mercoledì, febbraio 13, 2008

Link a: Vega Verrà


Causa tesi (che ho finito di scrivere oggi e che avrà in calce una bella dedica a tutti voi di questo blog, facce conosciute e non) avrete visto che è periodo di magra per gli aggiornamenti. Per fortuna, la nostra prode Tanachvil - meglio conosciuta come Maria, in questa campagna - ha avuto la spettacolare idea di aprire un "blog collaterale" molto ben scritto e molto interessante.
Fermi tutti, so a che state pensando! E Gureto? Darkfleed? Getter? Coff... coff... vabbeh, Tanachvil è molto più coscienziosa dei disgraziati sottoscritti, e ha in cantiere un bel po' di aggiornamenti.
Vega Verrà è la raccolta di diari di Maria, annotazioni personalissime che partono dalla prima puntata di Dei o Demoni, e ci mostrano come la nostra aliena di fiducia ha forgiato il suo carattere in situazioni non proprio ottimali.
Il link lo trovate in questo post o nella colonna a lato.

Enjoy!

venerdì, febbraio 01, 2008

43: un giorno come tutti gli altri




Si alza dal letto, il lurido materasso nell’officina in cui, assieme ai suoi amici, trascorre buona parte delle sue giornate.
La ragazza vicino a lui lo guarda, rivestendosi e gli comunica quanto è costata la notte. Con la bocca ancora impastata di alcol, l’uomo prende i jeans, rovista nelle tasche e le tira una magra mazzetta di yen, senza nemmeno lasciarla andare via. Tutt’intorno, è puzza di sporco e olio da motori. Lui resta per un po’ a ricordare quando sognava di diventare un grande asso della Formula Uno giapponese e come si sia accorto quanto fosse impossibile entrare in quel mondo dorato.
Il cellulare suona.
Ancora intontito dal sonno risponde. La voce di sua madre.
“Tuo padre sta peggiorando… è ora di prendere una decisione. Ormai è vivo solo per le macchine e, se non possiamo permetterci i soldi per l’intervento…”
Lui sospira. Ne ha già parlato un mucchio di volte con la madre. In nessuna di esse, sono mai riusciti ad arrivare a una conclusione.





La saracinesca dell’officina si alza ancora di un po’ e i suoi amici, tutti meccanici come lui, entrano, salutandolo e scherzando sulla ragazza che hanno visto uscire dalla porta sul retro. Don e Pancho si mettono a lavorare, controvoglia come al solito. Shorty lo saluta, ma sembra un po’ preoccupato.


“C’è uno fuori che dice di voler parlare con te”
“Con me?”
“Sì a proposito di un lavoro, dice”
“Fallo aspettare solo un momento… arrivo”


Il ragazzo si alza, lavandosi prima la faccia per sembrare sveglio.
Per ora è una giornata come le altre per Hiroshi Shiba.





Sanshiro Tsuwabuki si rigira nel suo letto, sudando freddo. Domani ha scuola, si deve svegliare presto. Eppure, non riesce a prendere sonno, non riesce neppure a sfiorare una sorta di dormiveglia. Nella stanza accanto, i suoi genitori non sanno nulla della paura che lo schiaccia così tanto da fargli male.
Dormono tranquilli. Sanshiro non ha nemmeno il tempo di invidiarli.
L’anta del suo armadio si socchiude leggermente. Sanshiro si stringe le lenzuola più strette, caccia la testa sotto, serra fortissimo gli occhi. Come se servisse a qualcosa: è utile solo a rendere più vividi i ricordi del cane a cui ha rotto la testa a sassate e del suo compagno di scuola che…


“NE VOGLIO UN ALTRO…”


La voce ringhia da dentro l’armadio. Il piccolo Sanshiro non vuole vedere, non vuole vedere a tutti i costi, ma è impossibile ignorare l’ombra deforme del gigantesco teschio di drago, proprio sul suo soffitto.





“Le va di farsi un giro, mentre parliamo di affari?”
“V-va bene…”
Piuttosto frastornato, Hiroshi sale a bordo della lussuosa limousine parcheggiata davanti alla sua officina. L’uomo seduto davanti a lui ha una mantella e un cappello a cilindro, e lo squadra con una punta di divertimento.
“Signor Shiba, piacere di conoscerla”
“Piacere, signor…?”
“Può chiamarmi Baron. So molte cose di lei… non ha avuto un periodo molto fortunato, vero?”
La macchina parte, portando i due senza una meta precisa, in giro per Tokyo.
“Un pilota molto promettente… ma senza i giusti agganci non si va da nessuna parte, vero?”
Hiroshi resta ad ascoltare le parole di Baron senza replicare. La fine del suo grande sogno è una ferita fin troppo aperta, per lui.
“E suo padre, dopo quel brutto incidente… sopravvive solo grazie a una macchina. Non potrete permettervi le spese dell’ospedale ancora per molto, immagino”
“Dove vuole arrivare, signor Baron?”
Baron fa una piccola risata, che vorrebbe essere amichevole. “Nulla… nulla davvero. Solo, noi della scuderia Black Shadow abbiamo sempre bisogno di piloti validi. Conosciamo i suoi precedenti… è una mera questione di coincidenze avverse se non ha mai sfondato come pilota”
“La Black Shadow!… ma…”
Baron sorride. “Saremmo lieti di accettarla nel nostro team, signor Shiba. Permanentemente”
Per un attimo, il cuore di Hiroshi sembra fare un rintocco secco, come una campana. La possibilità che lo noti una scuderia blasonata come la Black Shadow, non importa quale sia la sua reputazione, è quanto di più irraggiungibile abbia sognato.


“C’è una condizione, però…”


L’atmosfera, per un momento sembra farsi molto più fredda. Sono gelidi anche gli occhi di Baron, mentre cercano quelli di Hiroshi, alla ricerca di una qualche forma di tentennamento. Shiba aggrotta la fronte. Per un attimo, quella limousine gli è sembrata troppo stretta.
“Cioè?”
“Saprà che nutriamo una certa rivalità nei confronti di una scuderia in particolare, la scuderia Sayongi. Finora, il suo pilota di punta, Ken Hayabusa…”
“Il Falco!”
“Proprio lui… Hayabusa, dicevo, ha vinto molto. Molto più di quanto non gli fosse concesso vincere. Ci piacerebbe, signor Shiba, che accadesse un incidente, durante la gara. Qualcosa di molto grave”
Il fiato nel petto di Hiroshi si mozza. “Mi sta proponendo di uccidere Ken Hayabusa durante la corsa?”
Baron di nuovo fa un sorriso che appare un po’ più largo e sgradevole di quello precedente. “Lei mi sta fraintendendo. Mi limitavo ad augurarmi qualcosa”
“Mettiamo che io lo uccida…”, comincia Hiroshi, più che mai deciso a parlarsi chiaramente. Baron lo interrompe subito.
“Finirebbe in carcere, com’è giusto che sia. Ma probabilmente, per una fortunata sere di coincidenze, qualche vecchio zio lascerebbe alla sua famiglia un assegno sostanzioso, su un conto sicuro…”
La paura avvelena ogni traccia dell’euforia di Hiroshi. Il ragazzo sente un sapore amaro in bocca, mentre pronuncia la sua risposta.
“Mi dia un giorno per pensarci”





“QUESTA E’ LA POTENZA DI MAZINGER!”


