martedì, settembre 23, 2008

45: La via del samurai è la morte

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“Sono Pete, devo parlarti”


La fredda voce del pilota dello Skylar non lascia molte alternative: il messaggio, secco e deciso, chiude la comunicazione. Sanshiro rimane nella sua cabina per qualche istante, prima di dirigersi agli hangar e raggiungere con Gaiking la sua vecchia base, il Drago Spaziale. La base che negli ultimi ha visto sempre più di rado, via via che le operazioni alla Fortezza delle Scienze lo hanno assorbito sempre di più.


Rivedere la base da combattimento, sorvolarla, fa nascere dei sentimenti contrastanti nel pilota. Da una parte, la cognizione di quanto tempo sia passato da quando erano schiavi di Mikeros e costretti, ricattati dai mostri, a tradire la stessa razza umana.
Dall’altra, c’è la totale indifferenza e mancanza di emozioni, al solo pensiero di cosa sia successo e cambiato in questo periodo di guerra totale. Per Sanshiro Tsuwabuki, solo una cosa ha avuto importanza tale da aver segnato la sua esistenza: la totale fusione di mente e spirito con Gaiking. Anche adesso che dai, visori della sua cabina di pilotaggio, ingrandisce l’immagine dello Skylar e del suo pilota con il casco sottobraccio, Sanshiro non riesce a vedere più a vedere Pete Richardson come l’eterno rivale di un tempo.
Adesso è come tutti gli altri. Un essere umano.
Solo un essere umano.


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“Sono qui, Peter”
Pete avanza verso di lui, la mascella contratta in un’espressione che – a malapena – riesce a nascondere una vena di disprezzo. Per molti secondi, i due piloti non riescono a fare altro che fronteggiarsi, con uno che non riesce a trovare le parole per cominciare e l’altro che lo scruta con una maschera di fredda indifferenza sul volto.
“Tutta quella gente… - mormora alla fine l’americano – tu sapevi chi erano, vero?”
“I miei cari. Quelli di Fuan Lee. Molto probabilmente anche i tuoi stessi parenti, Pete. Quindi?”, replica Sanshiro, come se la questione non avesse la minima importanza.
“TU LO SAPEVI!”, ringhia Richardson, trattenendo a stento il pugno.
Sanshiro annuisce. “Gli ostaggi del Generale Nero. Evidentemente non è più lui che comanda. Oppure ha deciso di disfarsene”
Richardson volta le spalle a Sanshiro. Per quanto, tra loro, la rivalità, la spacconeria, le sfide reciproche siano sempre state all’ordine del giorno, finora c’è sempre stato un muto e consensuale rispetto. Ora, per l’americano, quel rispetto è crollato miseramente.
Una consapevolezza che lo ferisce come mai avrebbe creduto.


“Potevi dircelo. Almeno avresti potuto dircelo”
“E per cosa? – replica il pilota del Gaiking con sarcasmo - Perché smetteste di combattere? Servite ancora molto a questa guerra”


Stavolta il pugno di Pete fa per schiantarsi contro la faccia dell’altro pilota. È con un’agilità che ha ben poco di naturale, che Sanshiro lo intercetta in tempo, bloccandolo nella propria stessa mano.
“Che razza di mostro sei diventato, Sanshiro?”, mormora Pete, senza riuscire a evitare nelle sue parole la stessa velenosa dose di rabbia e incredulità.
“Non devi preoccuparti, Pete. Mancano appena un paio di giorni allo scontro con il Generale Nero. Allora, tutto cambierà, tutto quanto”
La bocca si torce in un sorriso sinistro.
“Posso promettertelo”, sussurra, lasciando andare il pugno dell’altro.
Pete rimane per qualche momento a occhi sbarrati, a guardare Sanshiro, il bagliore oscuro nei suoi occhi che sembra il riflesso di quello – forse ancor più sinistro – nello sguardo del terribile e imponente robot sopra di loro.
“In una cosa hai ragione – ammette l’americano – Se qualcun altro dei nostri venisse a conoscenza di questa faccenda, il Drago Spaziale non combatterebbe più con la Fortezza. Non avrebbe più la minima ragione per fare nulla. Solo per questo motivo non dirò niente a nessuno e asseconderò le tue menzogne”
Sanshiro rimane senza dire nulla. Si limita a fissarlo, con un mezzo sorriso sul volto.
“Ma io so tutto e non ho la minima ragione per continuare – continua Pete – Non resterò a fianco di una persona che consideravo un amico, e che mi ha ingannato su ciò a cui tenevo di più”
“Per me puoi andartene dove vuoi”, replica Sanshiro, senza la minima traccia di emozione nella voce.
I due restano ancora a fissarsi, per un attivo di insostenibile gravità.
“Ho pietà di te, Sanshiro”
Sanshiro guarda Pete a bordo dello Skylar e accendere i motori. Non si vedranno mai più, di questo ne è sicuro. Mai più.
Eppure, ancora una frase gli sfugge di bocca, come se l’americano fosse ancora ad ascoltarlo.


