
“Dai, smettila Go!”
“Guarda un po’ chi c’è…”
Toglie le mani proprio quando Tetsuya, sorridendo, è davanti a lei.
“TETSUYA!!!!”
La bambina fa per correre ad abbracciare il pilota, ed è solo allora che Maria si accorge del suo handicap. Kaori infatti ha una gamba amputata e sostituita con una rozza protesi di acciaio, fatta con mezzi di fortuna.
Tetsuya si volta immediatamente in direzione della ragazza.
“Maria, questa è la mia amica Kaori. Kaori, lei è Maria”
La bambina fissa la telepate, con un’aria un po’ riservata. Per un momento, a Maria viene in mente Ryu Takuma, lo stesso sguardo serio e adulto in un bambino di pochi anni.
“Piacere” dice Kaori, facendo poi un timido inchino.
“Piacere mio!”, risponde Maria.
“Kaori… sai dov’è il capomastro?”, li interrompe Tetsuya.
“Non puoi stare prima un po’ con noi?”
Tetsuya le fa una carezza sulla testa. “E’ molto importante che riesca a parlargli. Poi prometto che sarò qui”





Il professor Tonda è un ometto dimesso, che per nulla sembrerebbe il leader di una comunità di rifugiati. Eppure, quando Tetsuya entra nella sua stanza, una stanzetta del bunker piena di progetti mai realizzati, vecchi quadri, bozzetti di lavori in eterna via di completamento, il ricordo di una in particolare delle loro conversazioni è più forte che mai. Quando, unico ad aver intuito che Tsurugi pilotasse un robot gigante, il capovillaggio lo mise con le spalle al muro.


“Io non sono un'arma! Sono un essere umano! Ho diritto di scegliere se confrontarmi o meno con quel demone. E ho deciso di non farlo!” urla in preda a rabbia e risentimento Tsurugi.
Tonda resta in silenzio per qualche secondo.
“Lo trovo infantile...” sentenzia alla fine, lasciando Tsurugi sbigottito e ammutolito.
“Lo trovo davvero infantile.” continua il vecchio “Il tuo egocentrismo ti porta a vederti come l'unica vittima della tragedia che sta consumando l'intera umanità. Pensi davvero di esser l'unico a doversi confrontare con un demone?”
“Che...che intende dire, capomastro?”
“Quello che ho detto. La maggior parte degli abitanti di Edo si confronta con i propri demoni ogni santo giorno!”
Tetsuya, stordito, resta in silenzio.
“Forse nessuno te l'ha ancora raccontato. Ma il nucleo fondante di Edo, coloro che hanno intrapreso l'esodo e trovato il rifugio che ora è il nostro villaggio, sono fuggitivi del centro di detenzione di Kyoto. Esatto, la maggior parte di noi, esclusi coloro giunti in un secondo momento, sono quelli che un tempo, prima che tutto andasse a rotoli, erano definiti criminali. E alcuni della peggior specie...”
“Non è possibile...” balbetta Tetsuya.
“Ma è la verità.”
“Go...” domanda il pilota del Great.
Tonda sbuffa “Go era un teppista, ma di quelli violenti. Un lottatore da club clandestini. Uno dei migliori. Ma la sua rabbia è andata fuori controllo. Ha ucciso il suo avversario e inavvertitamente anche l'arbitro nel suo ultimo combattimento. Quando l'hanno sbattuto in cella, aveva ancora la bava alla bocca...”
“E lei, capomastro...”
“Io? Ammetto di non avere dei precedenti così spettacolari. Finii dentro per spionaggio industriale, quando avevo infilato il naso una volta di troppo nelle ricerche di Saotome. Ma oggi... oggi la reputo la giusta punizione per una brillante mente che si è sprecata nella costruzione tecnologie di distruzione, per avidità economica. Avrei potuto dedicarmi a qualcosa di migliore...”
Tetsuya è stordito dalle rivelazioni. Non riesce a credere che dietro il pacifico e spirituale approccio alla vita degli abitanti di Edo si nasconda tanta oscurità.
“Non Yuka, però...” azzarda poi.
“Anche Yuka ha la sua brutta storia da raccontare. Come molti qui a Edo. Ma nessuno di loro si è arreso. Il mondo era in fiamme e rovine. Sarebbe stato facile, farla finita allora. Ma abbiamo deciso di abbracciare la seconda possibilità che c'era stata data. E ora, lottiamo ogni dannato giorno con i nostri demoni. Con la paura di star ricostruendo quel mondo che ci aveva inflitto tante sofferenze. Noi, che più di tutti dovremmo essere sfiduciati dall'umanità, perchè ne conosciamo demoni e oscurità, sappiamo anche che, per quanto peccatori, siamo tutto ciò che resta. E andiamo avanti, confrontandoci ogni giorno col nostro oscuro passato. Col nostro demone.” spiega il vecchio.
“Ma lei non capisce. Non è la stessa cosa”
“Vai, allora, Tsurugi. Torna ad Edo e scopri se è alla fine così diverso. Scopri chi è l'umanità del giorno dopo.”


Ricordi del dialogo tra loro due.
Ricordi del funerale celebrato poco tempo dopo quella discussione. Tutto si fa decisamente troppo doloroso per essere rievocato.