“Koji, preparati! Tra poco dobbiamo andare”
Gli occhi incollati al televisore, Koji guarda i cartoni animati con il fiato sospeso, seduto per terra, ignorando completamente la madre.
“Koji…”
“Ma mamma! Questa è la puntata in cui muore il Barone Ashura!”
Un rumore di passi dalle scale precede la voce del fratello, di qualche anno più grande.
“Smettila! È poi è un catorcio quel robot, non riesce nemmeno a volare!”.
Tetsuya fa un sogghigno nel vedere la reazione immediatamente infuocata di Koji. “E’ IL PIU’ FORTE DI TUTTI, INVECE! ROCKET PUNCH!”, urla, tirando un cuscino contro Tetsuya.
Il ragazzo fa una piccola risata. È una risata che si spegne subito, non appena vede l’espressione forzatamente allegra della madre.
Madre è un nome che non ha mai smesso di usare nei riguardi della dottoressa Asamiya, la donna che insieme al professor Kenzo Kabuto l’ha adottato ormai da molti anni.
“Mamma… cosa c’è?”
La madre non dice nulla. Per un po’, si limita a fissare Koji che corre a cambiarsi salendo le scale e urlando ancora le armi del cartone animato che stava guardando. Poi, quando il bambino ha chiuso la porta dietro di sé, si rivolge a Tetsuya.


“Tetsuya, devi essere forte”
L’atmosfera si raffredda nel giro di pochi, minimi istanti. Tetsuya sente parole che ha già ascoltato decine e decine di volte.
“Tuo fratello è molto debole e…”
Mentre la voce della dottoressa si inceppa, Tetsuya chiude gli occhi e il suo pensiero va a Daisuke, il loro fratello maggiore, devastato dalla stessa terribile malattia che – lentamente – ha attaccato anche Koji. Tetsuya voleva bene a Daisuke, il fratello maggiore taciturno e un po’ introverso che gli ha insegnato a suonare la chitarra.
“Mamma… non preoccuparti. Ho promesso che avrei aiutato Koji e lo farò”
“Sarà tuo… tuo padre a… ad asportarti il rene”
La dottoressa Asamiya si asciuga un accenno di lacrime, proprio mentre la porta della stanza di Koji ne esce fuori il bambino, che non sembra affatto consapevole di tutto quello che sta succedendo.
“ROCKET PUNCH!”


La dottoressa fa un altro sorriso, un cenno piuttosto mesto di intesa verso il fratello più grande.
Tetsuya lo restituisce, cercando di ignorare la consapevolezza del dolore che proverà di lì a poco.


La macchina porta la donna e i due ragazzi proprio davanti all’ingresso della clinica Human Alliance. Proprio sull’entrata, il gruppo viene preceduto da un ragazzo con un logoro vestito stile Elvis Presley, unto di macchie d’olio da motore. Hiroshi e Tetsuya restano a fissarsi per qualche attimo, quasi come se si conoscessero.
Poi, ognuno va per la sua strada.


Hiroshi a passo incerto, va verso il reparto di rianimazione.
Sola, nel corridoio appena fuori la porta del reparto, c’è la madre di Hiroshi, ancora con gli occhi gonfi e rossi.
“Mayumi ha chiesto di te. È da molto che non ti fai vedere”, lo saluta con un filo di voce.
In preda a un improvviso imbarazzo, Hiroshi china la testa. “Mamma, ho qualcosa da dirti”
La madre alza la testa verso di lui. Il suo volto è distrutto. Da quanto non dormirà? Hiroshi non si sente affatto in grado di quantificarlo. Il ragazzo si guarda intorno, di sfuggita, cominciando a raccontare la proposta che gli ha fatto Baron. Le sue terribili implicazioni.
La reazione della madre non è esattamente quella che si aspetta: un’energica presa di posizione contro un atto simile. È un compromesso.
“Cosa rischieresti? Verresti coperto in qualche modo?”
La disperazione in cui versa la famiglia Shiba, sembra aver portato via anche questo. Hiroshi deglutisce, sentendosi completamente abbandonato.
“Devo… devo vedere subito papà”





“Papà!”
“Stai buono, Koji… ci vorrà davvero poco”, dice il dottor Kabuto, sorridendo e scompigliando i capelli del bambino.
Per l’ennesima volta, non ha mai nemmeno salutato Tetsuya, relegato nella sala d’attesa della sala operatoria, in ombra. Come al solito, un paio di volte ha provato ad andare vicino a suo padre, a rassicurarlo dicendogli che era pronto. Suo padre si è limitato ad annuire, come se essere pronto a un’operazione chirurgica così pesante dovesse essere qualcosa di scontato, per il ragazzo.
Tetsuya rimane a guardarli dall’esterno. Sembrano felici. Come al solito, lui si sente di troppo. Solo sua madre, la dottoressa Asamiya, sembra girare la testa nella sua direzione.
In un solo sguardo, entrambi sanno perfettamente cosa l’altro sta pensando.


Tetsuya cerca di restare assolutamente freddo anche quando gli vengono messi i fermi per legarlo al lettino. Ora guarda il soffitto della sala operatoria. È brutto, sporco… farebbe paura a chiunque, a parte lui, che ha la distorta fortuna di nutrire paure più sottili e terribili.
Quando il padre entra in sala, le mani già coperte dai guanti, Tetsuya bisbiglia una sola frase a se stesso:


Sarò più forte
La bisbiglia pianissimo come un mantra. Il dottor Kabuto osserva solo le labbra muoversi, poi incide la carne. E Tetsuya non ha nessuna intenzione di implorare un’anestesia che il dottore sembra essersi dimenticato.


“Papà”
Hiroshi, nella sala di rianimazione, accanto al corpo di suo padre, non riesce a dire altro. Il rumore delle macchine, il beep rassicurante e fastidioso al tempo stesso, non lascia alcun posto per altri pensieri. A volte, Hiroshi ha quasi l’impressione che suo padre possa parlargli attraverso quei suoni cadenzati, regolari.
“Cosa devo fare?”, si chiede l’uomo che avrebbe voluto essere un campione di Formula Uno.
“Cosa devo fare?”
La sua mano si stringe in un pugno tremante, mentre passa in rassegna i volti di suo padre, sua madre, sua sorella Mayumi. È specialmente nei confronti di quest’ultima che prova un continuo senso e poco spiegabile senso di colpa.
Chiude gli occhi. Li riapre pochi istanti dopo, pochi istanti seguiti da un lungo respiro.
Sa cosa fare. L’unica cosa che può fare.