“Cambierà tutto, Pete, vedrai. Dopo lo scontro con il Generale Nero, tutto sarà diverso”
Forse, nelle intenzioni di Sanshiro, vuole essere qualcosa di rassicurante. Ma mentre lì,a pronunciarla al ponte di decollo del Drago, con solo Gaiking a sentirla, suona molto più sinistra di una minaccia.


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“Quella che ho preso è un’iniziativa personale e mi piacerebbe discuterla con tutti voi”, esordisce alcune ore dopo Yumi, davanti a tutti i piloti riuniti come al solito nella sala tattica. Per quanto il ritmo delle emergenze e delle missioni si sia susseguito con un ritmo davvero impressionante, stavolta il clima che si respira è molto differente. Lo si legge negli occhi di Tetsuya, di Maria, di Hiroshi. Ma anche dei piloti che hanno combattuto meno battaglie degli altri e che, tuttavia, attendono da ormai due anni questo momento. Perfino Boss, Nuke e Moocha sembrano molto più seri del solito.
Perché questa è l’ultima riunione prima dello scontro decisivo contro il Grande Generale Nero.
Per alcuni sembra ieri, per altri (soprattutto quelli che si sono trovati scaraventati nel futuro) il tempo è passato interminabile. Eppure è trascorso appena un mese da quando, in seguito alla grande battaglia per la riconquista di Berlino, il Generale Nero ha lanciato la sua sfida.


Un mese, per celebrare i rispettivi caduti e per avere il tempo di sanare le proprie ferite.


Un mese prima dello scontro decisivo tra il campione più grande delle forze nemiche e l’Armata Mazinger.
“La sfida è stata lanciata a noi soltanto, alla Fortezza delle Scienze e al Drago Spaziale”, spiega Yumi, guardando negli occhi di ognuno dei suoi piloti. Per un attimo, si sofferma su quelli di Alcor, così simili allo sguardo di Koji Kabuto. Kabuto sarebbe fondamentale in un momento simile ma, purtroppo, la sua assenza non è un problema a cui si possa trovare rimedio, per ora.
“Per questo motivo – prosegue lo scienziato – mi sono sentito in dovere di tener fuori Saotome e quelli dello staff della base Kujira da questo scontro”
Il volto metallico di Hiroshi si torce in una smorfia. “Avrebbero potuto esserci utili, almeno per fare numero”
“Lo so – annuisce gravemente Yumi – eppure abbiamo visto più volte il modo di agire del Generale Nero: per quanto sia un nostro nemico, non ha mai infranto una promessa. Non voglio essere io a cominciare a farlo”
Tetsuya annuisce. Tra tutti quanti, è quello la cui etica di soldato fa meglio comprendere questa scelta.
“Anche gli americani erano con noi a Berlino e sono stati sfidati. Anche Daisuke”
“Daisuke non fa più parte dell’Armata Mazinger da quando ha deciso di tradirci tutti quanti”, lo interrompe Hiroshi.


Il clima si fa immediatamente più freddo. Umon, presente alla riunione, fuma nervosamente dalla sua pipa e distoglie lo sguardo, per nascondere il suo stato d’animo. Duke Fleed, colui che è stato recuperato dalla base Asama, manda uno sguardo in tralice a Maria.


- Puoi sentirmi?


Maria spalanca gli occhi per la sorpresa: non è la prima volta che qualcuno apre una comunicazione telepatica con lei e non il contrario; tuttavia, sia per l’eccezionalità della cosa, sia per le circostanze non sempre rilassate in cui si sono verificate circostanze analoghe, la ragazza non riesce a trattenere un moto di sorpresa.


Sì. Sì, ti sto ascoltando.
- Perché dicono che il Duke Fleed della vostra dimensione ha tradito? Cos’è successo?
- Sono… sono successe molte cose. E credo sia il caso parlarne dopo, perdonami.