“Bentornato, Tetsuya” dice Tonda, con un sorriso, alzandosi dalla sedia.
Tetsuya risponde al sorriso, porgendogli la mano. “Grazie mille, capovillaggio”


Per un momento, Tetsuya ha quasi l’impressione di non essersi mai mosso da lì. La presenza rassicurante di Tonda, l’atmosfera di casa che si respira tra i rifugiati… nulla è cambiato, a parte lo stesso approccio del pilota a tutto questo. Edo non è più un rifugio per fuggire dalla Fortezza delle Scienze. È qualcosa da difendere.
Proprio per un istinto naturale di difesa, Tetsuya non accenna subito alle incredibili circostanze che hanno portato lì lui e Maria. La gente del villaggio ha problemi troppo gravi per essere stordita da pesanti discorsi su passato, presente e futuro.
“Ora sarebbe troppo lungo spiegare il motivo per cui siamo tornati qui… e certe cose non sono chiare nemmeno a me. Mi sarei messo in comunicazione comunque con voi, però. State correndo un pericolo molto serio: tra pochi giorni, l’Armata Mazinger combatterà contro il Generale Nero di Mikeros, all’ultimo sangue”
L’espressione di Tonda si fa decisamente meravigliata. “Armata Mazinger. Altri robot a parte Mazinger Z e il tuo…”
“… il mio Great Mazinger – una ben visibile punta di orgoglio anima le parole di Tsurugi lasciando il capomastro con un’espressione stupita e divertita al tempo stesso - Sì. Capovillaggio, stiamo per terminare questa guerra. Una volta sconfitto il Generale Nero, terminare il suo esercito sarà molto meno problematico. Ma questo scontro sarà combattuto proprio qui, nel Kanto. Per voi sarebbe troppo pericoloso restare”


L’immagine di una mano gigante che stringe il corpo di una ragazza, per un momento si fa strada nella mente di Tetsuya. La scaccia immediatamente, anche se a fatica.
Tonda resta in silenzio per un po’, con un’espressione meditabonda.
“Tutti noi di Edo abbiamo dovuto ricostruire le nostre vite, partire da zero. Non sarà facile far accettare, e forse accettare io stesso, che è tempo di fare tabula rasa di nuovo”
“La capisco perfettamente, mi creda”
“Nonostante questo, lo scopo di tutti noi è sempre stato quello di vivere. Vivere. Tutto ciò che abbiamo costruito, può essere rimesso in piedi. Le nostre vite, no. Va bene, Tetsuya… convincerò gli altri a evacuare il villaggio finché sosterrete questo scontro, anche se temo che non ci siano molti posti sicuri, adesso”
L’espressione di Tetsuya si fa risoluta, mentre guarda Tonda dritto negli occhi. “Un posto c’è. Si chiama Fortezza delle Scienze, la base dell’Armata Mazinger. Al momento siamo alloggiati in Corea. Lì verreste ospitati e messi al sicuro, almeno finché il peggio non sarà passato. Potreste accompagnarmi fin lì e parlare al dottor Yumi, a capo della Base”
“Il villaggio ha bisogno di me, Tetsuya. Non posso abbandonarlo per troppo tempo”
“Non c’è da preoccuparsi. La velocità del Great Mazinger è sufficientemente alta da permetterle di andare e tornare nel giro di una giornata, al massimo”


Tonda non ci pensa troppo. Annuisce e si alza in piedi, porgendo la mano al pilota.
“Mi sembra ragionevole. Tetsuya… ti ringrazio per tutto quello che stai facendo per noi”
Il pilota del Great fa un largo sorriso. Poi, il suo sorriso vacilla e si spegne un po’.
“Ho solo un favore da chiederle prima di andare. Voglio salutarla”
“L’abbiamo seppellita nel campo poco distante dal bunker. Lo vedrai immediatamente, perché c’è un piccolo tempietto, dedicato a lei e a chi, come lei, ci ha lasciato da quando Edo è stata formata”
Il pilota fa un cenno con la testa. Poi si volta e fa per uscire.
È proprio sulla soglia che si blocca.
“Capovillaggio, un’ultima cosa”
“Dimmi”, dice lui.
“Chi è lo straniero che abbiamo incontrato all’entrata del villaggio? Quello a guardia del bunker?”
“E’ arrivato qui da poco. Ci dà una mano a procurarci del cibo e a cacciare e, ogni tanto, fa servizio di sorveglianza”
Tetsuya resta in silenzio. Uno strano presentimento, affatto rassicurante, gli oscura il volto. Poi si rivolge ancora a Tonda.
“Capisco. Ci vediamo più tardi per andare”





Pochi minuti dopo, Tetsuya è inginocchiato davanti a una lapide, in un piccolo tempietto costruito con canne di bamboo intrecciate, che reca i nomi di tutte le persone morte a Edo. Un brivido gli scende lungo la schiena quando ricorda in quali circostanze ha visto questa lapide la prima volta. Allora, le Z tracciate a spray sembravano ricoprire ogni muro. Per istinto, ben sapendo che non ne troverà una, lo sguardo del pilota saetta sui muri, cercandole.
Quando la sua attenzione torna sulla lapide, non prega. Ricorda.


“Non mi sento del tutto a mio agio però…” commenta, perplesso, guardando gli abiti che Yuka gli ha procurato. Pantaloni a campana azzurro-violaceo e una giacca di colore simile. Una sciarpa, a cingergli il collo.
“Bè…” replica Yuka, sorridendo “… effettivamente fanno un po’ anni settanta. Ma non ti stanno male. Anzi. E poi, almeno non ti tocca indossare queste stupide marinarette scolastiche!” conclude ridendo, ed indicando con un cenno gli abiti che veste, tradizionale divisa delle liceali giapponesi.
Tetsuya ride di rimando.“Mi son sempre chiesto perché alcune delle rifugiate vestissero abiti tanto…” commenta, interrompendosi pensieroso circa la scelta del termine più opportuno.
“Tanto?” lo incalza Yuka.
“Tanto scomodi. Ecco…”
“Scomodi, si.” concorda Yuka, con una punta di ironia nella voce “ Per non dire altro. Penso stimolino anche le fantasie sessuali dei più perversi qua dentro”
La voce della donna si marchia d’improvviso di un timbro cupo.
“Almeno, le stimolavano prima che tutto andasse in malora…” conclude, lo sguardo perso per un attimo nel vuoto.

