martedì, settembre 23, 2008

45: La via del samurai è la morte

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“Sono Pete, devo parlarti”


La fredda voce del pilota dello Skylar non lascia molte alternative: il messaggio, secco e deciso, chiude la comunicazione. Sanshiro rimane nella sua cabina per qualche istante, prima di dirigersi agli hangar e raggiungere con Gaiking la sua vecchia base, il Drago Spaziale. La base che negli ultimi ha visto sempre più di rado, via via che le operazioni alla Fortezza delle Scienze lo hanno assorbito sempre di più.


Rivedere la base da combattimento, sorvolarla, fa nascere dei sentimenti contrastanti nel pilota. Da una parte, la cognizione di quanto tempo sia passato da quando erano schiavi di Mikeros e costretti, ricattati dai mostri, a tradire la stessa razza umana.
Dall’altra, c’è la totale indifferenza e mancanza di emozioni, al solo pensiero di cosa sia successo e cambiato in questo periodo di guerra totale. Per Sanshiro Tsuwabuki, solo una cosa ha avuto importanza tale da aver segnato la sua esistenza: la totale fusione di mente e spirito con Gaiking. Anche adesso che dai, visori della sua cabina di pilotaggio, ingrandisce l’immagine dello Skylar e del suo pilota con il casco sottobraccio, Sanshiro non riesce a vedere più a vedere Pete Richardson come l’eterno rivale di un tempo.
Adesso è come tutti gli altri. Un essere umano.
Solo un essere umano.


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“Sono qui, Peter”
Pete avanza verso di lui, la mascella contratta in un’espressione che – a malapena – riesce a nascondere una vena di disprezzo. Per molti secondi, i due piloti non riescono a fare altro che fronteggiarsi, con uno che non riesce a trovare le parole per cominciare e l’altro che lo scruta con una maschera di fredda indifferenza sul volto.
“Tutta quella gente… - mormora alla fine l’americano – tu sapevi chi erano, vero?”
“I miei cari. Quelli di Fuan Lee. Molto probabilmente anche i tuoi stessi parenti, Pete. Quindi?”, replica Sanshiro, come se la questione non avesse la minima importanza.
“TU LO SAPEVI!”, ringhia Richardson, trattenendo a stento il pugno.
Sanshiro annuisce. “Gli ostaggi del Generale Nero. Evidentemente non è più lui che comanda. Oppure ha deciso di disfarsene”
Richardson volta le spalle a Sanshiro. Per quanto, tra loro, la rivalità, la spacconeria, le sfide reciproche siano sempre state all’ordine del giorno, finora c’è sempre stato un muto e consensuale rispetto. Ora, per l’americano, quel rispetto è crollato miseramente.
Una consapevolezza che lo ferisce come mai avrebbe creduto.


“Potevi dircelo. Almeno avresti potuto dircelo”
“E per cosa? – replica il pilota del Gaiking con sarcasmo - Perché smetteste di combattere? Servite ancora molto a questa guerra”


Stavolta il pugno di Pete fa per schiantarsi contro la faccia dell’altro pilota. È con un’agilità che ha ben poco di naturale, che Sanshiro lo intercetta in tempo, bloccandolo nella propria stessa mano.
“Che razza di mostro sei diventato, Sanshiro?”, mormora Pete, senza riuscire a evitare nelle sue parole la stessa velenosa dose di rabbia e incredulità.
“Non devi preoccuparti, Pete. Mancano appena un paio di giorni allo scontro con il Generale Nero. Allora, tutto cambierà, tutto quanto”
La bocca si torce in un sorriso sinistro.
“Posso promettertelo”, sussurra, lasciando andare il pugno dell’altro.
Pete rimane per qualche momento a occhi sbarrati, a guardare Sanshiro, il bagliore oscuro nei suoi occhi che sembra il riflesso di quello – forse ancor più sinistro – nello sguardo del terribile e imponente robot sopra di loro.
“In una cosa hai ragione – ammette l’americano – Se qualcun altro dei nostri venisse a conoscenza di questa faccenda, il Drago Spaziale non combatterebbe più con la Fortezza. Non avrebbe più la minima ragione per fare nulla. Solo per questo motivo non dirò niente a nessuno e asseconderò le tue menzogne”
Sanshiro rimane senza dire nulla. Si limita a fissarlo, con un mezzo sorriso sul volto.
“Ma io so tutto e non ho la minima ragione per continuare – continua Pete – Non resterò a fianco di una persona che consideravo un amico, e che mi ha ingannato su ciò a cui tenevo di più”
“Per me puoi andartene dove vuoi”, replica Sanshiro, senza la minima traccia di emozione nella voce.
I due restano ancora a fissarsi, per un attivo di insostenibile gravità.
“Ho pietà di te, Sanshiro”
Sanshiro guarda Pete a bordo dello Skylar e accendere i motori. Non si vedranno mai più, di questo ne è sicuro. Mai più.
Eppure, ancora una frase gli sfugge di bocca, come se l’americano fosse ancora ad ascoltarlo.


“Cambierà tutto, Pete, vedrai. Dopo lo scontro con il Generale Nero, tutto sarà diverso”
Forse, nelle intenzioni di Sanshiro, vuole essere qualcosa di rassicurante. Ma mentre lì,a pronunciarla al ponte di decollo del Drago, con solo Gaiking a sentirla, suona molto più sinistra di una minaccia.