“Actarus non tradirebbe nessuno!”, protesta Alcor, alzandosi in piedi.
“Beh, allora Actarus dev’essere molto differente da Daisuke, visto che lui l’ha fatto eccome”, ribatte ostinatamente Hiroshi.
Tetsuya rivolge uno sguardo gelido al pilota di Jeeg. “Io sono sicuro che sarà lì a combattere con noi. È stato l’unico ad aiutarci davvero nel futuro, e questo non posso dimenticarlo”


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Perso nella sua stessa oscurità, Daisuke, Duke Fleed, guarda meditabondo gli schermi di Yamatai No Orochi, puntati sulla piana del Kyushu.


“Stai sentendo il richiamo della battaglia, Principe?”
La voce di himika, suadente e vagamente beffarda, punge il buio tutt’intorno. Senza nemmeno voltarsi, Duke continua a studiare il campo di battaglia.
“Dobbiamo studiare un modo di schierare i soldati Jamatai. Voglio parlare con Amaso, Mimashi e Ikima”
“L’Impero Jamatai non parteciperà a questa battaglia”, sussurra Himika, sorridendo silenziosamente dell’irrigidirsi del Principe, per l’improvvisa sorpresa.
Si avvicina. Il buio si colora del frusciare della sua lunga veste immacolata. “Verremo per celebrare i caduti. Perché, comunque vadano le cose, nello scontro di domani cadranno degli eroi da commemorare”
Duke Fleed annuisce, meditabondo. “Io combatterò. Ho giurato, ai tempi in cui fu lanciata questa sfida. Se necessario, affronterò il Generale Nero da solo. Né con voi al fianco né con l’Armata Mazinger”
In un lungo momento di silenzio, il buio sembra addensarsi di nuovo sulle figure di entrambi, spezzato solo dall’intermittenza dei monitor della fortezza volante.
“Himika! – riprende Duke Fleed – Non mi hai dato nessuna delle risposte che avevi promesso”
“Gli indizi per capire cosa davvero sei, Principe, sono sempre stati alla tua portata. Sei tu che ancora rifiuti di vederli. Ma non temere: la comprensione arriverà. I rintocchi delle Campane di Bronzo scandiranno anche la tua strada. I miei insegnamenti non arrivano con le parole, Principe. Presto te ne accorgerai”
Duke Fleed si volta leggermente verso la demoniaca regina. “Domani ce ne andremo, io e Hikaru, su Grendizer. Comunque vada lo scontro, andremo via per sempre”
“Lo so”
I due restano a fissarsi, per un lungo momento.
“Ho un ultimo favore, Principe. Concedimelo, e giuro che lascerò in pace te e la tua umana”. Il tono di voce di Himika sembra cambiare. Diventare meno freddo, meno tagliente, e Duke Fleed non può fare a meno di chiedersi se non fosse quella, la voce che aveva la Regina Himiko prima di fondersi con il demone che ha cambiato per sempre la sua natura umana.
“Parla”.
La sacerdotessa Jamatai si avvicina al volto di Duke, al solito coperto dal casco. Mormora qualcosa, con una voce appena percettibile.


Duke resta in silenzio, per un istante che sembra non dover finire mai.


“Va bene”, dice poi.


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Una festa è quello che serve, per mantenere alto il morale di chi rimarrà e per rassicurare chi se ne andrà via.
La decisione, ampiamente caldeggiata da Tetsuya e dal dottor Tonda e approvata da Yumi è infatti la seguente: sacrificare il futuro della razza umana, coloro che la dovranno ripopolare, è stupido e inutile.
La morte è appannaggio dei soldati.
Così, i civili resteranno in Corea, a bordo della base Incredible Power, mentre il personale militare e parte di quello medico e scientifico continueranno la campagna di riconquista, affrontando lo scontro decisivo con il Grande Generale Nero. Il dado è tratto e ogni decisione è presa. Il modo migliore di suggellarla è proprio in un ultimo arrivederci.
Proprio come avrebbe voluto Koji Kabuto, il vero grande assente della poderosa battaglia che attenderà tutti l’indomani.


Il ponte della Fortezza è gremito di gente: i superstiti di Edo fanno conoscenza finalmente con quelli che hanno viaggiato sulla base mobile da quando l’umanità ha subìto lo scacco dell’Impero Mikeros.
Ognuno cerca di divertirsi, proprio come al tempo della festa organizzata da Koji e Cutey Honey, a Berlino. Ma né l’uno (disperso dopo il viaggio temporale dell’Armata) né l’altra (chissà dove, in missione segreta con Goda) sono presenti. E l’ombra dello scontro, la possibilità di non rivedere più i propri cari, non riesce ad allontanare l’ombra di un futuro ben poco rassicurante.