La mattina dopo, Hiroshi è distrutto. Lo splendore immacolato della limousine che va a prenderlo davanti all’officina stride con il volto distrutto di Shiba, che aspetta da ore in una mattinata freddissima, con le mani cacciate nelle tasche del suo abito a frange.
Il finestrino della limousine si abbassa e un Baron sorridente si rivolge al pilota, senza troppi preamboli.
“Ha preso la sua decisione?”
“L’ho presa”
Baron annuisce. “Salga pure, allora, e concordiamo i dettagli”
Hiroshi rimane in silenzio per parecchi istanti. “Non ci sarà bisogno. Non accetto, mi spiace”
L’unica soddisfazione, nel dialogo, è vedere il volto di Baron contrarsi e poi afflosciarsi di colpo, gli occhi spalancati in volto.
“Ho capito bene?”
La voce di Hiroshi è così stanca da non apparire nemmeno arrogante. Solo distrutta, esausta, e con carichi di sensi di colpa che ne appesantiscono ogni sillaba. “Sì, ha capito. Non intendo correre per la Black Shadow”
“Sta condannando a morte suo padre… e si sta rovinando del tutto la carriera”
“Me ne rendo conto. Grazie lo stesso”





Quell’ultima frase tronca in maniera definitiva la discussione. Shorty si avvicina a Hiroshi, dandogli una pacca su una spalla e rivolgendogli un sorriso che si sforza di sembrare allegro.
“Hai fatto bene, per me”
Hiroshi si limita a stringersi nelle spalle, prima di ritornare in officina. In tv, Ken Hayabusa viene intervistato e dimostra una supponenza irritante e smodata.
“Avresti potuto batterlo senza problemi”, commenta Shorty, con una punta di amarezza nella voce.
Hiroshi resta a guardare la tv per un po’, rimuginando su qualcosa. Poi si volta verso il suo braccio destro.
“Io POSSO batterlo”
Shorty lo guarda perplesso. Fa per dire qualcosa, ma l’espressione risoluta di Hiroshi lo zittisce.


“…E lo batterò a bordo di una macchina della scuderia Shiba”


È notte fonda. Ancora prostrato dal dolore dell’operazione, Tetsuya non riesce a chiudere occhio. Respira debolmente, mentre oltre la sua stanza, dalla sala, arrivano voci che si sforzano di parlare piano, ma non abbastanza perché lui non le possa sentire.



- Non è per questo che ve l’ho affidato.
- Per favore, calmati o ci sentirà!
- Non mi importa! Forse sarebbe il caso che ci sentisse. SONO SUO PADRE! E non sopporto che quel folle di Kabuto lo usi come…
- Smettila…
- … come una banca d’organi! Mio figlio non ha il dovere di sacrificarsi di fronte a nessuno. Tantomeno per il figlio di Kabuto!
- Sapevi che sarebbe andato così quando ce l’hai affidato.
- NO! e in ogni caso non importa. È finita, me lo riprendo!
- E’ troppo tardi. E lo sai.
- … non usare quel tono con…
- Ora è meglio che te ne vai, davvero… se lui sapesse che ti faccio entrare, non so cosa potrebbe succedere…


IO HO UN PADRE



Tetsuya resta per un attimo paralizzato. Poi, il rumore della porta di ingresso di casa che si apre lo fa agire alla svelta: sgattaiola nella vicina cameretta di Koji e fa abbastanza rumore da richiamare l’attenzione di sua madre. Koji, confuso apre gli occhi, e Tetsuya gli fa cenno di tacere.
Nel momento in cui la dottoressa Asamiya va a vedere che sta succedendo, Tetsuya sgattaiola di nuovo verso la sala da cui sentiva la voce di quello che diceva di essere suo padre.
Nessuno.
Apre la porta di ingresso, in preda alla disperazione.
La domanda che si è sempre posto finora, continua a perseguitarlo.
IO HO UN PADRE?


Il pianerottolo è completamente vuoto davanti a lui.





Sono passati giorni.


Koji è con Sanshiro Tsuwabuki, un suo coetaneo, nel cortile della scuola.
La situazione si è appena rilassata e Koji ha ancora le nocche dei piccoli pugni brucianti dai pugni che ha inferto. Un gruppo di ragazzi di un’altra classe ha appena ricevuto una lezione come si deve dopo aver preso in giro Kabuto.


“TI fai sempre difendere da tuo fratello, vero? Ma non è tuo fratello! Lui è orfano!”
“Or-fa-no! Or-fa-no!”


Ora quei coretti sono un rimestare di borbottii pieni di rabbia e risentimento verso Koji, pronunciati a voce non troppo alta da un gruppetto di bambini che torna in classe cercando di nascondere i lividi appena guadagnati nella zuffa.
Col fiatone, ma con uno sguardo di cupa soddisfazione, Koji continua a mormorare la stessa frase che ha urlato loro addosso prima di cominciare a picchiarli.
“Lui è mio fratello”
Sanshiro, poco lontano lo guarda.
“Hanno avuto quello che si meritavano”, dice, salutando gli avversari con un gesto di sfida che sembra più buffo che altro, in un bambino della sua età.
Poi torna a rivolgersi a Koji. “Ti va di fare la strada con me, quando torniamo?”
Quando Koji annuisce, Sanshiro gli rivolge un gran sorriso. Un sorriso che si incrina di molto, quando pensa a ciò che gli ha ordinato il mostro che lo perseguita ormai da giorni.


Ne voglio un altro. Un bambino


Il coltello nella sua cartella sembra esser diventato più pesante.


Tetsuya intanto è a scuola, in un corridoio, impegnato a fumare insieme alla sua banda: Jun, Boss, Nuke e Moocha. Sente ancora il dolore lancinante dell’operazione. La fredda rabbia nel vedere con quanta indifferenza il bisturi è stato affondato dentro di lui.


Senza di te, lui non può farcela. Ha bisogno del tuo aiuto


Le parole della madre gli riecheggiano ancora in testa.
Padre… madre… da quando ha assistito alla conversazione nascosta tra lei e quello che dovrebbe essere il suo vero genitore, le cose si stanno facendo sempre più confuse. Una confusione che sembra soverchiare anche tutta l’urgenza di sapere, ieri, l’identità della persona che si spacciava come suo padre.
“Che ne dici se stasera andiamo a fare un po’ di danni?”, ghigna Boss, mentre Nuke e Moocha si danno di gomito con un’aria di comica complicità.
Tetsuya si limita a scuotere la testa. “Non oggi, non ne ho troppa voglia”
In realtà, il dolore dell’operazione è ancora tale da impedirgli di fare quasi qualunque cosa. Solo con l’ostinazione a non esibire la propria sofferenza, riesce a mantenere la solita aria distaccata. L’unica che sembra capire fin troppo bene la situazione, al solito, è Jun. Per quanto a Jun non abbia mai raccontato troppo, Tetsuya ha sempre la certezza che la ragazza sappia tutto ciò che gli sta succedendo. E capisca fin troppo bene cosa lui provi.
Jun è come una sorella per Tetsuya.


“Scusate… avete da accendere?”


Trasalendo, Boss, Nuke e Moocha si voltano verso la voce che ha parlato.
Jun guarda il nuovo arrivato e rivolge un’occhiata perplessa a Tetsuya. Lo sguardo del ragazzo conferma la stessa impressione: dev’essere arrivata da poco, a scuola.


È una ragazza alta, con lunghi capelli biondi e penetranti occhi azzurri.
Deve avere sangue europeo, quasi sicuramente.
“Mi chiamo Ran. Ran Asuka”, dice la ragazza, con un sorriso appena accennato.