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“Quella che ho preso è un’iniziativa personale e mi piacerebbe discuterla con tutti voi”, esordisce alcune ore dopo Yumi, davanti a tutti i piloti riuniti come al solito nella sala tattica. Per quanto il ritmo delle emergenze e delle missioni si sia susseguito con un ritmo davvero impressionante, stavolta il clima che si respira è molto differente. Lo si legge negli occhi di Tetsuya, di Maria, di Hiroshi. Ma anche dei piloti che hanno combattuto meno battaglie degli altri e che, tuttavia, attendono da ormai due anni questo momento. Perfino Boss, Nuke e Moocha sembrano molto più seri del solito.
Perché questa è l’ultima riunione prima dello scontro decisivo contro il Grande Generale Nero.
Per alcuni sembra ieri, per altri (soprattutto quelli che si sono trovati scaraventati nel futuro) il tempo è passato interminabile. Eppure è trascorso appena un mese da quando, in seguito alla grande battaglia per la riconquista di Berlino, il Generale Nero ha lanciato la sua sfida.


Un mese, per celebrare i rispettivi caduti e per avere il tempo di sanare le proprie ferite.


Un mese prima dello scontro decisivo tra il campione più grande delle forze nemiche e l’Armata Mazinger.
“La sfida è stata lanciata a noi soltanto, alla Fortezza delle Scienze e al Drago Spaziale”, spiega Yumi, guardando negli occhi di ognuno dei suoi piloti. Per un attimo, si sofferma su quelli di Alcor, così simili allo sguardo di Koji Kabuto. Kabuto sarebbe fondamentale in un momento simile ma, purtroppo, la sua assenza non è un problema a cui si possa trovare rimedio, per ora.
“Per questo motivo – prosegue lo scienziato – mi sono sentito in dovere di tener fuori Saotome e quelli dello staff della base Kujira da questo scontro”
Il volto metallico di Hiroshi si torce in una smorfia. “Avrebbero potuto esserci utili, almeno per fare numero”
“Lo so – annuisce gravemente Yumi – eppure abbiamo visto più volte il modo di agire del Generale Nero: per quanto sia un nostro nemico, non ha mai infranto una promessa. Non voglio essere io a cominciare a farlo”
Tetsuya annuisce. Tra tutti quanti, è quello la cui etica di soldato fa meglio comprendere questa scelta.
“Anche gli americani erano con noi a Berlino e sono stati sfidati. Anche Daisuke”
“Daisuke non fa più parte dell’Armata Mazinger da quando ha deciso di tradirci tutti quanti”, lo interrompe Hiroshi.


Il clima si fa immediatamente più freddo. Umon, presente alla riunione, fuma nervosamente dalla sua pipa e distoglie lo sguardo, per nascondere il suo stato d’animo. Duke Fleed, colui che è stato recuperato dalla base Asama, manda uno sguardo in tralice a Maria.


- Puoi sentirmi?


Maria spalanca gli occhi per la sorpresa: non è la prima volta che qualcuno apre una comunicazione telepatica con lei e non il contrario; tuttavia, sia per l’eccezionalità della cosa, sia per le circostanze non sempre rilassate in cui si sono verificate circostanze analoghe, la ragazza non riesce a trattenere un moto di sorpresa.


Sì. Sì, ti sto ascoltando.
- Perché dicono che il Duke Fleed della vostra dimensione ha tradito? Cos’è successo?
- Sono… sono successe molte cose. E credo sia il caso parlarne dopo, perdonami.




“Actarus non tradirebbe nessuno!”, protesta Alcor, alzandosi in piedi.
“Beh, allora Actarus dev’essere molto differente da Daisuke, visto che lui l’ha fatto eccome”, ribatte ostinatamente Hiroshi.
Tetsuya rivolge uno sguardo gelido al pilota di Jeeg. “Io sono sicuro che sarà lì a combattere con noi. È stato l’unico ad aiutarci davvero nel futuro, e questo non posso dimenticarlo”


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Perso nella sua stessa oscurità, Daisuke, Duke Fleed, guarda meditabondo gli schermi di Yamatai No Orochi, puntati sulla piana del Kyushu.


“Stai sentendo il richiamo della battaglia, Principe?”
La voce di himika, suadente e vagamente beffarda, punge il buio tutt’intorno. Senza nemmeno voltarsi, Duke continua a studiare il campo di battaglia.
“Dobbiamo studiare un modo di schierare i soldati Jamatai. Voglio parlare con Amaso, Mimashi e Ikima”
“L’Impero Jamatai non parteciperà a questa battaglia”, sussurra Himika, sorridendo silenziosamente dell’irrigidirsi del Principe, per l’improvvisa sorpresa.
Si avvicina. Il buio si colora del frusciare della sua lunga veste immacolata. “Verremo per celebrare i caduti. Perché, comunque vadano le cose, nello scontro di domani cadranno degli eroi da commemorare”
Duke Fleed annuisce, meditabondo. “Io combatterò. Ho giurato, ai tempi in cui fu lanciata questa sfida. Se necessario, affronterò il Generale Nero da solo. Né con voi al fianco né con l’Armata Mazinger”
In un lungo momento di silenzio, il buio sembra addensarsi di nuovo sulle figure di entrambi, spezzato solo dall’intermittenza dei monitor della fortezza volante.
“Himika! – riprende Duke Fleed – Non mi hai dato nessuna delle risposte che avevi promesso”
“Gli indizi per capire cosa davvero sei, Principe, sono sempre stati alla tua portata. Sei tu che ancora rifiuti di vederli. Ma non temere: la comprensione arriverà. I rintocchi delle Campane di Bronzo scandiranno anche la tua strada. I miei insegnamenti non arrivano con le parole, Principe. Presto te ne accorgerai”
Duke Fleed si volta leggermente verso la demoniaca regina. “Domani ce ne andremo, io e Hikaru, su Grendizer. Comunque vada lo scontro, andremo via per sempre”
“Lo so”
I due restano a fissarsi, per un lungo momento.
“Ho un ultimo favore, Principe. Concedimelo, e giuro che lascerò in pace te e la tua umana”. Il tono di voce di Himika sembra cambiare. Diventare meno freddo, meno tagliente, e Duke Fleed non può fare a meno di chiedersi se non fosse quella, la voce che aveva la Regina Himiko prima di fondersi con il demone che ha cambiato per sempre la sua natura umana.
“Parla”.
La sacerdotessa Jamatai si avvicina al volto di Duke, al solito coperto dal casco. Mormora qualcosa, con una voce appena percettibile.