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Sono in pochi, però, a conoscenza dell’assenza di Koji. Per quasi tutta la Fortezza, Kabuto è tornato, con poca chiarezza sui suoi giorni d’assenza e con un carattere un po’ più ombroso. Ma è tornato insieme alla squadra incaricata di investigare alla Base Asama.


Alcor si muove a disagio, in mezzo a tutta la gente che lo abbraccia, che gli dimostra tutto il calore e la fiducia di cui ha goduto il pilota di Mazinger Z. Al pilota del Goldrake 2 sembra di ingannare tutta questa gente.
Ma è in effetti un inganno tutto ciò che gli si chiede.


Caricare i guerrieri prima dello scontro, quando si tratterà di trovarsi nel Kanto contro il Generale Nero. Motivarli. Ecco cosa ci si aspetta da lui, nel piano proposto da Tetsuya.
Ad Alcor tutto questo riesce difficile da capire: non si è mai ricordato dei mostri di Micene come degli avversari particolarmente ostici. Certo, molto meno dei Veghiani, che pure vengono nominati con un terrore che il pilota non giudica esagerato solo da quando ha visto che cosa siano davvero, in questa dimensione.
Il mondo in cui è precipitato, risucchiato dal Death Cross è brutto, ostile, sgradevole. È un mondo militarizzato, in cui tutto ciò per cui sembra valere la pena combattere – le persone, la pace – sembra perso irrimediabilmente. Un mondo in cui i pericoli vengono affrontati con una drammaticità che lui e il resto del team del Laboratorio di Ricerche Spaziali non hanno mai ritenuto necessario, salvo Actarus. Tutto quello che potrebbe Alcor per motivare queste persone è quello che ha imparato sui campi di battaglia: che non esistono pericoli insormontabili, che anche le situazioni più gravi si risolvono. E, del resto, se la sua squadra è riuscita ad aver ragione mille e mille volte sui mostri di Vega, cosa può fare questa Armata Mazinger?


Eppure, non riesce a ingannare tutta questa gente. Anche se è a fin di bene.
Così, quando un nutrito gruppo di persone arriva verso di lui (tutte persone che gli sono state presentate: Sayaka, Shiro, Boss Nuke e Moocha), felici per aver ritrovato un amico, un fratello, un fidanzato che credevano perduto, Alcor si chiede se per loro, almeno per rispetto a loro, non sia il caso evitare di fingere.


“Non sono Koji”
Le parole corrono più veloce di lui, quando li vede avvicinarsi. Boss (l’unico che Alcor conosceva anche nella sua dimensione di provenienza, il Capo) sgrana gli occhi, guardandolo strano.
Poi scoppia a ridere. “Ma certo! Non sei Koji, sei Mazinger!”, dice, facendo palesemente il verso alle pretese di Hiroshi e di Sanshiro nel farsi chiamare coi nomi dei robot da loro pilotati.
“No, davvero. Io… c’è un errore. Sono solo… solo qualcuno che gli assomiglia molto”
Sayaka rimane a lungo a guardarlo.
“Koji…?”
Alcor la guarda. Guarda i suoi occhi lucidi, gli occhi dell’unica persona che sta prendendo seriamente ognuna delle sue parole. Perché probabilmente il dottor Yumi le ha già accennato alla cosa. Ma, altrettanto probabilmente, Sayaka ha preferito negare con tutte le sue forze.
Anche lo sguardo di Shiro è fin troppo eloquente.
Alcor rimane lì, fermo, senza avere nemmeno più la forza di fissarli. Distoglie lo sguardo.
“Mi fai schifo, qualunque cosa tu sia”, ringhia Sayaka, prima di correre via nella sua stanza.