Pochi minuti più tardi, Koji e Sanshiro sono per strada.
“Vieni con me, facciamo prima di qua”, dice Sanshiro, portando il compagno in un vicoletto. I due stanno ancora parlando di come le hanno suonate ai ragazzi che prendevano in giro Tetsuya, oggi. Koji, soprattutto, è esaltatissimo per essersi comportato né più né meno che come il suo eroe preferito, il pilota di Mazinger Z.
Non si accorge che Sanshiro ha iniziato a rovistare nella cartella. Se ne accorge solo quando sente la sua voce.


“Scusami, Koji”


Koji riesce per un pelo a evitare la coltellata che sta per colpirlo a un fianco.
“SEI IMPAZZITO?”
Sanshiro continua a guardarlo con un’aria mogia. “Scusa, Koji”, ripete. Poi cala di nuovo il coltello sull’altro bambino.
Salvato più dal panico che dai riflessi, Koji si fa indietro ancora una volta in tempo per evitare che il colpo di coltello gli squarci il petto.
Non prende tempo per respirare, per capire cosa stia succedendo.
Corre a perdifiato nel vicolo, gridando aiuto, con i passi di Sanshiro dietro di lui.


“Koji, mi dispiace ma devo ucciderti!”


L’urlo di Koji si fa più forte quando va a sbattere contro qualcuno, appena uscito dal vicolo.
“Stai fermo!”, ordina imperiosamente una voce, tenendolo stretto per il colletto.
Un poliziotto di quartiere gli punta gli occhi addosso, cercando di capire cosa stia succedendo, mentre continua a tenerlo fermo.
Sanshiro esce dal vicolo, apparentemente tranquillo. Non ha più il coltello in mano.




“Ha cercato di uccidermi!”
La voce di Koji è acuta, sconvolta e terrorizzata. Il poliziotto che l’ha agguantato al volo, non appena uscito dal vicolo, lo fissa con un’aria severa.
“Non dovresti dire delle bugie”.
Koji continua a cercare di strattonarsi la mano del poliziotto che continua a stare stretta sulla sua spalla. Sanshiro cerca di fare lo stesso, nel più completo panico all’idea di essere scoperto.
“Ha un coltello! Sto dicendo la verità! Ha cercato di ammazzarmi!”
Il poliziotto scuote la testa.
“Ora basta, cercare di prendermi in giro. Credo che tutti e due vi farete un bel giretto con me in commissariato, tanto per farci due chacc…”


“ADDOSSO!”


Tetsuya e la sua banda vanno contro al poliziotto, armati di mazze da baseball e catene, il tempo perché Sanshiro e Koji riescano a divincolarsi.
“Ma che diavolo sta succ…?”
La voce del poliziotto è stroncata da un’impietosa mazzata che gli arriva dritta in faccia da Tetsuya, ma che purtroppo non basta per stordirlo. La sua mano, anzi, si stringe con una foga rinnovata sulla spalla di Koji che, per tutta risposta, attacca a morderla furiosamente.
Sotto gli sguardi perplessi della misteriosa Ran, che assiste impassibile a tutta la scena, i ragazzi (con Tetsuya e Jun in primis) malmenano la guardia il tempo di dare agli altri la possibilità di scappare, per poi darsela a gambe a loro volta.
Il poliziotto cerca di inseguirli per un po’. Il fiatone, la stanchezza accumulata e le botte prese, strattonano le sue gambe dopo pochi metri.
Mentre il respiro si calma, guarda i ragazzi allontanarsi, troppo veloci.
A Ran basta girare un vicolo, e anche lei sparisce a sua volta.


“E allora ha tirato fuori un coltello e ha cercato di ammazzarmi…”, mormora Koji, davanti ai ragazzi assiepati nel vicolo ad ascoltarlo.
Jun giocherella con un coltello che si passa tra le dita, con un’aria meditabonda.
Boss, Nuke e Moocha fanno proclami di guerra, tipici dei loro: altisonanti e ben poco convincenti. È solo la voce bassa e fredda di Tetsuya a rendere molto più reale quello che sta succedendo.


“Andiamo a casa sua e facciamogliela pagare”.


Boss resta un attimo in silenzio, terrorizzato dal lampo omicida negli occhi di Tetsuya.
“Stai scherzando, vero? È un ragazzino, mica staremo a perdere tempo con…”
“Ha cercato di accoltellare mio fratello. Questo mi basta”
Jun chiude il suo coltello a scatto, con un rumore secco che fa voltare il gruppetto verso di lei.
“Io non ho nulla in contrario a dargli una lezione”, dice, guardando fisso Tetsuya. Lui risponde con un cenno d’assenso e si volta verso gli altri.
“Siete con noi?”
“Ci siamo, ci siamo… - borbotta Boss – però non mi piace questa storia di picchiare i mocciosi…”
“Che c’è, Capo? – ghigna Nuke – Hai paura di prenderle?”
“CAMMINATE, IMBECILLI!”


Tetsuya prende la mazza da baseball, soppesandola. Poi annuisce, come se fosse leggera al punto giusto.
“Koji-kun… dove abita il tuo amico?”





Le cose si fanno confuse. Sembrano pochi istanti, quelli passati da quando Hiroshi ha detto di no alla richiesta di Baron e ha deciso di investire buona parte dei suoi pochi soldi nel rilancio della scuderia Shiba. E ora è lì, ad aggiustare la sua macchina ai box, insieme a Shorty, Don e Pancho.
L’atmosfera è surreale: sembra che tutti siano in una sorta di delirio nei confronti di Ken “Falco” Hayabusa. Dagli spalti, è un continuo inneggiare al pilota forse più famoso del Giappone. Hiroshi sente il boato che si trasforma in un coro, intonato molte ore prima dell’inizio della gara.


Il suo nome è Ken, Ken Falco! Non lo batteranno mai!...


Hiroshi stesso si mette a canticchiarla dopo un po’. Per quanto la situazione sia grave, per quanto da questa gara dipenda la vita di suo padre, la consapevolezza di starla affrontando in un modo onesto è per il ragazzo un motivo in più di prenderla tranquillamente. Di essere lì sapendo di aver fatto tutto ciò che era in grado di fare.


“Alla lunga è fastidiosa, vero?”


Hiroshi si volta verso la ragazza che ha parlato alle sue spalle. È una ragazza sui vent’anni, forse un po’ meno, lunghi capelli biondi e lineamenti mezzo europei. Per un momento, Hiroshi è lì a chiedersi chi sia, poi si ricorda che si tratta di uno dei tecnici assoldati da Don.
Mentre fa un’ultima revisione della macchina, Hiroshi rivolge un sorriso alla ragazza. “Non è male… e poi non è da tutti avere una canzone tutta per sé”
La ragazza annuisce, con un sorrisetto. Poi, mentre è ancora lì a controllare la macchina, anche lei canticchia una canzone.


Corri, ragazzo laggiù… vola tra lampi di blu…


“Non è male, questa”, commenta Hiroshi. Inizia a cantarla con lei, insieme a Shorty, Don e Pancho. E per quanto buona parte delle parole non le capisca (soprattutto a cosa si riferisca il nome Jeeg che sembra ricorrere così tanto), è come se quella canzone avesse in qualche modo il potere di incoraggiarlo, di farlo sentire a suo agio.
Presto, le parole del pezzo intonato dalla ragazza sembrano sovrastare quelle dell’inno a Ken Hayabusa. E quando Hiroshi se ne accorge, si rivolge alla donna.
“Chi sei tu?”
“Mi chiamo Ran. Ran Asuka”, risponde lei, con un sorriso piuttosto vago.