Duke resta in silenzio, per un istante che sembra non dover finire mai.


“Va bene”, dice poi.


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Una festa è quello che serve, per mantenere alto il morale di chi rimarrà e per rassicurare chi se ne andrà via.
La decisione, ampiamente caldeggiata da Tetsuya e dal dottor Tonda e approvata da Yumi è infatti la seguente: sacrificare il futuro della razza umana, coloro che la dovranno ripopolare, è stupido e inutile.
La morte è appannaggio dei soldati.
Così, i civili resteranno in Corea, a bordo della base Incredible Power, mentre il personale militare e parte di quello medico e scientifico continueranno la campagna di riconquista, affrontando lo scontro decisivo con il Grande Generale Nero. Il dado è tratto e ogni decisione è presa. Il modo migliore di suggellarla è proprio in un ultimo arrivederci.
Proprio come avrebbe voluto Koji Kabuto, il vero grande assente della poderosa battaglia che attenderà tutti l’indomani.


Il ponte della Fortezza è gremito di gente: i superstiti di Edo fanno conoscenza finalmente con quelli che hanno viaggiato sulla base mobile da quando l’umanità ha subìto lo scacco dell’Impero Mikeros.
Ognuno cerca di divertirsi, proprio come al tempo della festa organizzata da Koji e Cutey Honey, a Berlino. Ma né l’uno (disperso dopo il viaggio temporale dell’Armata) né l’altra (chissà dove, in missione segreta con Goda) sono presenti. E l’ombra dello scontro, la possibilità di non rivedere più i propri cari, non riesce ad allontanare l’ombra di un futuro ben poco rassicurante.


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Sono in pochi, però, a conoscenza dell’assenza di Koji. Per quasi tutta la Fortezza, Kabuto è tornato, con poca chiarezza sui suoi giorni d’assenza e con un carattere un po’ più ombroso. Ma è tornato insieme alla squadra incaricata di investigare alla Base Asama.


Alcor si muove a disagio, in mezzo a tutta la gente che lo abbraccia, che gli dimostra tutto il calore e la fiducia di cui ha goduto il pilota di Mazinger Z. Al pilota del Goldrake 2 sembra di ingannare tutta questa gente.
Ma è in effetti un inganno tutto ciò che gli si chiede.


Caricare i guerrieri prima dello scontro, quando si tratterà di trovarsi nel Kanto contro il Generale Nero. Motivarli. Ecco cosa ci si aspetta da lui, nel piano proposto da Tetsuya.
Ad Alcor tutto questo riesce difficile da capire: non si è mai ricordato dei mostri di Micene come degli avversari particolarmente ostici. Certo, molto meno dei Veghiani, che pure vengono nominati con un terrore che il pilota non giudica esagerato solo da quando ha visto che cosa siano davvero, in questa dimensione.
Il mondo in cui è precipitato, risucchiato dal Death Cross è brutto, ostile, sgradevole. È un mondo militarizzato, in cui tutto ciò per cui sembra valere la pena combattere – le persone, la pace – sembra perso irrimediabilmente. Un mondo in cui i pericoli vengono affrontati con una drammaticità che lui e il resto del team del Laboratorio di Ricerche Spaziali non hanno mai ritenuto necessario, salvo Actarus. Tutto quello che potrebbe Alcor per motivare queste persone è quello che ha imparato sui campi di battaglia: che non esistono pericoli insormontabili, che anche le situazioni più gravi si risolvono. E, del resto, se la sua squadra è riuscita ad aver ragione mille e mille volte sui mostri di Vega, cosa può fare questa Armata Mazinger?


Eppure, non riesce a ingannare tutta questa gente. Anche se è a fin di bene.
Così, quando un nutrito gruppo di persone arriva verso di lui (tutte persone che gli sono state presentate: Sayaka, Shiro, Boss Nuke e Moocha), felici per aver ritrovato un amico, un fratello, un fidanzato che credevano perduto, Alcor si chiede se per loro, almeno per rispetto a loro, non sia il caso evitare di fingere.


“Non sono Koji”
Le parole corrono più veloce di lui, quando li vede avvicinarsi. Boss (l’unico che Alcor conosceva anche nella sua dimensione di provenienza, il Capo) sgrana gli occhi, guardandolo strano.
Poi scoppia a ridere. “Ma certo! Non sei Koji, sei Mazinger!”, dice, facendo palesemente il verso alle pretese di Hiroshi e di Sanshiro nel farsi chiamare coi nomi dei robot da loro pilotati.
“No, davvero. Io… c’è un errore. Sono solo… solo qualcuno che gli assomiglia molto”
Sayaka rimane a lungo a guardarlo.
“Koji…?”
Alcor la guarda. Guarda i suoi occhi lucidi, gli occhi dell’unica persona che sta prendendo seriamente ognuna delle sue parole. Perché probabilmente il dottor Yumi le ha già accennato alla cosa. Ma, altrettanto probabilmente, Sayaka ha preferito negare con tutte le sue forze.
Anche lo sguardo di Shiro è fin troppo eloquente.
Alcor rimane lì, fermo, senza avere nemmeno più la forza di fissarli. Distoglie lo sguardo.
“Mi fai schifo, qualunque cosa tu sia”, ringhia Sayaka, prima di correre via nella sua stanza.