“Se voi morirete, verranno comunque a cercarci. Saremmo spacciati lo stesso”.
Il discorso, pronunciato da un ragazzino di pochi anni come Ryu, suona se possibile ancora più agghiacciante. In disparte, Maria è seduta accanto a lui e vede i Bambini Randagi liberati nel Kanto, proprio dove adesso dovranno dirigersi in quella che si prospetta essere la battaglia più dura di tutte quante. Sono così diversi dagli altri esseri umani che ha conosciuto, riflette: per quanto apparentemente anacronistici e fuori posto, una tribù formata da bambini più piccoli di Goro, sembrano gli unici a non avere nessuna paura, a prendere le cose come vengono. Forse perché si sono adattati alla morte.
“E’ proprio per questo che c’è bisogno di voi, Ryu – sussurra Maria – Voi sopravvivete, sopravvivete sempre. Avete imparato a non farvi salvare, a non dipendere da nessuno. Sarete voi i più adatti a guidare l’umanità”
“Noi?”
Maria annuisce. Parla al capo dei Bambini Randagi come parlerebbe a un adulto. E mentre parla scopre di riconoscersi in quei piccoli selvaggi: come loro, nemmeno lei ha vissuto troppo nel mondo pre-Mikeros, da rimpiangerlo come gli altri e da rimanere incatenata al suo ricordo.
“Se le cose vanno male, Ryu, dovrete insegnare agli altri a sopravvivere. Forse sì, vi verranno a cercare. Forse dovrete rimanere nascosti. Ma dovrete sopravvivere”
Il bambino resta per molto tempo in silenzio. Ora lui e Maria sembrano ritagliati fuori dalla festa, dagli altri che si sforzano di divertirsi e non pensare al domani. Ma è solo un’apparenza, bastano pochi sguardi per accorgersene: in realtà, tutti stanno pensando a cosa succederà dopo lo scontro contro il Generale Nero.
“Sì. Sì, va bene”, annuisce serissimo Ryu.
“E un’altra cosa Ryu…”.
Maria allunga una serie di quaderni al bambino, dopo averci pensato un po’. La voce si incrina leggermente per l’imbarazzo, nello spiegargli cosa sono. “Questi… qui ho… ho scritto tutto. Tutto quanto. Io… ecco, io te li affido. Me li ridarai quando ci rivedremo.”
Ryu rimane a guardarli, con un’espressione grave. Poi li prende.
“Se vuoi, puoi anche leggerli”, dice Maria.
“No – Ryu alza lo sguardo verso di lei, determinato, fiducioso – ti aspetteremo, invece. Io e gli altri. Quando tornerai”
Maria rimane per un istante a guardare il ragazzo. Poi lo abbraccia stretto, col corpo scosso da alcuni singhiozzi che non riesce a trattenersi.
“Quando tornerai”, ripete Ryu Takuma, tenendosi a lei.


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“Voglio venire anche io!”
Stringendo la mano alla piccola Kaori, la bambina che ha conosciuto nel villaggio di Edo, Tetsuya guarda Goro che serra i pugni in preda a un improvviso risentimento. Scuote la testa e, anche se la sua espressione non è dura quando deve far capire certe scelte agli altri piloti, è altrettanto irremovibile.
“Ci sarà anche Daisuke – insiste Goro – Non puoi impedirmi di rivederlo. E non puoi impedirmi di aiutarvi! Perché Shiro può rischiare la vita e io no?”
“Perché tu hai un compito più importante, Goro”, risponde Tetsuya. Gli prende la mano e la stringe su quella di Kaori. Sorride, sentendo gli sguardi di entrambi i bambini puntati su di lui.
“Goro lei é Kaori. Te l’affido, è una mia carissima amica. Saranno tempi molto difficili, quelli che arriveranno, sia che vinciamo o no contro il Generale Nero. Credi di riuscire a proteggerla?”
Gli occhi di Goro passano da un momento di smarrimento, nel momento in cui si puntano su quelli della sua coetanea. Kaori risponde con un sorriso un po’ imbarazzato dalle circostanze.
“Sì. Sì, certo”, risponde il ragazzo, con una luce molto più risoluta negli occhi.


Tetsuya fa un sorriso. Esattamente come Maria con Ryu, il tono che ha verso Goro è lo stesso che rivolgerebbe a un amico, un amico della sua stessa età. La guerra, la terribile guerra che ha devastato il mondo e ha imposto nuove responsabilità, nuovi ruoli, ha quasi azzerato le differenze tra adulti e bambini.
“Sapevo che non mi avresti deluso. Non preoccuparti per Daisuke. Vedrai che farà la scelta giusta”
“Ci ha tradito”, mormora il ragazzo, rabbuiandosi in volto.
“Era l’unica persona di cui potersi fidare mentre eravamo nel futuro. E ora è lui ad aver bisogno di fiducia, specie da suo fratello”
Di nuovo, senza pensarci troppo, Goro annuisce. Il suo volto si illumina in un sorriso, lo stesso sorriso sepolto da un anno e mezzo di conflitti e orrori.
La mano di kaori si stringe più saldamente alla sua.
“Buona fortuna. Buona fortuna a tutti voi”