Arrivano, armati di mazze e catene, guidati da un Tetsuya sempre più torvo e scuro in volto. Boss, Nuke e Moocha, spacconi come al solito; Jun, che lancia ogni tanto un’occhiata al capo della gang. Tetsuya, che non ha detto una parola da quando lui e i suoi amici si sono mossi per farla pagare al ragazzino.
E Koji, che ha sperimentato sulla pelle ciò di cui Sanshiro sembra essere capace.
La casa di Sanshiro è silenziosa, con le luci spente. Non c’è nemmeno una macchina posteggiata. Forse i genitori hanno scelto proprio questa serata per fare un giro fuori.


“Ci limitiamo a fargli un po’ di paura, eh?”, tartaglia Boss. La casa non promette nulla di buono, a vederla così. Sembra la tana di un drago addormentato.
“… sì”, risponde cupamente Tetsuya.


In realtà, sta guardando la figura femminile appoggiata alla porta, a braccia incrociate. Non appena il gruppo si avvicina, la ragazza si stacca, con un sorriso buio sul volto.
“Dunque… si va?”
“La nuova arrivata”, mormora Jun, guardando Ran negli occhi, e vedendola annuire.
La gang di Tetsuya si ferma davanti a lei. L’aria stessa sembra essersi raggelata, immobilizzata.


“Non hai motivo di venire con noi”, replica freddamente Tetsuya,
Ran inizialmente non risponde. “I miei motivi non sono i tuoi”
Jun fa un passo in avanti. Gli altri trattengono il respiro. Koji sembra studiare la ragazza, guardandola decisamente perplesso. In questo assurdo scenario, nessuno le chiede però chi sia e che cosa voglia.
Sembra che sia un particolare di minore importanza. O qualcosa di cui forse è meglio non parlare.


Jun sbuffa, oltrepassando entrambi e armeggiando sulla porta.
La porta è aperta e, dentro, la casa è completamente buia.


“Io credo che abbia imparato la lezione!”, tartaglia Boss, facendo un passo all’indietro.
Tetsuya non risponde. Entra nella casa, seguito da Koji, costringendo tutti a fare altrettanto.


Non è un ambiente rassicurante: il respiro pesante di qualcosa, qualcosa di vivo, sembra rimbombare per tutto l’edificio. Koji si arresta per un momento, guardandosi intorno. Il pavimento di legno scricchiola sotto i suoi piedi e quello dei suoi compagni.
Ran è l’unica a muoversi con una certa sicurezza, perfino quando le pareti sembrano scuotersi leggermente, come per una scossa.
“Che roba è stata?. Lo sguardo di Jun saetta nel buio.
Si spalanca, accompagnata dagli urli di Boss, quando la gigantesca ombra di un drago copre l’intera superficie della sala.


UCCIDILI!


Sotto l’ombra, Sanshiro, armato di una mazza da baseball.
Ran sembra l’unica non troppo stupita dalla situazione, la prima a muoversi verso il ragazzino, senza la minima intenzione bellicosa.
“Sanshiro… non sei obbligato a fare quello che ti dice”
Il ragazzo spalanca gli occhi. Nell’oscurità sembrano quasi più grandi e disperati. “Tu non capisci… se non lo faccio… se non lo faccio…”
“Se non lo fai, non ti succederà nulla. Non può farti nulla. Non ha alcun potere su di te”
“Lui…”
Ran fa un altro passo.
“Ascolta, Sanshiro. Non lasciare che prenda il sopravvento. È lui a essere al tuo servizio non il contrar…”


UCCIDILI


“Ma cosa…”
Prima che Tetsuya possa fare qualsiasi cosa, uno schianto poderoso copre a malapena l’urlo lacerante di Koji.


“AIUTO!”
BAMM!
“AAAH! TETS…!”
BAM!!!
“KOJI! DOVE SEI? KOJI!!!!!!”
“FERMATELO”
“PRENDETE QUEL…”
“AIUTO!!!”
BAM! BAM! BAM!!
“K-Koji...”


Solo ora Tetsuya, a tastoni, riesce a ritrovare il corpo esanime del fratellino.
Il piccolo giace sul pavimento, con la testa fracassata dalla mazza di Sanshiro.
Tetsuya salta immediatamente addosso all’assassino, ancora ciondolante, con lo sguardo spiritato, prima che Ran cerchi di frapporsi in mezzo, dividendoli a fatica e approfittando del momento in cui né Jun né gli altri, troppo stupefatti da quello che è successo, riescono a fare alcunché.


BRAVO! COSI’! AMMAZZALI TUTTI!


Un altro scossone. Stavolta, però… stavolta però Tetsuya giurerebbe di sentire una voce estremamente smorzata mentre si lancia verso il ragazzino.


thunder…


“BASTA! VI STATE UCCIDENDO A VICENDA! NON CAPITE CHE STATE SOLO FACENDO IL LORO GIOCO?”
Nessuno dei due la ascolta. Ran è costretta a spintonare con violenza Tetsuya, lontano, e trascinarsi dietro Sanshiro.
“Sanshiro, ascolta! Devi uscire di qui! devi andartene!”


FALLA STARE ZITTA! UCCIDI ANCHE LEI!”


“Non abbiamo tempo… non posso tenermi concentrata ancora per molto…”. Mentre glielo dice, Ran scuote disperatamente Sanshiro come una bambola di pezza, con Tetsuya che cerca con tutte le sue forze di allontanarla per ammazzare il ragazzo.
“Io… cosa devo fare? COSA DEVO FARE?”
“Riprendi il controllo! DEVI farlo!”


Un’esplosione, fuori dalla casa. Un’altra. Un assurdo rumore di qualcosa che sta ruggendo di rabbia.


“Senti questi rumori? QUESTI sono la realtà… SEGUILI! CONCENTRATI SU DI LORO!”
“LASCIAMELO! MALEDETTO, HA UCCISO MIO FRATELLO!”


NON CREDERLE! STA MENTENDO! UCCIDILA!


L’ombra sul muro sembra vacillare, vacillare pesantemente.
“ORA!” urla Ran a Sanshiro.
Poco prima che Sanshiro scompaia nel nulla.


“Ora tocca a te, Tetsuya”, dice Ran.
“Tocca a me cosa?”, ripete il ragazzo. Lo sguardo pieno di panico si riflette in quello di Boss, Nuke e Moocha. In quello di Jun, che continua a fissare il punto da cui è sparito Sanshiro.
La casa trema leggermente.
Fuori, rumori assolutamente estranei a quelli del silenzioso e quasi deserto vicinato in cui i nostri si trovano. Rumori di esplosioni, urla che pronunciano nomi senza molto senso, ma incredibilmente familiari.


HYDROBLAZER!!!!