“Se voi morirete, verranno comunque a cercarci. Saremmo spacciati lo stesso”.
Il discorso, pronunciato da un ragazzino di pochi anni come Ryu, suona se possibile ancora più agghiacciante. In disparte, Maria è seduta accanto a lui e vede i Bambini Randagi liberati nel Kanto, proprio dove adesso dovranno dirigersi in quella che si prospetta essere la battaglia più dura di tutte quante. Sono così diversi dagli altri esseri umani che ha conosciuto, riflette: per quanto apparentemente anacronistici e fuori posto, una tribù formata da bambini più piccoli di Goro, sembrano gli unici a non avere nessuna paura, a prendere le cose come vengono. Forse perché si sono adattati alla morte.
“E’ proprio per questo che c’è bisogno di voi, Ryu – sussurra Maria – Voi sopravvivete, sopravvivete sempre. Avete imparato a non farvi salvare, a non dipendere da nessuno. Sarete voi i più adatti a guidare l’umanità”
“Noi?”
Maria annuisce. Parla al capo dei Bambini Randagi come parlerebbe a un adulto. E mentre parla scopre di riconoscersi in quei piccoli selvaggi: come loro, nemmeno lei ha vissuto troppo nel mondo pre-Mikeros, da rimpiangerlo come gli altri e da rimanere incatenata al suo ricordo.
“Se le cose vanno male, Ryu, dovrete insegnare agli altri a sopravvivere. Forse sì, vi verranno a cercare. Forse dovrete rimanere nascosti. Ma dovrete sopravvivere”
Il bambino resta per molto tempo in silenzio. Ora lui e Maria sembrano ritagliati fuori dalla festa, dagli altri che si sforzano di divertirsi e non pensare al domani. Ma è solo un’apparenza, bastano pochi sguardi per accorgersene: in realtà, tutti stanno pensando a cosa succederà dopo lo scontro contro il Generale Nero.
“Sì. Sì, va bene”, annuisce serissimo Ryu.
“E un’altra cosa Ryu…”.
Maria allunga una serie di quaderni al bambino, dopo averci pensato un po’. La voce si incrina leggermente per l’imbarazzo, nello spiegargli cosa sono. “Questi… qui ho… ho scritto tutto. Tutto quanto. Io… ecco, io te li affido. Me li ridarai quando ci rivedremo.”
Ryu rimane a guardarli, con un’espressione grave. Poi li prende.
“Se vuoi, puoi anche leggerli”, dice Maria.
“No – Ryu alza lo sguardo verso di lei, determinato, fiducioso – ti aspetteremo, invece. Io e gli altri. Quando tornerai”
Maria rimane per un istante a guardare il ragazzo. Poi lo abbraccia stretto, col corpo scosso da alcuni singhiozzi che non riesce a trattenersi.
“Quando tornerai”, ripete Ryu Takuma, tenendosi a lei.


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“Voglio venire anche io!”
Stringendo la mano alla piccola Kaori, la bambina che ha conosciuto nel villaggio di Edo, Tetsuya guarda Goro che serra i pugni in preda a un improvviso risentimento. Scuote la testa e, anche se la sua espressione non è dura quando deve far capire certe scelte agli altri piloti, è altrettanto irremovibile.
“Ci sarà anche Daisuke – insiste Goro – Non puoi impedirmi di rivederlo. E non puoi impedirmi di aiutarvi! Perché Shiro può rischiare la vita e io no?”
“Perché tu hai un compito più importante, Goro”, risponde Tetsuya. Gli prende la mano e la stringe su quella di Kaori. Sorride, sentendo gli sguardi di entrambi i bambini puntati su di lui.
“Goro lei é Kaori. Te l’affido, è una mia carissima amica. Saranno tempi molto difficili, quelli che arriveranno, sia che vinciamo o no contro il Generale Nero. Credi di riuscire a proteggerla?”
Gli occhi di Goro passano da un momento di smarrimento, nel momento in cui si puntano su quelli della sua coetanea. Kaori risponde con un sorriso un po’ imbarazzato dalle circostanze.
“Sì. Sì, certo”, risponde il ragazzo, con una luce molto più risoluta negli occhi.


Tetsuya fa un sorriso. Esattamente come Maria con Ryu, il tono che ha verso Goro è lo stesso che rivolgerebbe a un amico, un amico della sua stessa età. La guerra, la terribile guerra che ha devastato il mondo e ha imposto nuove responsabilità, nuovi ruoli, ha quasi azzerato le differenze tra adulti e bambini.
“Sapevo che non mi avresti deluso. Non preoccuparti per Daisuke. Vedrai che farà la scelta giusta”
“Ci ha tradito”, mormora il ragazzo, rabbuiandosi in volto.
“Era l’unica persona di cui potersi fidare mentre eravamo nel futuro. E ora è lui ad aver bisogno di fiducia, specie da suo fratello”
Di nuovo, senza pensarci troppo, Goro annuisce. Il suo volto si illumina in un sorriso, lo stesso sorriso sepolto da un anno e mezzo di conflitti e orrori.
La mano di kaori si stringe più saldamente alla sua.
“Buona fortuna. Buona fortuna a tutti voi”