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Una sola persona non sembra presente ai festeggiamenti. Ci sarà tempo, si dice, visto che l’unica persona di cui gli importi, di cui gli sia mai importato, lo seguirà col Big Shooter, nel pieno della battaglia.
Una festa per salutare persone con cui non ha alcun legame, non ha senso per Hiroshi Shiba.
Il cyborg è solo, nella sua stanza. A occhi spalancati, davanti al monitor del suo computer personale.
Il volto illuminato dalla gelida luce dello schermo, lo fa apparire artificiale, anche adesso che ha le sue sembianze umane. L’espressione, però, è fin troppo umana per lasciare il minimo spazio a qualche tipo di dubbio.
Facendosi coraggio, Hiroshi non ha detto a nessuno delle informazioni che ha prelevato dalla Base Asama, teatro della scorsa operazione. I dati recuperati di nascosto dai server della base, mentre Tetsuya e Sho esploravano il resto dello stabile, le lunghe ore passate a cercare di aggirare codici, password, protezioni.
Tutto fin troppo facile, quasi come se tutte quelle informazioni volessero farsi trovare. E, dopo le ultime cose che sono successe, la nozione di destino è entrata con sempre una maggiore violenza nel cuore d’acciaio di Jeeg. Con la mano tesa sulla tastiera, Hiroshi scava sempre più profondamente nel proprio passato, portando alla luce sempre nuovi pezzi.
Pezzi che forse sarebbe stato meglio dimenticare.


Una trascrizione telefonica, tra suo padre e un non ben specificato direttore. Il Direttore della Human Alliance?


Shiba – Conosco benissimo i propositi di Saotome: costruire un robot che sfrutti l’Energia Getter. Ma questo non ci porterà ad alcun tipo di progresso. È nell’uomo che devono venir fatte le sperimentazioni, è l’uomo che deve evolvere.
Direttore - Eppure non sembra che la sperimentazione sui soggetti umani abbia avuto i risultati sperati. Un uomo irradiato massicciamente dalle radiazioni B diventa al 20% delle probabilità un Devilbeast, o muore.
Shiba – questo è perché l’organismo umano non è pronto per sopportare un campo energetico di radiazione così massiccio. I raggi alieni ci hanno già fatto evolvere una volta. Un irradiamento diretto porterebbe a un’ennesima evoluzione non reversibile.
Direttore – non è l’evoluzione quello che cerchiamo?
Shiba – l’unica evoluzione possibile è quella che porta all’immortalità! Non a ritornare a essere bestie che possono perire per mano di bestie più feroci di loro.
Direttore – cosa propone?
Shiba – ho discusso col dottor Kabuto. Abbiamo convenuto che è nella fusione uomo-anima-macchina la chiave di tutto. Guardate il funzionamento dei demoni e degli infestati Vegan: ci sono enormi analogie. Entrambi possono cambiare forma e dimensioni, sviluppare armi naturali, essere perfette macchine per uccidere. Ma perdono una cosa estremamente importante.
Direttore – si spieghi, dottore.
Shiba – perdono la razionalità umana. Sono controllati da impulsi alieni o bestiali. La perfetta evoluzione deve permetterci di non perdere nulla, ma solo di guadagnare. L’organismo umano non è pronto ad accogliere i raggi Getter. Ma se fosse la macchina a evolvere dentro di noi e insieme a noi, i danni forse sarebbero ammortizzati. Saranno le macchine a evolvere, mutare dentro il corpo umano. Si legheranno al corpo, ma non sarà il corpo al centro dell’irradiamento.
Direttore – è il procedimento opposto a quello dei Mazinger, mi pare…
Shiba – Kabuto vuol sviluppare i Mazinger in modo che si verifichi una fusione tra l’anima del pilota e quella del robot. L'uomo che diventa un tutt'uno con la macchina. Io voglio che invece sia la macchina a fondersi all’uomo. La mente deve restare quella del pilota. Lui è DIO, l’unico vero DIO.
Direttore – in che modo vuole sviluppare questa idea?
Shiba – Abbiamo sintetizzato il metallo di una delle Campane di Bronzo e le abbiamo fuse ad alcune nanomacchine di mia progettazione. Verranno implementate in una cavia, e prolifereranno in esso. Allo scadere di un countdown molto lungo, riveleranno tutto il loro potere.
Direttore – sa bene che non abbiamo cavie da fornirle, in questo.
Shiba – Non ne ho bisogno.