“Che sta succedendo?”, chiede Tetsuya, confuso.
“Succede che sarà il caso che ce ne andiamo subito”, tartaglia Boss, addossandosi alla parete. Tetsuya non riesce a rispondere nulla. Guarda il corpo di Koji, con la testa spaccata, il sangue che inzuppa il pavimento.
“Non è tuo fratello”, dice freddamente Ran.
Un’altra scossa di terremoto, più forte stavolta, tanto da far scricchiolare ogni più piccolo pezzo della casa. Jun si volta verso Tetsuya, in preda al panico.
“DOBBIAMO USCIRE!”
Ran poggia una mano sulla sua spalla, poi poggia anche l’altra. Tetsuya cerca di dire qualcosa prima che la donna lo spinga di forza contro la parete.
“QUELLO NON E’ TUO FRATELLO! NON E’ MORTO! E TU SEI UN PILOTA DELL’ARMATA MAZINGER, NON UN RAGAZZINO!”
“Io… io…”
Gli occhi di Ran si stringono, in un’espressione insofferente. Dietro di lei, un pezzo di soffitto crolla tra le urla terrorizzate del trio di Boss e un’imprecazione di Jun.
“Ricordi quando ti allenavi giorno e notte, Tetsuya? Quando TI COSTRINGEVANO a essere forte? E’ questo ciò che devi essere ora, Tetsuya! FORTE! Più forte di questa maledetta illusione! Più forte del senso di tutto quello che provi per Koji o per il Direttore o…”
Tetsuya deglutisce, stringendo gli occhi.





Ultimo giro.
Lo strapiombo alla sua destra e la macchina della Black Shadow alla sinistra. E Ken Hayabusa è ancora davanti, troppo avanti.
Hiroshi tiene le mani salde sul volante, proprio mentre il pilota della Black Shadow scarta nel tentativo di farlo cadere dal burrone. L’adrenalina muove il suo cervello e le sue mani più efficacemente di quanto non l’abbiano mai fatto anni e anni di corse.
La pioggia, che non sembra decidersi a smettere, batte sul suo casco. Le gomme stridono e la macchina della Black Shadow va addosso a quella della scuderia Shiba. Hiroshi si aggrappa al volante, lo gira disperatamente, come fosse un timone. Sbanda solo leggermente quando la macchina avversario, cercando di urtarlo, cade nel crepaccio al posto suo.
Si sforza di non sentire l’urlo, si sforza di non sentire l’esplosione.
Pigia sull’acceleratore, in un disperato testa a testa con Ken Hayabusa, che sembra non voler concedere nulla, nemmeno un millimetro all’avversario.


Non ce la faccio… non ce la posso fare


più forte… devo essere più forte…


Quante volte ha pronunciato questa frase? Ma soprattutto, quando?
Prima che possa pensare a una qualsiasi risposta, le labbra di Ran si poggiano sulle sue. La casa sembra disfarsi ancora di più. Jun guarda la scena con il respiro mozzato, smettendo per un momento di ripararsi dai pezzi di muro che stanno ormai crollando dappertutto.
Ran si stacca precipitosamente da Tetsuya, con un’aria imbarazzata. Per un attimo, al ragazzo non assomiglia per niente alla ragazza bionda, europea, con cui ha parlato finora. Sembra una strana donna coi capelli rossi, mossi, in quella che sembra una succinta tuta da pilota, che lascia scoperto quasi tutto il corpo.
“Oddio… sto per perdere il controllo anche io…”
Il rumore delle esplosioni sopra di loro, in un cielo che sembra invece assolutamente placido e immobile, si fa assordante.


Hiroshi digrigna i denti, mentre le due auto cercano disperatamente di superarsi a vicenda, a pochi metri dal traguardo. Sancho, Don, Shorty e la misteriosa ragazza appena assunta, guardano preoccupati l’esito della gara.
La ragazza è l’unica che sembra accorgersi di qualcosa di stranamente inquietante. Hiroshi, sul posto di guida, sembra ingobbito e scheletrico. Sembra più vecchio. Sembra quasi suo padre, piuttosto che lui, a guidare.
L’Hayabusa sembra in vantaggio di pochi centimetri.
Lo staff della scuderia Shiba e quello, ben più numeroso, di Ken Hayabusa, cantano a squarciagola i rispettivi inni.


“JEEG, HIROSHI! USA LA FORZA DI JEEG!”


Per quanto sia a metri e metri di distanza, Hiroshi sente la voce della ragazza.
Jeeg?
Mandando uno sguardo disperato al quadro, per un momento il fiato si tende. Lo sguardo si posa su una sorta di cloche. Una cloche che, giurerebbe non ha mai visto e di cui non sa assolutamente nulla.
Per quanto la situazione sia surreale, Hiroshi fa un profondo respiro. La tira. E gli viene da urlare, urlare forte qualcosa che non ha senso, non ha il minimo significato.


KOOOOTETSU JEEEEEEEGU!


GURETOOOO!!!!!





I piloti si guardano. Attraverso i caschi, un lampo negli sguardi.
Hiroshi stringe i denti. Un urlo che gli esce dalla parte più selvaggia e caotica della sua anima, che cresce pian piano, fragoroso come un terremoto imminente.


“TI GIURO CHE SARO’ PIU’ FORTE…”


“JEEEEEEEEEG!!!”


La macchina di Hiroshi taglia il traguardo. Tutto sembra perdere i propri contorni, si dissolve nel nulla.


Tetsuya stringe saldamente i comandi del Great Mazinger.
Ha ancora la bocca spalancata, sta ancora urlando…





Davanti a lui, mentre riprende fiato poco a poco, i corpi semidistrutti di gigantesche bambole Mikeros, dai capelli lunghissimi e forti come tentacoli, che tengono il suo robot immobilizzato per il collo.
A Tetsuya non ci vuole molto per riconoscerle. Sono le Pshycobear, i mostri affrontati già una volta nel Kanto, in grado di manipolare i pensieri e indurre degli allucinanti stati di ipnosi ai propri avversari.
Al pilota basta un rapido sguardo per accorgersi che, sì, lui e i suoi compagni sono ancora nel Kanto. Il Kanto che, sembrerebbe, lui e Jun sono riusciti a risparmiare dalla bomba atomica lanciata dal Gran Maresciallo Inferno in quelle che possono essere poche ore prima o una vita fa.


“AAAAAARGH!”


Con un pugno sferrato per terra, Hiroshi, ancora montato nel corpo gigantesco di Jeeg, si piega piantando le mani, artigliandole al terreno brullo e devastato della piana giapponese. L’energia elettromagnetica viene rilasciata dal suo corpo propagandosi in un urlo silenzioso di furore, investendo in pieno i corpi dei mostri Mikeros.
Sono parecchi, quasi mezza dozzina. Quando però Jeeg si rialza, con lo sguardo torvo e un sottile ringhio che riecheggia dalle sue fauci chiuse, i loro corpi completamente in tilt, le scuotono come burattini. È solo allora che dal cielo piombano Maria con Minerva X, Amon e Gaiking, urlando il nome delle proprie armi, invocando il potere che permette loro di cambiare il mondo… o quello a cui restare incatenati, perfino nel mondo illusorio che si sono lasciati alle spalle.
Tetsuya si snebbia la mente a fatica da quello che ha visto e provato.
L’attaccamento al fratello.
Ciò che prova per il Capo.
Suo padre.