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Una sola persona non sembra presente ai festeggiamenti. Ci sarà tempo, si dice, visto che l’unica persona di cui gli importi, di cui gli sia mai importato, lo seguirà col Big Shooter, nel pieno della battaglia.
Una festa per salutare persone con cui non ha alcun legame, non ha senso per Hiroshi Shiba.
Il cyborg è solo, nella sua stanza. A occhi spalancati, davanti al monitor del suo computer personale.
Il volto illuminato dalla gelida luce dello schermo, lo fa apparire artificiale, anche adesso che ha le sue sembianze umane. L’espressione, però, è fin troppo umana per lasciare il minimo spazio a qualche tipo di dubbio.
Facendosi coraggio, Hiroshi non ha detto a nessuno delle informazioni che ha prelevato dalla Base Asama, teatro della scorsa operazione. I dati recuperati di nascosto dai server della base, mentre Tetsuya e Sho esploravano il resto dello stabile, le lunghe ore passate a cercare di aggirare codici, password, protezioni.
Tutto fin troppo facile, quasi come se tutte quelle informazioni volessero farsi trovare. E, dopo le ultime cose che sono successe, la nozione di destino è entrata con sempre una maggiore violenza nel cuore d’acciaio di Jeeg. Con la mano tesa sulla tastiera, Hiroshi scava sempre più profondamente nel proprio passato, portando alla luce sempre nuovi pezzi.
Pezzi che forse sarebbe stato meglio dimenticare.


Una trascrizione telefonica, tra suo padre e un non ben specificato direttore. Il Direttore della Human Alliance?


Shiba – Conosco benissimo i propositi di Saotome: costruire un robot che sfrutti l’Energia Getter. Ma questo non ci porterà ad alcun tipo di progresso. È nell’uomo che devono venir fatte le sperimentazioni, è l’uomo che deve evolvere.
Direttore - Eppure non sembra che la sperimentazione sui soggetti umani abbia avuto i risultati sperati. Un uomo irradiato massicciamente dalle radiazioni B diventa al 20% delle probabilità un Devilbeast, o muore.
Shiba – questo è perché l’organismo umano non è pronto per sopportare un campo energetico di radiazione così massiccio. I raggi alieni ci hanno già fatto evolvere una volta. Un irradiamento diretto porterebbe a un’ennesima evoluzione non reversibile.
Direttore – non è l’evoluzione quello che cerchiamo?
Shiba – l’unica evoluzione possibile è quella che porta all’immortalità! Non a ritornare a essere bestie che possono perire per mano di bestie più feroci di loro.
Direttore – cosa propone?
Shiba – ho discusso col dottor Kabuto. Abbiamo convenuto che è nella fusione uomo-anima-macchina la chiave di tutto. Guardate il funzionamento dei demoni e degli infestati Vegan: ci sono enormi analogie. Entrambi possono cambiare forma e dimensioni, sviluppare armi naturali, essere perfette macchine per uccidere. Ma perdono una cosa estremamente importante.
Direttore – si spieghi, dottore.
Shiba – perdono la razionalità umana. Sono controllati da impulsi alieni o bestiali. La perfetta evoluzione deve permetterci di non perdere nulla, ma solo di guadagnare. L’organismo umano non è pronto ad accogliere i raggi Getter. Ma se fosse la macchina a evolvere dentro di noi e insieme a noi, i danni forse sarebbero ammortizzati. Saranno le macchine a evolvere, mutare dentro il corpo umano. Si legheranno al corpo, ma non sarà il corpo al centro dell’irradiamento.
Direttore – è il procedimento opposto a quello dei Mazinger, mi pare…
Shiba – Kabuto vuol sviluppare i Mazinger in modo che si verifichi una fusione tra l’anima del pilota e quella del robot. L'uomo che diventa un tutt'uno con la macchina. Io voglio che invece sia la macchina a fondersi all’uomo. La mente deve restare quella del pilota. Lui è DIO, l’unico vero DIO.
Direttore – in che modo vuole sviluppare questa idea?
Shiba – Abbiamo sintetizzato il metallo di una delle Campane di Bronzo e le abbiamo fuse ad alcune nanomacchine di mia progettazione. Verranno implementate in una cavia, e prolifereranno in esso. Allo scadere di un countdown molto lungo, riveleranno tutto il loro potere.
Direttore – sa bene che non abbiamo cavie da fornirle, in questo.
Shiba – Non ne ho bisogno.



Hiroshi controlla la data. 1981. Già da così tanto tempo si stava discutendo del suo destino?


Decide di guardarne un’altra. Due lettere, brevi lettere che lo lasciano – se mai fosse possibile – ancora più smarrito.


Una è archiviata come Documenti:


Ogni demone possiede una forma più piccola e una forma giga.


Anche il MIO demone avrà la sua forma gigante. Sfruttando alcune scoperte sull'energia magnetica che vi ho enunciato tempo fa, sono orgoglioso di poterle dire che parte del corpo gigante che ho progettato per Jeeg è ormai a buon punto. Il Dotaku Project si avvia a creare la prima vera divinità della storia, il suo demone artificiale.
Il robot gigante Jeeg non sarà una macchina pilotata da un uomo. Sarà la macchina E l'uomo, i cui arti saranno direttamente sotto il controllo nervoso del cervello.


Senjiro Shiba



L’altra, che lascia presagire cose ancor più tremende, porta come nome “Campana di Bronzo”. Hiroshi ha un attimo in cui è combattuto, in cui qualcosa gli fa pensare che forse sarebbe meglio nemmeno aprirlo, quel file.