Hiroshi controlla la data. 1981. Già da così tanto tempo si stava discutendo del suo destino?


Decide di guardarne un’altra. Due lettere, brevi lettere che lo lasciano – se mai fosse possibile – ancora più smarrito.


Una è archiviata come Documenti:


Ogni demone possiede una forma più piccola e una forma giga.


Anche il MIO demone avrà la sua forma gigante. Sfruttando alcune scoperte sull'energia magnetica che vi ho enunciato tempo fa, sono orgoglioso di poterle dire che parte del corpo gigante che ho progettato per Jeeg è ormai a buon punto. Il Dotaku Project si avvia a creare la prima vera divinità della storia, il suo demone artificiale.
Il robot gigante Jeeg non sarà una macchina pilotata da un uomo. Sarà la macchina E l'uomo, i cui arti saranno direttamente sotto il controllo nervoso del cervello.


Senjiro Shiba



L’altra, che lascia presagire cose ancor più tremende, porta come nome “Campana di Bronzo”. Hiroshi ha un attimo in cui è combattuto, in cui qualcosa gli fa pensare che forse sarebbe meglio nemmeno aprirlo, quel file.


Il suo passato, tutto quello che ha.
Improvvisamente, però, si chiede se sia così importante. Se valga così la pena, scoprire un passo alla volta di essere un mostro.


Lo apre.


Sono piuttosto sicuro di poter datare quelle rovine che abbiamo trovato in Sud America. Risalgono a un'epoca di gran lunga anteriore allo sviluppo dell'homo sapiens sulla terra, addirittura prima delle glaciazioni.


Come accennato, i resti dei palazzi presentano la stessa contaminazione che abbiamo rinvenuto sul soggetto "Duke Fleed" prelevato tramite Death Cross e sulla donna recuperata nel crash di Roswell. La contaminazione è estremamente intensa.
Abbiamo anche rinvenuto dei corpi umani. Sembrano appartenere a esemplari di homo sapiens per nulla dissimili a noi. Sono stati uccisi da un massiccio irradiamento e da bruciature di incredibile intensità. La mutazione più particolare che hanno subìto alcuni corpi é stata la completa mutazione delle cellule di tutto l'organismo in cloruro di sodio. Delle perfette statue di sale.


Un oggetto in particolare sembra essere irradiato molto più di altri: è una campana in tutto simile alle Dotaku funerarie giapponesi.
Crediamo sia collegata all'altra campana che abbiamo trovato in Giappone. A prima vista sembrano assolutamente identiche e costruite dall'uomo. Probabilmente è databile allo stesso periodo in cui è stata costruita anche la maschera di pietra e il robot gigante.


S. Shiba



“Padre…” mormora Hiroshi.
“Padre… maledetto bastardo”.

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Il microfono gracchia una voce roca, inconfondibile. Il tono è di chi abbia accettato la comunicazione più per una sfida che per altre ragioni.


“Sono il maggiore Schwartz. Vi ricevo”.


Nella sala tattica, Tetsuya guarda Yumi di sfuggita.
“Schwartz, sono Tetsuya Tsurugi. Stiamo approntando l’attacco definitivo contro il Generale Nero”
Il microfono resta silenzioso, ronzante.
“E allora?”


I piloti della Fortezza restano spiazzati. Rabbia sì, quella se la sarebbero aspettata, ma non un tale tono di indifferenza, verso uno scontro che potrebbe cambiare il destino della razza umana.
Sforzandosi di non scomporsi, Tetsuya aggiunge: “Abbiamo bisogno di supporto”.
Adesso, al silenzio si sovrappone una risata rauca. Una risata piena di disprezzo e di cieca, vuota disperazione. “E perché? Tra i vostri piloti ci sono mostri meccanici, alieni che potrebbero perdere il controllo da un momento all’altro e ucciderci tutti, altri che hanno vistosamente cambiato bandiera. Che differenza c’è tra voi e gli invasori?”
“Schwartz, capisco il tuo punto di vista, ma i nostri piloti si sono sacrificati più volte, ed è stato anche per salvaguardare voi”
“Tsurugi – lo interrompe di nuovo il maggiore americano – la questione è semplice: voi non rappresentate la razza umana. Non so se c’è mai stato un momento in cui lo avete fatto, ma adesso in voi c’è la stessa umanità di quelli che combattiamo. Il mio augurio è che moriate tutti, voi e gli altri mostri, e liberiate entrambi il mondo dalla vostra presenza. Passo e chiudo”


La comunicazione si interrompe, prima che Tetsuya, Yumi o chiunque altro abbia la possibilità di replicare.
“Era un tentativo che andava fatto comunque”, commenta amareggiato Yumi.