Io avevo un padre…


Il suo urlo, mentre carica il Thunder Break, si unisce a quello degli altri.


“All’inizio, tu e Jun siete riusciti a portare il missile abbastanza in alto e farlo esplodere prima che distruggesse tutto. Vi ha aiutati uno dei robot al seguito della… dell’Armata Getter”
Tetsuya, zoppicante, ascolta annuendo la spiegazione di Maria, guardando con un certo sollievo nella direzione di Edo. Il tramonto ha già iniziato a tingere di rosso la piana del Kanto. Almeno, ancora per oggi, non sarà il sangue di chi vi vive.
“Poi le Psychobear hanno attaccato in massa. Erano uguali a quella che abbiamo affrontato la prima volta. Prima o poi siete entrati tutti in trance. Io credo di aver resistito solo perché… beh, credo di avere una resistenza mentale maggiore della vostra. Ho cercato di tirarvi fuori di lì”
“Nell’illusione non eri tu. Eri Ran Asuka. E comparivi e sparivi nel nulla”
Maria annuisce. “Potevo anche essere in due punti differenti allo stesso momento. Vedevo quello che succedeva a te e a Hiroshi”
Poi, la ragazza fa un sospiro appena trattenuto. “… mi vedevate come Ran perché nel vostro inconscio Ran rappresentava qualcuna che ci è stata vicina e di cui nessuno di noi si è mai fidato”


Inconscio.


Maria sa di star mentendo quando descrive se stessa perfettamente padrona della realtà illusoria creata dalle Psychobear. Ricorda il momento in cui non ha potuto fare a meno di baciare Tetsuya.


“Stanno arrivando i soccorsi dalla Base. Meglio spostarci di qui”





È il momento per i membri della Fortezza delle Scienze di incontrare i piloti e gli scienziati del misterioso Centro di Ricerche Saotome.
Maria e Sanshiro sono gli unici piloti presenti alla riunione. Tetsuya e Hiroshi sono in infermeria, non tanto in preda a shock fisici, ma a un persistente spaesamento dovuto ancora all’ipnosi dei mostri Psychobear.
I loro atteggiamenti non potrebbero essere più diversi: ancora in preda a una certa stanchezza Maria, specie per aver dovuto aiutare da sola i suoi compagni; sicuro di sé e con una vena di follia lucida Sanshiro, seduto a braccia incrociate.
Akira è in un angolo della stanza, silenzioso e tetro, più del solito.
La porta si apre.


Per primi entrano i piloti che i nostri hanno già incontrato nel futuro: Ryoma Nagare e Hayato Jin. Il primo ha un atteggiamento molto differente rispetto a ciò che i nostri ricordano: strafottente e piuttosto grezzo, non sembra avere il minimo rispetto per nessuno. Sicuramente non per gli altri piloti.
Hayato, invece, per quanto inguainato in una tuta da pilota, ha lo sguardo astuto e ben poco affidabile che i piloti della Fortezza gli hanno visto (o vedranno) nella sua veste di Direttore della Torre. Il terzo pilota, un energumeno decisamente corpulento che si presenta come Musashi Tomoe, sembra invece emozionato come un bambino. Non fa altro che stringere la mano al dottor Yumi e a informarsi sulla buona salute di Koji Kabuto. Argomento su cui, ovviamente, il Direttore della Fortezza sarebbe ben felice di glissare.
Maria non riesce a trattenere un sorriso, sorriso che si estingue in fretta a un apprezzamento piuttosto pesante di Ryoma.


Sono gli scienziati, però, a destare una maggior curiosità nei piloti della Fortezza, abituati alla compostezza dei dottori della Base.
Il responsabile della Squadra Getter, il dottor Saotome, è un individuo basso, tarchiato e decisamente sporco. Ciabattando con le sue geta di legno, inquadra perfettamente il suo pessimo carattere con il primo scambio di battute insieme a Yumi.


“Non volevo parlare con lei. Dov’è il Direttore?”
“Sono io il Direttore”, replica Yumi, aggrottando la fronte.
“Mi risultava fosse Kenzo Kabuto”


Il nome del vecchio Direttore della Fortezza, in bocca a Saotome, getta un’improvvisa glacialità su tutto il gruppo.


“Non più. È morto”, mormora Yumi, consapevole che Saotome sappia molte cose, su di loro.
La risposta dello scienziato della Squadra Getter è piuttosto sgradevole.
“Beh, questa è una dannata scocciatura. Vorrà dire che dovrò parlare con voi”


Maria non fa in tempo a fermarsi a riflettere su come molti elementi della Base avrebbero da ridire, a sentir liquidata la morte del dottor Kabuto come una scocciatura.
La sua attenzione viene immediatamente catalizzata da altre due figure dietro il professor Saotome. Anche Akira sposta il suo sguardo immediatamente su di loro, con un’attenzione che non ha riservato a nessuno dei presenti


I due scienziati che seguono Saotome hanno qualcosa di decisamente strano, che nessuno riesce a individuare. Forse il colore livido del volto di uno di loro, forse l’altezza spropositata dell’altro.
Sorridono all’unisono.


“È un onore per noi essere qui, nella famosa Fortezza delle Scienze. Non è forse così, mio caro Cowen?”
“Ma certo, mio carissimo Stinger


Il tono con cui pronunciano quello scambio di battute sembra raggelare l’aria. Akira stesso inarca le spalle, come se l’impulso di trasformarsi fosse per un momento irrefrenabile.
Maria sente il corpo ribollire.
Uno scambio veloce di sguardi tra lei e Akira.
Hanno sentito la stessa cosa. Maria mormora una sola parola, senza farsi sentire.


Vegan


Cowen e Stinger si voltano all’unisono verso di lei. Entrambi sorridono, un sorriso che non fa che provocare una smorfia, sul volto di Maria.


Yumi e Saotome, nel frattempo si mettono a discutere.
Lui e i suoi piloti raccontano e documentano di essere stati particolarmente attivi nell’anno di immersione subacquea della Fortezza delle Scienze, liberando le grandi città di Kyoto e Osaka dalle forze dei mostri Mikeros.
“… più o meno, lo stesso periodo in cui voi eravate impegnati a tenervi alla larga dai combattimenti”, ghigna Ryoma, provocando uno sguardo inferocito da parte dei combattenti della Fortezza, che mai hanno digerito la loro impotenza in quel frangente.
“Non è il caso di entrare in conflitto tra noi”, replica Yumi freddamente. Saotome annuisce, senza poter nascondere però uno sguardo divertito.
Prosegue a raccontare, dicendo che in particolar modo si sono scontrati con le Armate di Dreidow, il Generale dei Rettili. Le ostilità con il fronte di quello che dalla Squadra Getter vengono chiamate lucertole sono state particolarmente accese.
In parte, accenna Saotome (vagamente evasivo su questo punto), i conflitti con le lucertole hanno portato alla distruzione del vecchio Centro di Ricerche sul Monte Asama e al ricorrere del gruppo a una base mobile, la Kujira, una sorta di fortezza volante a forma di balena.
“Per quanto le forze di Mikeros siano state indebolite, in Giappone, restano sempre più che concentrate. Liberare Tokyo non sarà uno scherzo”, dice Saotome.
“D’altra parte – aggiunge Yumi – la liberazione di Tokyo porterebbe il colpo di grazia totale al loro esercito. Inutile nasconderlo: siamo troppo pochi per tenere a lungo i presidi che abbiamo conquistato. Tagliare la testa dell’esercito è l’unica soluzione che possiamo permetterci”