Tetsuya resta perplesso, incapace di intuire a cosa la donna si riferisca.
“Ma la triste verità,” spiega Yuka, tornata al suo abituale tono gioviale “è che abbiamo scarsità di ricambi. Abbiamo dovuto arrangiarci con quello che abbiamo trovato qui, e il poco che alcuni rifugiati hanno portato con se.”
“E’ un po’ surreale…”
“Eccome! Sembriamo una manica di folli! E forse lo siamo, se la gente si porta dietro le divise scolastiche, durante un’apocalisse!” esclama lei, con un espressione misto di tragico e comico sul volto. “Però…” continua, sistemandosi meglio la camicia e la gonna con gesti veloci “ fa piacere sapere che la vecchia divisa mi dona ancora.”
Tetsuya la osserva pensieroso per qualche istante, mentre Yuka riprende a lavare piatti e posate. Doveva essere una bellissima ragazza, sino a qualche anno fa. Lunghi capelli neri le incorniciano un viso dai lineamenti delicati e quasi nobiliari. La divisa scolastica, per quanto ridicola nel contesto, mette in evidenza la prorompenza delle sue forme femminili. Il tutto animato da movenze eleganti e sensuali, persino durante un lavoro banale e noioso quale lavare piatti e pentoloni.
“Doveva essere una bellissima ragazza”, medita Tetsuya, attraversato da un’infatuazione momentanea.
Ma qualcosa l’ha segnata. Sottili ma marcate rughe scolpiscono ora il volto della donna. Cicatrici permanenti poste a segno di sofferenze passate. Ciocche di capelli bianchi, ne chiazzano la corta chioma, suture di dolori sconosciuti al ex-pilota del Great.


Il ricordo viene sostituito da quello di un gigantesco mostro delle armate di Rigarn che la tiene sollevata da terra. La stringe nelle mani mentre Tetsuya, sotto di lui, senza il Great Mazinger – abbandonato alla base – non può fare a meno che guardare.
Guardare, mentre il mostro stringe la mano e riduce tutto ciò che la sua amica è stata, è, e sarebbe potuta essere a un ammasso di carne sanguinolenta.


E ricorda la decisione di andarsene da Edo, di tornare alla Fortezza, proprio mentre gli altri combattevano la terribile battaglia di Berlino.
Tornare a combattere, perché quella morte gli aveva dato il senso di quello per cui lottare.
Lo sguardo si incupisce, mentre i pensieri di Tetsuya vanno all’imminente duello contro il Generale Nero.
“Per te, Yuka”


Maria si volta appena sulla lunga panca della grande sala da pranzo di Edo. Prende un’altra cucchiaiata di zuppa e poi fa un sorriso.
“Qualcosa di interessante?”, chiede dopo un po’, quando si accorge con quanta insistenza lo stia guardando l’uomo.
L’altro sorride. Un sorriso sinistro, che sembra piuttosto uno snudare le zanne.
“Voi. Non siete comuni esseri umani, vero?”
L’espressione irrigidita della ragazza apre un po’ di più il sorriso dell’altro. “Non devi nasconderti. Io lo sento. Lo sento benissimo”
La voce di Maria si fa lievemente più bassa. “Complimenti. Ottimo intuito. Questo dovrebbe significare che nemmeno tu sei un comune essere umano. Quindi, cosa sei?”


“Un cacciatore di demoni. Il mio nome è Amon”


Tetsuya non riesce a trattenere una strana sensazione, quando rivede Amon, seduto a parlare. Una sensazione sgradevole, suscitata dalla vista dello straniero.
Lo straniero si volta verso di lui, sorridendo, quasi che lo aspettasse.
Maria a sua volta si gira verso Tetsuya. Il pilota del Great Mazinger è in mezzo alla sala, pugni stretti, la stessa espressione dura di quando deve affrontare un mostro di Mikeros.
“C’è qualcosa di cui dovremmo parlare…”, dice Maria.
Tetsuya si siede, restando in silenzio.
Senza un solo preambolo, Amon inizia a raccontare.


“Vuoi dire che hai già avuto a che fare con quegli esseri?”, chiede Tetsuya, sedendosi in disparte insieme agli altri.
Amon guarda per un momento i due piloti. La pesante coltre di bende e stracci che nasconde il suo volto, rende difficile decifrarne l’espressione.
“Si chiamano demoni. Sono demoni, a tutti gli effetti. Voi come li avete conosciuti?”
Tetsya resta per un attimo indeciso su quanto convenga parlarne a uno sconosciuto. “Crediamo siano frutto delle radiazioni. Quelle causate dalle bombe che hanno lanciato anni fa”
Amon resta per un momento in silenzio. Poi, di colpo, scoppia a ridere.
“Non sapete nulla. I demoni esistono da molto tempo prima che gli umani nascessero”, sibila, sporgendosi verso i due.


“So che li avete incontrati. Appaiono come ibridi di molte creature diverse, fuse tra loro. Sono quasi sempre aggressivi, con un forte istinto predatore. E sono molto diversi dai mostri biomeccanici che hanno invaso il mondo, anche se potrebbero ricordarli”
Tetsuya resta a fissarlo, indeciso su quanto rivelargli di ciò che lui e gli altri dell’Armata sanno su quelle creature. “Cosa sai di loro?”
“Sono i primi abitanti del pianeta. Esistevano molto tempo prima degli esseri umani. Ed è solo grazie alla loro scomparsa con le glaciazioni, che il genere umano ha potuto diffondersi”
L’uomo resta per qualche secondo in silenzio. Poi, il suo sorriso ben poco rassicurante si riaffaccia sul volto. “Sono i predatori naturali degli uomini”, sussurra.
Tetsuya scuote la testa e anche Maria sembra perplessa. La loro esperienza dei cosiddetti demoni è molto diversa: ibridi creati dagli esperimenti genetici della Human Alliance e dalla sovraesposizione ai Raggi G, poco più intelligenti di animali. Nulla di simile a tutto quello di cui lo straniero sta parlando. Eppure, la memoria di Tetsuya e di Maria va anche ai mostri incastrati nel ghiaccio, quelli di cui Duke Fleed – nel futuro – non si auspicava il risveglio.
“Come fai a sapere tutte queste cose?”
Il tono dell’uomo si fa decisamente più cupo. A sentirla bene, sembra quasi abbia cambiato voce, con un tono più profondo, gutturale.
“Li ho visti. C’ero. C’eravamo, prima che gli umani uscissero a guardare le stelle per la prima volta”