Il suo passato, tutto quello che ha.
Improvvisamente, però, si chiede se sia così importante. Se valga così la pena, scoprire un passo alla volta di essere un mostro.


Lo apre.


Sono piuttosto sicuro di poter datare quelle rovine che abbiamo trovato in Sud America. Risalgono a un'epoca di gran lunga anteriore allo sviluppo dell'homo sapiens sulla terra, addirittura prima delle glaciazioni.


Come accennato, i resti dei palazzi presentano la stessa contaminazione che abbiamo rinvenuto sul soggetto "Duke Fleed" prelevato tramite Death Cross e sulla donna recuperata nel crash di Roswell. La contaminazione è estremamente intensa.
Abbiamo anche rinvenuto dei corpi umani. Sembrano appartenere a esemplari di homo sapiens per nulla dissimili a noi. Sono stati uccisi da un massiccio irradiamento e da bruciature di incredibile intensità. La mutazione più particolare che hanno subìto alcuni corpi é stata la completa mutazione delle cellule di tutto l'organismo in cloruro di sodio. Delle perfette statue di sale.


Un oggetto in particolare sembra essere irradiato molto più di altri: è una campana in tutto simile alle Dotaku funerarie giapponesi.
Crediamo sia collegata all'altra campana che abbiamo trovato in Giappone. A prima vista sembrano assolutamente identiche e costruite dall'uomo. Probabilmente è databile allo stesso periodo in cui è stata costruita anche la maschera di pietra e il robot gigante.


S. Shiba



“Padre…” mormora Hiroshi.
“Padre… maledetto bastardo”.

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Il microfono gracchia una voce roca, inconfondibile. Il tono è di chi abbia accettato la comunicazione più per una sfida che per altre ragioni.


“Sono il maggiore Schwartz. Vi ricevo”.


Nella sala tattica, Tetsuya guarda Yumi di sfuggita.
“Schwartz, sono Tetsuya Tsurugi. Stiamo approntando l’attacco definitivo contro il Generale Nero”
Il microfono resta silenzioso, ronzante.
“E allora?”


I piloti della Fortezza restano spiazzati. Rabbia sì, quella se la sarebbero aspettata, ma non un tale tono di indifferenza, verso uno scontro che potrebbe cambiare il destino della razza umana.
Sforzandosi di non scomporsi, Tetsuya aggiunge: “Abbiamo bisogno di supporto”.
Adesso, al silenzio si sovrappone una risata rauca. Una risata piena di disprezzo e di cieca, vuota disperazione. “E perché? Tra i vostri piloti ci sono mostri meccanici, alieni che potrebbero perdere il controllo da un momento all’altro e ucciderci tutti, altri che hanno vistosamente cambiato bandiera. Che differenza c’è tra voi e gli invasori?”
“Schwartz, capisco il tuo punto di vista, ma i nostri piloti si sono sacrificati più volte, ed è stato anche per salvaguardare voi”
“Tsurugi – lo interrompe di nuovo il maggiore americano – la questione è semplice: voi non rappresentate la razza umana. Non so se c’è mai stato un momento in cui lo avete fatto, ma adesso in voi c’è la stessa umanità di quelli che combattiamo. Il mio augurio è che moriate tutti, voi e gli altri mostri, e liberiate entrambi il mondo dalla vostra presenza. Passo e chiudo”


La comunicazione si interrompe, prima che Tetsuya, Yumi o chiunque altro abbia la possibilità di replicare.
“Era un tentativo che andava fatto comunque”, commenta amareggiato Yumi.


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“Non sei mio fratello”, dice Shiro, con un tono decisamente ostile.
Alcor annuisce.
Sono in disparte dalla festa, adesso. Il pilota del Goldrake 2 si mette vicino al ragazzo, sedendosi accanto a lui. “No, non lo sono”, dice con aria decisamente mesta.
Rimangono per un po’ in silenzio, Alcor con la certezza che Shiro se ne andrà senza aggiungere altro. Non è così. Il ragazzo lo guarda sempre con quell’aria cupa, delusa.
Alcor fa un lungo sospiro. “Per un po’ potremmo fare finta, se vuoi, però”
“Perché? A cosa servirebbe?”, è la risposta di Shiro.
Di nuovo, Alcor si prende una lunga pausa, scegliendo le parole accuratamente. “Non ho mai avuto un fratello, sai? E sicuramente, da quello che vedo, dovevi volere molto bene a Koji”
“Gliene volevo parecchio, sì”, risponde il ragazzo, facendosi scappare un singhiozzo.
“Vedrai che, qualunque cosa sia successa, se la caverà. Se è uno che mi assomiglia, deve avere una scorza dura”, commenta Alcor, con un sorriso.
Shiro ricaccia indietro le lacrime. “Sì… lo è. È il pilota del Mazinger Z e… e… è mio fratello”
Poi, finalmente, restituisce il sorriso.
“Beh, dicono che te la cavi bene a pilotare il… come lo chiamate, voi? Double Spacer? Se dovrò scendere in battaglia, credo lo farò col mio Goldrake 2, che è praticamente uguale, quindi… perché non mi dai un paio di dritte?”
Shiro si asciuga gli occhi.
Poi guarda Alcor.
E quando annuisce, il pilota del Goldrake 2 sa che magari non saranno fratelli, ma di sicuro ha guadagnato un amico.