"E' tutto tempo sprecato"
La voce di Sanshiro, anche se così bassa, si insinua nella conversazione dei dottori, interrompendola.
Lo sguardo del pilota è assolutamente diverso da quello tenuto finora. Lo sguardo di un folle, acceso da un fuoco che non ha niente a che vedere con quello che cova nei cuori degli altri combattenti della Fortezza. Un fuoco malsano, febbricitante.
"L'era degli uomini sta per tramontare - mormora Sanshiro - Solo noi, gli dèi, sopravviveremo"
"Ottimo! - sbuffa Ryoma - Siete tutti così fottutamente schizzati, da queste parti?"
Hayato sbuffa una boccata di fumo, con aria di sufficienza.
Yumi resta per molti secondi in silenzio.
"Sanshiro...?"
Sanshiro scuote la testa. Nè quello sguardo nè il sorriso di prima hanno abbandonato il suo volto.
"Gaiking, dottore. Impari a chiamarmi Gaiking"


Akira non ascolta ciò che Yumi e Saotome si stanno dicendo.
I ricordi di Amon iniziano a invadere la sua mente. La memoria del demone, che di solito non concede altro che qualche fuggevole sensazione istintiva o qualche dejà-vu, si espande all’interno di quella dell’umano, con una violenza e una nitidezza senza precedenti.
Se questo sia un processo naturale o uno sforzo volontario da parte di Akira Fudo, è difficile saperlo.
Amon ricorda. Nella sua mente, si formano le frammentarie immagini di quella che sembra essere una città, antica e futuristica al tempo stesso. Una massa di lapilli sembra esplodere dappertutto nel cielo, tingendo la volta notturno di un sinistro bagliore verdastro. Una luce accecante all’orizzonte, un’enorme massa di luce in cui, appena, si riesce a percepire il contorno distorto di un volto.
Amon è in mezzo a una strada e una moltitudine di uomini corre di fianco a lui.


(Uomini? Città? Nei ricordi di Amon?, si chiede Akira, perplesso)


Alcuni di questi uomini vengono squarciati da mostri orribili a vedersi, abominevoli masse nerastre di occhi, zanne e denti in continuo mutare e ribollire. Mostri che, a volte, sembrano essere usciti direttamente dai corpi delle malcapitate vittime.
Mostri che non hanno nulla di umano e che continuano a guardarsi intorno, in una ricerca continua di nuovi corpi da aprire a pezzi.
Amon corre. Porta le mani davanti al volto. Non sono mani da demone… sono mani da umano.
Sopra di lui, il bagliore verde sembra assumere forme, forme torreggianti che devastano la città, alla luce di una luna che ha cambiato drasticamente colore…


“La luna diventerà rossa”, mormora Akira, catalizzando immediatamente l’attenzione di tutti i presenti nella sala.
Resta per un attimo in silenzio, sempre con lo sguardo rivolto verso il basso.
“La luna diventerà rossa… loro arriveranno sulla Terra e uccideranno tutti. Umani, demoni, Mikeros… nessuno di noi terrestri si salverà”
Ryoma fa un sorriso sprezzante. “Bello… un’altra fantastica profezia”
Lo sguardo di Saotome si aggrotta.
“Quando dici loro, intendi…?”, chiede Yumi, che ha invece un’espressione decisamente turbata.
“Sì. Quelli che chiamate Vegan. Sono già venuti una volta”
Lo sguardo di Akira passa in rassegna ognuno dei presenti in sala. Yumi e Maria, che hanno l’espressione di sapere benissimo ciò di cui si sta parlando, Saotome che maschera con una finta indifferenza il suo interesse, Ryoma e Hayato, sulle cui facce aleggia la solita noncurante strafottenza, e infine Sanshiro, che non sembra fare altro che aspettare con impazienza i tempi terribili che il Devilman sta profetizzando.
“Questa guerra con Mikeros – riprende Akira a bassa voce – non farà altro che indebolirci e aprire la strada a loro. Verremo estinti, quando sarà il momento”
“Beh, che dovremmo fare? Alziamo bandiera bianca con questi mostri, invece? Quelli che stiamo combattendo?”
Akira sembra ignorare il commento ironico di Ryoma, rivolgendosi direttamente a Yumi.
“Devo partire. Avete detto che ci sono nostri simili, in Inghilterra. Sarà un buon posto da cui cominciare. Raccoglierò più demoni possibile e cercherò di convincerli della gravità di quello che ci aspetta. E, se sarò fortunato, troverò anche Ryo”
Cowen e Stinger fanno un sorriso divertito. In sincrono.
“Sono già tra voi! – ringhia Akira indicandoli senza troppi complimenti, con la voce sempre più simile a quella di Amon – Dovete accorgervene, prima che ci prendano tutti! Dovete eliminarli!”
Nessuno dice nulla.
Saotome sembra affatto impressionato dalle parole del Devilman. Yumi troppo imbavagliato diplomaticamente per procedere a una qualunque azione o accusa contro i due collaboratori di un alleato di cui hanno disperatamente bisogno. Tra i piloti, l’unica in cui l’uomo diavolo legge una vera consapevolezza di quello che sta succedendo è proprio Maria.
Il sorriso di Cowen e Stinger non sembra accennare a sparire. Anzi, si fa ancora più accentuato, sfidando chiunque a muoversi in qualunque direzione.
“Non mi ascolterete, lo so”, ringhia Amon, facendo per uscire dalla stanza.
Maria, immediatamente si alza a raggiungerlo, uscendo a sua volta.


“Aspetta!”
Nel corridoio, Akira si volta a fronteggiarla.
I due si guardano a lungo. C’è una strana espressione sul volto di Maria: una sorta di rassegnazione mista ai residui di una profonda paura.
La ragazza impiega qualche secondo per dar voce a una domanda che non vorrebbe davvero fare.


“Sei quello che capisce di più questa situazione. Lo so”
Akira aggrotta la fronte, aspettandosi il seguito del discorso.
Con il corpo che ha appena preso a tremare, Maria alza gli occhi e li punta direttamente sui suoi. “Per te cosa… cosa dovrei fare io?”
L’uomo diavolo resta per parecchio tempo senza dire nulla. Guarda Maria intensamente, e la sua voce resta bassa, incolore.





“Suicidati. Se vuoi risparmiarti dolore, ucciditi prima che quella cosa dentro di te sia già abbastanza sviluppata. Non c’è altro… nient’altro che tu possa fare”
Maria china la testa, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
“Beh… grazie… grazie per la sincerità, suppongo”, mormora, cercando di far sì che la sua voce non esca spezzata come al momento sente spezzate tutte le sue speranze.


Quando rialza la testa verso di lui, Akira già non c’è più.
C’è lei e nessun altro, nel corridoio.


Sola.