La conversazione viene interrotta dal comunicatore di Maria, che comincia a suonare incessantemente. Mentre Amon la guarda con un’aria tra il divertito e l’interrogativo, Maria si apparta in un angolo per ricevere la trasmissione.
“Hiroshi! Sei tornato… gli altri?”
Hiroshi sembra palesemente sollevato di risentirla. Avevano perso le tracce di lei e Tetsuya e, pur senza ammetterlo, molti avevano paura che non tutti ce l’avessero fatta a tornare dal futuro in cui i piloti dell’Armata Mazinger si sono trovati catapultati.
Ma Maria, per quanto sia sollevata di sapere al sicuro quasi tutti i membri dell’Armata, taglia subito i convenevoli con una domanda secca.


“Ryo Asuka è ancora lì?”


Lo sguardo di Amon, che non ha potuto (né voluto) fare a meno di ascoltare la conversazione, si pianta su di lei mentre pronuncia quel nome.
“Conosci Ryo?”
Stavolta è Tetsuya, lì accanto, a trattenere un moto di sorpresa e a guardare Maria senza parlare.
Hiroshi continua a parlare, al comunicatore. “… sembra essere scomparso: i medici dicono che è quasi… sbiadito, fino a scomparire nel nulla…”
“Ho capito – risponde freddamente Maria, che non sembra troppo meravigliata della faccenda – Devo lasciarti, Hiroshi. Mi rimetto in comunicazione io…”
“Aspetta! C’è un’altra cosa molto importante… te l’accenno, ma te ne parlerà meglio Yumi. Abbiamo ricevuto una strana richiesta da Rigarn. Dice che vuole trattare, ma è disposto a farlo solo con te”
Le labbra di Maria si piegano in un sorriso. “Nulla di sorprendente, credimi. Vi spiegherò tutto quando saremo arrivati”


“Come conosci Ryo Asuka?”, chiede poi, non appena chiusa la conversazione, con un tono improvvisamente molto più freddo ad Amon.
La risposta del ragazzo lascia entrambi, lei e Tetsuya, estremamente spiazzati, sulle prime.


“Era un mio compagno di classe al liceo. Prima che iniziasse tutto. Eravamo amici”


“Non prenderti gioco di noi”, mormora cupamente Tetsuya.
“Non lo sto facendo. È stato Ryo a insegnarmi tutto quello che so sui demoni. È stato lui a… coinvolgermi in questo”
“La prima volta che lo abbiamo trovato, aveva gambe e braccia amputate ed era utilizzato come un cane da uno dei nuovi capibanda del Kanto”, continua Maria, senza reagire di fronte al lieve spalancarsi degli occhi dell’altro.
“Slum King”, mormora Tetsuya a bassa voce.
“Sì – continua Maria – una donna della nostra base, Ran Asuka, ha riconosciuto Ryo come suo fratello… e le è stata vicino…”
“Impossibile – replica Amon, con un sorriso sprezzante – Questo lo so per certo: Ryo non ha mai avuto nessuna sorella”
Maria annuisce, per nulla sorpresa dalla rivelazione.
Il suo sguardo si vela di odio, rabbia.
“Posso aiutarvi. Siete militari?”
“Siamo i piloti dell’Armata Mazinger” replica Tetsuya, annuendo.
“Mazinger? Il giocattolo che combatteva contro Hell, giusto?”, ghigna l’altro.
Il volto di Tetsuya resta impassibile e gelido, mentre la bocca di Maria si piega in un minuscolo sorriso.
“Se vi state occupando anche voi dei demoni, posso aiutarvi. Dovrete portarmi alla vostra base… e lì parleremo”
Tetsuya annuisce senza pensarci due volte. “Va bene”, replica.
Maria lo guarda, decisamente stupita dalla velocità con cui Tsurugi ha preso una decisione che – normalmente – avrebbe valutato prendendosi molto più tempo.
Poi si guarda intorno, vede gli altri profughi attorno a lei, e capisce.
Tetsuya sta solo cercando di allontanare Amon da Edo.





La pelle cresce sul corpo di acciaio di Hiroshi.
La facilità con cui questo succede, per un momento, lo lascia completamente spiazzato. È solo un lieve formicolio, quello che avverte. Poi, davanti al suo specchio, vede l’acciaio venire riassorbito dalla pelle, o forse la pelle invadere l’acciaio. Difficile capirlo. La forma demoniaca della sua testa si riduce, i capelli e le sopracciglia – su cui prima aveva ancora un controllo peggiore – riprendono a riaffiorare folti e lunghi, come una volta.


Sorride, dando il bentornato all’Hiroshi Shiba di un tempo, scomparso in un conflitto in cui ha più volte dovuto fare i conti con il suo lato disumano. Poi apre un armadietto. Dentro, un vestito che non ha più indossato dai tempi in cui è stato prelevato dalla Build Base, per lasciare il posto a lunghi mantelli che coprissero le sue fattezze mostruose. È un vestito bianco, sfrangiato.


Immortale, gli ripete la voce di suo padre, nei ricordi che ha conservato dell’angosciante futuro da cui è appena tornato.
Eppure Hiroshi si gode questo momento di mortalità come poche altre cose al mondo.