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Le ultime jeep partono. Il sole, tinto di rosso, ricorda un Giappone ancora distante, ma non più così lontano come un tempo. Non come il giorno in cui risuonarono gli allarmi per la prima immersione, quella conseguente all’invasione Mikeros.
Pochi minuti e, sul ponte, la cupola inizia già a formarsi di nuovo. Le prime placche esagonali di energia.
Tetsuya e Jun guardano il tramonto. Il tramonto non di una sola giornata, ma di un intero periodo delle loro vite. Jun, in particolare, guarda l’orizzonte senza dire una parola. I muscoli del volto sono appena contratti, induriti.
La mano di Tetsuya, sulla spalla, la fa trasalire.


“Non devi aver paura. Ora non sei più da sola. Ora siamo in due, e non dovrai più affrontare da sola il Generale Nero. Siamo io e te. Siamo stati addestrati, per questo”


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Le labbra di Jun si piegano in uno strano sorriso. “Perdonami, ma adesso non ho voglia di pensare al nostro addestramento. E nemmeno alla guerra”.


Senza aggiungere altro, si allontana, percorrendo da sola il ponte di decollo, fino a tornare da sola dentro la Fortezza delle Scienze.
Tetsuya Tsurugi, l’indomito pilota del Great Mazinger, non riesce a fare altro che a seguirla con lo sguardo completamente meravigliato.


Uno scossone costringe tutti quanti a reggersi forte.
Come fosse un segnale convenuto, tutti quelli che sono rimasti sulla Fortezza delle Scienze si riversano fuori, sul ponte. Tutti quanti, piloti, personale medico, meccanici, scienziati, addetti alle comunicazioni.


Ognuno dei membri dell’Armata Mazinger respira a pieni polmoni l’ultima boccata di aria naturale. L’ultima boccata di pace, prima di un viaggio nel buio dei fondali marini e in quello – forse ancora più oscuro – dell’imminente battaglia. L’ultima boccata di pace che, proprio per questo, ha un retrogusto già di nostalgia e paura.


Come un cerchio che si chiude, i ricordi di ognuno vanno alla prima volta in cui la Fortezza si è inabissata.
Maria, Tetsuya, Jun. Paradossalmente, questi tre piloti, uniti tra loro da strani incroci di rapporti e di emozioni, sono quelli che meglio possono ricordarsi quei momenti. Non Hiroshi, ritrovato dopo l’anno di esilio sottomarino. Non Daisuke, che ora deve vedersela con un’oscurità più grande. Non Koji, ovunque egli sia, in questo momento.


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Per loro tre, l’inabissarsi porta ai ricordi di un’umanità distrutta, di un impero di mostri, di una fuga precipitosa. Di compagni che, per un motivo o per l’altro, adesso non ci sono più. I ricordi e l’augurio di farcela vanno a chi hanno lasciato, a chi stanno lasciando.
Al Direttore, Kenzo Kabuto, che più di ogni altro forse avrebbe dovuto assistere a questo scontro.
Alla piccola Lorelei, vittima di un destino infelice.
Al giovane Kurobe, sacrificatosi nella sua prima battaglia.
Alla dottoressa Asamiya – o alla Marchesa Yanus.
A Daisuke che, il giorno in cui il Generale Nero sfidò l’Armata Mazinger, voltò le spalle ai suoi compagni umani.
A Koji Kabuto, sacrificatosi per non diventare mai il mostro che s’è visto diventare nel futuro. A Mazinger Zeta, distrutto in quell’occasione.


I vivi e i morti, i presenti e gli scomparsi, si allontano con le ultime jeep che si allontanano all’orizzonte. Sono loro, l’unica cosa per cui si continua a lottare fino all’ultimo.
Per cui si continua a morire.
Perché questa è la via del samurai. La via del samurai è la morte.


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In quello che resta di Tokyo, intanto, si muovono i giganti. Enormi guerrieri biomeccanici che guardano freddamente le truppe di umani, riprogrammati, in marcia per tutta la città.
Vicino alla spezzata Torre della capitale giapponese, riposa Demonika, in attesa. Il capolavoro terribile del defunto Conte Blocken, ora in mano agli invasori che hanno calpestato il genere umano.


Dentro, il Maresciallo Inferno medita, guardando tutti i Generali delle Sette Armate rimaste in vita.
Decisamente pochi. La guerra contro l’Armata Mazinger ha preteso un prezzo troppo alto.


“IO pretendo l’onore di offrire le mie truppe e il mio appoggio al Generale Nero”, ringhia Rigarn, guardando fisso il Maresciallo e il primo Ministro Argos, accanto a lui.
“In base a che diritto? Ssssarò io a offrirgli la mia protezione. Io ssssono la Morte. Io decido della vita di ogni esssere vivente. E domani sssi deciderà del diritto alla sssopravvivenza del Generale Nero”
La lama della falce del Generale Hardias brilla nell’oscurità, come per imitare il folle sorriso disegnato sul volto che ha al posto della mano.


Un rumore ritmico, cadenzato, di mandibole che schioccano in un continuo e incessante tclac tclac! accompagna il ronzio crescente delle parole di Scarabeth, Generale delle Armate Insettoidi.
“Hardias… tclac tclac… amico degli umani… - il ronzio cresce d’intensità, quasi alimentato da una moltitudine di mosche, cavallette, api – nemmeno tu hai diritto di accampare nulla…”


La fiamma che circonda il teschio capovolto del Generale dei Morti avvampa di una rabbia malcelata. Il volto sulla mano, dalla pelle tirata e putrida, stringe gli occhi nel tentativo di mantenere il controllo.
“Come osssssi chiamarmi amico degli umani, Sssscarabeth?”
Tclac tclac… hai lasciato le loro città intatte… tclac… le loro vite… hai patteggiato con loro”
“Sssolo perché fossssero una nossstra rissssorsa!”
Il ronzio di Scarabeth schiocca in un’atroce, agghiacciante, parodia di risata umana. “Tclac tclac!… Risorse? Mikeros non ha bisogno di risorse. Le mie Armate, in Africa, hanno disinfestato la razza umana!”