I mormorii, non appena esce dalla sua cabina, non tardano a farsi sentire.
Per quanto la Fortezza delle Scienze sia enorme e ormai decisamente popolata, non può certo passare inosservato un uomo perfettamente identico allo scomparso Hiroshi Shiba, asso della Formula Uno.
Hiroshi vede gruppetti di persone che non gli staccano gli occhi di dosso, che si chiedono se davvero abbiano visto bene, che lo guardano – completamente dimentichi della situazione in cui si trovano tuttora – come si guarda una celebrità di cui hanno accidentalmente incrociato la strada.


Hiroshi, pur sorridendo, li ignora.
Decisamente, chi desidera incontrare è una persona in particolare. La trova in sala mensa, con la faccia piuttosto tesa e triste, mentre manda giù qualche boccone della cena.
“Sono tornato… Micci”
Miwa alza lo sguardo.
Sgrana gli occhi.
Hiroshi fa per porgerle una mano, ma è un gesto inutile perché, singhiozzando di gioia, la ragazza lo stringe in un abbraccio.





“Silen…”, mormora Amon, spalancando gli occhi.
Maria lo guarda, lievemente perplessa, mandando un’occhiata a Tetsuya. Il pilota del Great, per il momento non sembra dargli attenzione, impegnato com’è a mostrare a Tonda il suo robot.
“Vede? Questo è il Drill Pressare Punch che ha progettato. Ricorda che mi raccontava di aver avuto delle sovvenzioni per la sua progettazione?”
“Incredibile… non mi sarei mai aspettato...”
Tetsuya fa un sorriso compiaciuto. “In un certo senso è merito suo se mi sono cavato dai guai in battaglia molte volte…”
Amon intanto si avvicina a Minerva X, la guarda intensamente, ne studia la forma.
“Anche il volto è identico…”
“Il volto? – chiede Maria – cosa intendi dire?”
La figura intabarrata di Amon si volta lievemente dietro di sé, rivolgendosi alla pilotessa pur senza guardarla direttamente.
“Chi è il progettista di questo robot?”
I passi di Tetsuya – seguiti da quelli del professor Tonda – precedono di poco la risposta del pilota del Great Mazinger.


“Juzo Kabuto. La stessa mente dietro la nascita di Mazinger Z”


Con una mano, Amon fa per accarezzare la pelle di Lega Z dell’enorme robot davanti a lui.
“Fai attenzione”, dice Maria.
“Non mi succederà nulla”
Maria fa per aggiungere qualcosa, prima di venire distratta. Distratta da una percezione, qualcosa che sembra provenire da Minerva X, proprio nel momento in cui Amon la sta accarezzando. Un’emozione, che ha a che fare con la rabbia, ma che non si esaurisce proprio lì…
“L’hai sentito anche tu, vero?”, sogghigna Amon.
Poi, parlando a voce più alta: “Questo dottor Kabuto ha compiuto ricerche sull’Himalaya, prima di realizzare questo robot?”
“Himalaya?”
La voce di Tetsuya si fa tirata e preoccupata. Il ricordo di Duke Fleed e della sua corte di mostri proprio nelle profondità dell’Himalaya, non l’ha affatto abbandonato.
“Conosci anche Daisuke?”
Amon lo guarda con un’espressione perplessa. “Beh… prima della guerra, ne ho conosciuti parecchi con quel nome. Nessuno di troppo importante”


Il sole sembra far brillare la costa coreana in cui, scomparsa la minaccia di Angoras e dei suoi Chip Kamoi, la Fortezza delle Scienze si è ancorata. Dentro il Brian Condor, mentre il Great Mazinger si tuffa nelle nuvole seguito da Minerva X, Tonda non riesce a trattenere un moto di sorpresa.
Tetsuya fa un sorriso. “La guardi bene, capomastro… quella è la Fortezza delle Scienze. L’ultimo baluardo dell’umanità”
L’atterraggio dei due piloti, sul ponte, è accolto con gioia da tutti i membri della base, accorsi fuori. Con grande sorpresa di Tetsuya e Maria, perfino l’intrattabile Sayaka è salita sul ponte a salutarli. E, benché sia palese che la sua speranza sia rivedere anche Koji, per una volta non sembra voler fare nessun commento ostile nei confronti degli altri piloti.
Ci sono anche Yumi e Umon e, se il secondo mantiene la sua aria tranquilla, il primo ha gli occhi offuscati da una profonda tristezza.
Tetsuya, il primo ad accorgersene, si stacca dalla folla di persone che lo stanno circondando e si apparta con lui.
“Lo ritroveremo, professore. Non deve preoccuparsi”
Un sorriso amaro compare sulle labbra di Yumi, mentre si incammina insieme agli altri nella Sala Riunioni. “Sanshiro non sembra essere così ottimista”
“Koji è vivo – ripete con ostinazione Tetsuya – Sono pronto a giurarlo”
Yumi annuisce. “Grazie”, mormora poi, rivolto a Tsurugi, prima di aprire la porta scorrevole della sala.


Gli altri, Hiroshi e Sanshiro sono già dentro. Né Maria né Tetsuya sembrano particolarmente sorpresi nel vedere il primo in forma umana. Solo Maria nasconde un risolino nel vederlo bardato con il suo vecchio completo anni Settanta.
I nostri raccontano a uno sbalordito Yumi il resoconto di tutto ciò che è accaduto. Benché alcuni punti – come la follia di Koji sul Mazinkaiser – gli siano difficili da accettare, lo scienziato ascolta tutto, attentamente, mentre Umon trova conferma della teoria già esposta molto tempo prima, secondo cui Daisuke e Maria vengano da un altro tempo, più che da un altro spazio.
A sua volta, i due scienziati raccontano di come, sconfitto Angoras, la base Incredibile Power e la Fortezza abbiano collaborato per cacciare definitivamente i Chip Kamoi dalla Corea, e di come i due team di scienziati – quello coreano e quello giapponese – abbiano collaborato per creare il robot trasformabile Groizer X, a cui si deve buona parte della liberazione.
Anche Tetsuya e Maria apprendono, con una buona dose di apprensione, la notizia di quanto sia imminente lo scontro contro il Grande Generale Nero.
“In ogni caso – conclude Yumi, vedendo il misterioso Amon insieme agli altri piloti – ci sono molte cose di cui discutere. Stando a quanto dici, ti sei imbattuto in alcuni degli esseri mutati che infestano il Giappone”
“Non è esatto – risponde l’altro in tutta serietà – io sono il Generale Amon della Tribù demone. I miei simili mi conoscono come il Macellaio dell’Inferno”
L’intera sala resta in un silenzio impietrito.
Poi Sanshiro scoppia sguaiatamente a ridere, mentre Yumi rivolge al visitatore uno sguardo seriamente preoccupato.
“Forse avresti bisogno di riprenderti, prima che continuiamo a parlare…”
“Sapevo che avreste reagito in questo modo”
Amon si toglie gli stracci, restando a petto nudo. Due profonde cicatrici, rosse e incrostate di sangue, gli solcano le scapole.
Una paura sottile e ingiustificata si fa strada in tutti i presenti, poco a poco. È una paura istintiva, la paura della preda.
Maria sente un dolore fortissimo a tutti i muscoli del corpo, come se l’ospite Vegan vi si aggrappasse con furia.





Poi, dalla schiena di Amon spuntano due ali nere, membranose e con un’impressionante apertura.
“Questo è solo una parte della mia trasformazione”
“N-non è possibile”, mormora Yumi, a occhi spalancati.
Le ali circondano il corpo di Amon, quasi a proteggerlo. Parte dei suoi muscoli facciali ogni tanto si irrigidisce, si contrae, come se qualcosa dentro stesse lottando per prenderne il possesso.
“Sei… sei come infestato?”, chiede Maria, convinta che quello che si agita dentro il corpo del ragazzo non sia molto diverso dal suo parassita.
“No. Ho… ho il corpo di un demone. Ryo mi ha aiutato, in questo, quando mi facevo chiamare Akira. Akira Fudo”
“Quindi… sei una sorta di Devilman? – chiede Tetsuya – sono state le radiazioni a farti questo?”
“No. Ryo organizzò una sorta di sabba, chiamando alcuni sbandati e chiudendoli in uno stanzone in cui farli ballare, ubriacarsi e perdere il controllo…Poi ne uccise alcuni. Il sangue ha richiamato il demonio sulla nostra riunione… i demoni hanno iniziato a prendere possesso di tutti quelli che erano lì… salvo… salvo me… perché l’ho in qualche modo… sottomesso”
L’espressione dimessa negli occhi di Akira, non convince nessuno riguardo la verità delle sue parole. Per quanto a sua volta un demone creato dalla scienza, lo stesso Hiroshi guarda profondamente colpito l’essere davanti a lui.
“L’ultima volta che abbiamo visto Ryo Asuka – lo interrompe Maria, evitando di specificare che questo è accaduto nel futuro – non era più un essere umano. Era una sorta di angelo, una creatura di luce con dodici ali… ma quello che faceva non aveva nulla di angelico”
“Allora forse ha funzionato. Forse anche Ryo è diventato un devilman. All’inizio pensavamo che nessun demone avesse cercato di fondersi in lui. In ogni caso ho bisogno di trovarlo”
“Oh – risponde Maria freddamente – Anche noi vogliamo trovarlo. Io specialmente”
Yumi la interrompe. “Ti prego, Akira. Dicci quello che sai sui demoni”
“AMON! – ruggisce l’altro – IL MIO NOME E’ AMON!”
Il corpo del ragazzo si trasforma ulteriormente. I muscoli si gonfiano sotto al corpo. I vestiti si strappano in mille pezzi, mentre la bocca si spalanca in una tagliola di zanne acuminate e mostruose. La testa si deforma e placche chitinose compaiono sugli avambracci e la zona del pube, ricoprendoli completamente. Una lunga coda appuntita striscia per terra. La pelle diventa violacea.


Davanti a loro, il demonio.
Tra tutti, Hiroshi guarda l’essere con il fiato mozzo. La sua forma non è troppo distante da quella che assume lui, nel suo corpo di cyborg.


Tetsuya guarda il professore, dandogli silenziosamente cenno d’essere pronto a intervenire.
“Va bene, Amon”, risponde Yumi, con tutta la tranquillità che riesce a simulare.
Il mostro si piega verso lo scienziato, sentendone tutta la paura e sorridendo. “Potete continuare a farmi domande, se volete”
“Se esistono esseri come te – chiede Yumi, cercando disperatamente di mostrarsi padrone della situazione – come mai non ne sono mai state trovate tracce da nessuna parte?”
La voce del demone è bassa e profonda, una sorta di ringhiare articolato.
“Sono state le glaciazioni a distruggerci. Siamo stati imprigionati nel ghiaccio millenni fa. Imprigionati ma non morti. Centinaia di creature come me sono pronte a risvegliarsi… e da qualche tempo a questa parte, lo stanno facendo, sempre di più… Ryo diceva che la maggior parte di loro è sepolta sotto l’Himalaya”
Di nuovo, gli sguardi dei reduci del futuro sono più che eloquenti. Il ricordo dei mostri custoditi da Duke Fleed e dal suo esercito, è più che vivido.
“Anche i Mikeros dicono di essere stati risvegliati da un sonno di millenni. Forse c’è qualche collegamento”, osserva Hiroshi.
Lo sguardo del demone scocca verso di lui. “Loro non c’entrano niente”
Maria, in disparte, annuisce. Come se sapesse dell’argomento molto più del resto dei piloti, approva silenziosamente le parole dell’uomo diavolo.
“Ho combattuto alcuni dei mostri di cui parlate – prosegue Amon – sono simili a noi solo in superficie”
Il mostro resta a riflettere per qualche istante e poi, di nuovo, si rivolge a Yumi.
“Posso aiutarvi contro di loro, se volete”
Lo scienziato non fa trapelare la minima emozione dal volto. “In cambio di cosa?”
“Risposte. E sembra che Ryo Asuka ora ne abbia a sufficienza per entrambi”
“Ryo Asuka è mio”, sibila Maria. Amon si volta verso di lei, non appena pronuncia queste parole, con un ghigno divertito.