“ORA BASTA!


La voce del Maresciallo Inferno impone il silenzio.
“Dite di aver aspettato nelle viscere della Terra per anni. Ora intendete forse perdere tempo in queste sciocchezze?”
Per un momento, il volto meccanico di Argos si fissa a guardare il Maresciallo Inferno, come se qualcosa – nel tono di quest’ultimo – avesse spinto il Primo Ministro a trattenere un improvviso scatto di rabbia. Quando però il volto sulla mano prende a parlare, il tono che ne esce è distaccato, pieno della solita flemma.
“È il nostro protocollo, signore. Un’Armata dovrà essere scelta per accompagnare il Generale Nero nel suo duello”


“NON INTENDO CHIEDERE AIUTO A NESSUNO”


I passi pesanti, rimbombanti per tutta Demonika, impongono il silenzio più assoluto, meglio di un qualsiasi ordine.
Passi regali, di chi è abituato a incedere e incapace di scappare. Di chi spacca la terra stessa, col solo peso del proprio terribile nome.


“Grande Generale Nero”, lo apostrofa il Maresciallo Inferno, con aria beffarda. Lo stesso nome viene pronunciato con tutt’altro tono dai comandanti delle Armate di Mikeros. Un tono pieno di sottomissione, rispetto e paura che non sfugge all’attuale capo dell’Impero Sotterraneo. Ognuno tra i tremendi Generali, responsabili di ogni genere di violenza e genocidio, rimpicciolisce fino a scomparire del tutto, nella possente ombra di quello che, fino a non molto tempo fa, era il loro condottiero.


Il Generale pianta per terra lo spadone a due mani, con una forza impressionante.


“Inginocchiati, Generale Nero”, ordina perentoriamente Argos.
La colossale montagna di tenebra rimane ferma dov’é.
“Non intendo portare alcun rispetto a chi portato il nostro Impero alla rovina”
“Ritirate immediatamente le vostre insinuazioni!”, sibila il Maresciallo, la voce contratta dalla rabbia.
“Angoras, Dreidow, la Fortezza Mikeros e la guerra con le genti dell’Impero Jamatai. Queste non sono insinuazioni, sono fatti”.
“E che dire allora di Birdler e Yuri Caesar? Non erano forse sotto la vostra responsabilità?”, replica il nuovo comandante Mikeros.
Il Grande Generale Nero annuisce, gravemente. “Sono pronto ad assumerla, quella responsabilità. E sono pronto a pagarla di persona. Voi? Dietro quale altro Generale intendete nascondervi? Non ne sono rimasti molti”
“Siete qui per fare politica, Generale Nero?”, mormora il Primo Ministro Argos a voce bassa, cupa.


Lo sguardo del Generale Nero è quello che riserva ai traditori, colmo di una superiorità e di un disprezzo schiaccianti. Cade, tagliente come lo spadone che porta, addosso ad Argos – colpevole delle macchinazioni che hanno portato il Maresciallo Inferno a prendere il suo posto – a Rigarn, sua accondiscendente pedina.
“No. Chiedo di affrontare l’Armata Mazinger da solo. Io e qualunque soldato voglia seguirmi volontariamente, senza l’ausilio di alcun Generale”
“Permesso accordato”, risponde subito il Maresciallo.


“Generale…”, esordisce Rigarn. La sua voce tradisce tutto il travaglio nella sua anima: l’ammirazione per il comandante e la vergogna per aver contribuito a deporlo. Distoglie la frase, soffocando in un ringhio l’incapacità di continuare oltre.
Hardias si inchina. “Generale. Sssappiate che la Morte veglierà sssui vossstri passi. E osssserverà”
Le mandibole di Scarabeth schioccano d’approvazione. “Tclac tclac… Valuteremo se sarete in grado di ristabilire il vostro onore perduto. E, nel caso abbiate successo, tornerete a essere il nostro Generale”


Il Maresciallo Inferno sbatte con violenza un pugno contro il bracciolo del suo trono. “Se non fossimo in tempo di guerra, non avrei tollerato questa insolenza, Scarabeth! IO sono il vostro comandante, e lo rimarrò. Generale, avete avuto il vostro permesso. Ora andatevene!”


Ma la voce dell’antico condottiero delle forze di Mikeros risuona ancora una volta, forse un’ultima volta, dentro Demonika.


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“GENERALI DI MIKEROS! Sappiate questo. È stato un onore combattere al vostro fianco. Sono stato orgoglioso di comandarvi alla testa dell’esercito di Mikeros. Sono stato orgoglioso di ognuno di voi, e lo sono ancora adesso”


Senza un solo ordine, senza un solo segnale, tutti i Generali e i soldati al loro seguito si inginocchiano davanti al Grande Generale Nero.
Il Grande Generale Nero, che esce dalla fortezza per incontrare il suo destino, qualunque esso sia.


“Alzatevi in piedi! Ve lo ordino!”, urla il Maresciallo Inferno.
Ma ognuno dei capi delle Armate rimaste, a testa china, rimane in silenzio, in ginocchio.
In un silenzioso rispetto verso colui che non è solo un generale.
È un eroe.


Un eroe nelle tenebre.