Yumi resta meditabondo di fronte alla proposta di Amon. Per alcuni minuti, nessuno dei presenti dice una parola.
Tetsuya, che continua a guardare quello strano ospite con palese sospetto e ostilità.
Sanshiro che, senza nemmeno ammetterlo a se stesso, sente in quella creatura un’inquietante affinità.
Hiroshi, che sembra invece bendisposto ad accettare ogni aiuto all’Armata, in un momento simile.
E Maria, che per il momento sembra preoccupata da diversi altri problemi, anche se in qualche modo incuriosita.
È Yumi, alla fine, a spezzare il silenzio.
“Grazie per le informazioni e la collaborazione. Ora però devo chiederti di lasciare questa sala. Dobbiamo parlare di cose piuttosto importanti per la nostra armata”
Il ghigno demoniaco di Amon si allarga, per un momento. Un momento in cui tutti sentono pericoloso l’atto stesso del respirare.
“Chiedimelo per piacere”, ringhia il demone.
I lineamenti di Yumi si irrigidiscono dalla paura. Una vena sulla sua fronte sembra porsi in particolare rilievo.
“No. Te lo ordinerò civilmente, come faccio coi miei piloti. Ma sono il capo di questa base e, se resterai qui, dovrai tenerlo presente. E questo è un ordine”
Il muso del mostro si colora di un ringhio che è qualcosa di indefinibile tra una smorfia di rabbia e un sorriso compiaciuto.
“Va bene”, dice Akira, ritrasformatosi improvvisamente nella sua forma umana. “Avvisatemi se ci sono delle novità”
Le porte dietro di lui si chiudono di colpo.


“Professore… si fida di lui?”, chiede immediatamente Tetsuya.
“No. Ma per il momento qualunque aiuto può farci comodo. E anche noi stiamo cercando Ryo Asuka, dopotutto. Stando a quello che dite, potrebbe avere un ruolo affatto marginale, nei prossimi eventi”
Maria annuisce, mentre un’ombra di rabbia le vela il volto, al ricordo dell’ultima conversazione con il misterioso Asuka.
Tetsuya si rivolge ancora a Yumi.
“Crede che sia vero, quello che dice sui demoni? È palesemente in contrasto con quanto abbiamo visto noi alla Human Alliance”
Yumi scuote la testa. “Penso sia anche lui una sorta di esperimento di laboratorio. Probabilmente lo choc lo ha portato a inventarsi questa strana storia…”
“Diceva di conoscere Minerva, però… o Silen, come la chiama lui”, mormora Maria.


Yumi rimane per qualche secondo in silenzio. Poi si rivolge a Maria. “Al momento ci sono altri problemi. C’è la proposta di Rigarn… credi ci sia una qualche spiegazione per cui abbia chiesto di parlare con te?”
Maria resta un attimo in silenzio.
È arrivato il momento che temeva. Quello di rivelare ai suoi compagni cos’ha scoperto nella grotta di Rigarn. Ciò che Duke Fleed, nel futuro, le aveva chiesto di non rivelare.
“Ho letto la mente di Rigarn, nel futuro. E ho visto delle immagini…”, comincia.





“Ho visto un paesaggio preistorico, con demoni simili a quelli che abbiamo incontrato alla Human Alliance. Poi ho visto una specie di sala di hangar. Alcuni ufficiali giapponesi ai piedi dei corpi giganteschi dei Generali di Mikeros… i Generali erano come i nostri robot, da spenti. Perché erano robot, niente più che le Machine Beast che abbiamo visto a Berlino, solo forse più potenti. Anche se in loro c’era già qualcosa di… ostile… demoniaco.
“Poi, i corpi degli ufficiali venivano fusi ai mostri meccanici. Urlavano di paura, di dolore, sotto lo sguardo freddo degli scienziati che continuavano a fissare la trasformazione.
“E alla fine… alla fine diventavano quello che stiamo combattendo adesso”


Sanshiro interrompe Maria, con uno sbuffo che è qualcosa di simile a una risata.
“Vuoi dire che i Generali di Mikeros sono stati creati dagli esseri umani? Ma a che scopo?”
Tetsuya ripete a mezza voce una domanda che il dottor Kabuto gli rivolse poco dopo la formazione dell’Armata Mazinger. Una domanda che non ha mai completamente dimenticato.
“Se sono creature imprigionate in un sonno millenario… perché i loro nomi a volte sembrano una storpiatura dell’inglese? Perché riprendono nomi della cultura a loro posteriore… come Giulio Cesare?”
“Prima del suo attacco kamikaze – riprende Maria – Ran mi scrisse una lettera… e un passaggio mi rimase impresso. Citava i nomi di alcuni Generali di Mikeros che avevamo incontrato, come Birdler. Ma ne citava anche altri che non avevamo mai visto, come Yuri Caesar e che non abbiamo tuttora fronteggiato, Hardias. Come faceva a conoscere quei nomi? Quando lei, professore, ci ha letto quei nomi dagli appunti di Juzo Kabuto, credevo fossimo i soli a conoscerli”
“Infatti è così”, replica Yumi, completamente atterrito dalla rivelazione. “Ma Sanshiro ha ragione… perché crearli?”
“Per i Vegan – dice Maria – Sono sicura che la Human Alliance, o forse Juzo Kabuto stesso abbiano creato i Mikeros in previsione dell’invasione dei Vegan”
“Questo non è possibile! Juzo non avrebbe mai fatto nulla di così mostruoso!”, replica Yumi.
Maria scuote la testa. “Non ne sarei così sicura. Sono anzi abbastanza certa che i Mikeros siano stati i predecessori dei Mazinger. Sia come sia, stando al racconto di Rigarn, le armi Mikeros furono imprigionate in hangar sotterranei, in attesa di venire usate…”
Tetsuya annuisce, ripensando ai numerosi mostri Mikeros inattivi visti con Daisuke nell’Area 51.
“Qui, accade qualcosa che gli scienziati non avevano previsto. Sottoterra, i Mikeros non erano soli – prosegue Maria – Qualcuno… o qualcosa con enormi poteri mentali lentamente, giorno per giorno, riscrisse la loro memoria, sovrapponendovi quella di creature rimaste incastrate sottoterra a dormire per millenni. Chi sia stata questa… chiamiamola entità e perché l’abbia fatto, è un mistero anche per Rigarn. Fatto sta che, dopo questo, i Mikeros riemersero dalla terra, pretendendo un pianeta che spettava loro di diritto”
“Come la storia dei demoni raccontata da Amon”, mormora Yumi.
“Qualcuno con poteri mentali come Ryo Asuka? E perché l’avrebbe fatto?”, dice Hiroshi.
“Anche io avevo pensato all’inizio che fosse stato lui. Ma Ryo mi ha detto di non avere nulla a che vedere con ciò che è successo e, solo in questo, credo non avrebbe avuto motivo di mentirmi. Anche se i fatti hanno dimostrato che Asuka è tutto meno che un umano”
Poi Maria abbassa leggermente la testa. Aspetta di avere l'attenzione di tutti e continua.
"Non è questa la cosa grave. Parte dei ricordi di Rigarn sono molto simili allo scenario preistorico che ha descritto Amon. Ho come l'idea che uomini e macchine non siano che i due terzi della fusione che ha generato i Mikeros. E che il terzo mancante potrebbero essere quelli che chiama demoni"
Tetsuya la guarda per qualche istante. Poi aggiunge, meditabondo: "Forse, allora, se i Mikeros sono la prova generale dei Mazinger, anche i nostri robot potrebbero avere dentro qualcosa di simile. Forse i famosi Protocolli MZ che abbiamo cercato indicano proprio questo. Il fatto che i piloti si fonderanno al proprio robot e al demone che c'è dentro... magari in un modo più sottile di quanto non sia successo ai Mkeros"
"Stupidaggini...", sbuffa Sanshiro.
"Tu, fra tutti, dovresti sapere che non è una stupidaggine", risponde di rimando Tetsuya. Il pilota del Gaiking aggrotta la fronte, senza replicare.
"No - li interrompe Yumi - nemmeno io trovo un minimo di base credibile a un'ipotesi del genere. Ci stiamo facendo suggestionare e stiamo cadendo in una serie di superstizioni"
"Non era questo, ciò che diceva nel futuro", replica Tsurugi.
Sanshiro si alza sbuffando. “Sono tutti problemi che non ci riguardano. Erano umani? Sono sempre stati mostri? Vanno sterminati e basta, fine della questione”

Yumi interrompe la risposta che sta per dargli Maria con una nuova domanda.
“Questi sono tutte cose che però ti ha detto nel futuro. Ora come ora, Rigarn non può ricordarsi di tutto questo, e non può chiedere di parlare con te perché l’ha già fatto nell’epoca in cui siete rimasti imprigionati per qualche tempo”
“Si sbaglia, professore – dice Hiroshi – quel raggio di luce verde che è eruttato dal Fuji. Tutti noi l’abbiamo visto: noi nel futuro, voi nel presente… probabilmente anche nel passato è stato visto. Per un momento il tempo ha subito una compressione totale, per la potenza delle Radiazioni G. Forse, in seguito a quell’effetto, Rigarn si è in qualche modo ricordato di Maria… magari non nei particolari, ma quanto basta per considerarla affidabile”
“A ogni modo è Rigarn a non essere affidabile. Maria non deve accettare”
La voce risoluta del pilota del Great imbarazza per un momento la telepate. “Potrebbe essere la nostra unica occasione di avere un contatto con loro”
“Non abbiamo bisogno di un contatto. Entro breve decideremo le sorti di questa guerra scontrandoci col Generale Nero. Usano gli umani come materia prima… non si può trattare con loro!”
“Non è il caso di parlarne ora – li interrompe Yumi – Sarete sicuramente stanchi dopo tutto quello che avete passato e, per fortuna, possiamo ancora permetterci un minimo margine per valutare la situazione”
Tetsuya guarda Maria una volta ancora, risoluto a non farla partire.
La ragazza abbozza un sorriso, poi esce dalla stanza.


“Per me la fate troppo lunga – ripete Sanshiro, prima di andarsene – Ve l’ho detto: quando ci troveremo davanti, li ammazzeremo. Il discorso si chiude qui”





Verso sera, due figure sulla spiaggia si tengono per mano.
Avanzano verso il mare, con l’acqua fino alle ginocchia.
Lei tiene la mano di lui. La stringe quando lo sente fare un respiro troppo profondo e pesante per non nascondere delle lacrime.
Lui annuisce e, a sua volta, stringe la sua. Cerca di vincere i ricordi, il senso di colpa e la paura del domani.
Stringe un foglio tra le mani. Lo dispiega sull’acqua e lo guarda per l’ultima volta. È il disegno di una bambina, che ritrae Hiroshi, Miwa e lei. Il disegno che fece quando Maria giocando con lei, cercava di capire fino a che punto fosse avanzato il processo dei nanoidi nel corpo della bambina.
Il disegno che Hiroshi ha conservato in segreto e gelosamente in tutte le sue battaglie.


Il disegno, a pelo dell’acqua, viene trasportato verso l’orizzonte.


“Grazie di tutto, Mayumi”, mormora Hiroshi.
Si asciuga le lacrime, mentre Miwa, in silenzio, lo abbraccia.