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“Non sei mio fratello”, dice Shiro, con un tono decisamente ostile.
Alcor annuisce.
Sono in disparte dalla festa, adesso. Il pilota del Goldrake 2 si mette vicino al ragazzo, sedendosi accanto a lui. “No, non lo sono”, dice con aria decisamente mesta.
Rimangono per un po’ in silenzio, Alcor con la certezza che Shiro se ne andrà senza aggiungere altro. Non è così. Il ragazzo lo guarda sempre con quell’aria cupa, delusa.
Alcor fa un lungo sospiro. “Per un po’ potremmo fare finta, se vuoi, però”
“Perché? A cosa servirebbe?”, è la risposta di Shiro.
Di nuovo, Alcor si prende una lunga pausa, scegliendo le parole accuratamente. “Non ho mai avuto un fratello, sai? E sicuramente, da quello che vedo, dovevi volere molto bene a Koji”
“Gliene volevo parecchio, sì”, risponde il ragazzo, facendosi scappare un singhiozzo.
“Vedrai che, qualunque cosa sia successa, se la caverà. Se è uno che mi assomiglia, deve avere una scorza dura”, commenta Alcor, con un sorriso.
Shiro ricaccia indietro le lacrime. “Sì… lo è. È il pilota del Mazinger Z e… e… è mio fratello”
Poi, finalmente, restituisce il sorriso.
“Beh, dicono che te la cavi bene a pilotare il… come lo chiamate, voi? Double Spacer? Se dovrò scendere in battaglia, credo lo farò col mio Goldrake 2, che è praticamente uguale, quindi… perché non mi dai un paio di dritte?”
Shiro si asciuga gli occhi.
Poi guarda Alcor.
E quando annuisce, il pilota del Goldrake 2 sa che magari non saranno fratelli, ma di sicuro ha guadagnato un amico.


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Le ultime jeep partono. Il sole, tinto di rosso, ricorda un Giappone ancora distante, ma non più così lontano come un tempo. Non come il giorno in cui risuonarono gli allarmi per la prima immersione, quella conseguente all’invasione Mikeros.
Pochi minuti e, sul ponte, la cupola inizia già a formarsi di nuovo. Le prime placche esagonali di energia.
Tetsuya e Jun guardano il tramonto. Il tramonto non di una sola giornata, ma di un intero periodo delle loro vite. Jun, in particolare, guarda l’orizzonte senza dire una parola. I muscoli del volto sono appena contratti, induriti.
La mano di Tetsuya, sulla spalla, la fa trasalire.


“Non devi aver paura. Ora non sei più da sola. Ora siamo in due, e non dovrai più affrontare da sola il Generale Nero. Siamo io e te. Siamo stati addestrati, per questo”


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Le labbra di Jun si piegano in uno strano sorriso. “Perdonami, ma adesso non ho voglia di pensare al nostro addestramento. E nemmeno alla guerra”.


Senza aggiungere altro, si allontana, percorrendo da sola il ponte di decollo, fino a tornare da sola dentro la Fortezza delle Scienze.
Tetsuya Tsurugi, l’indomito pilota del Great Mazinger, non riesce a fare altro che a seguirla con lo sguardo completamente meravigliato.


Uno scossone costringe tutti quanti a reggersi forte.
Come fosse un segnale convenuto, tutti quelli che sono rimasti sulla Fortezza delle Scienze si riversano fuori, sul ponte. Tutti quanti, piloti, personale medico, meccanici, scienziati, addetti alle comunicazioni.


Ognuno dei membri dell’Armata Mazinger respira a pieni polmoni l’ultima boccata di aria naturale. L’ultima boccata di pace, prima di un viaggio nel buio dei fondali marini e in quello – forse ancora più oscuro – dell’imminente battaglia. L’ultima boccata di pace che, proprio per questo, ha un retrogusto già di nostalgia e paura.


Come un cerchio che si chiude, i ricordi di ognuno vanno alla prima volta in cui la Fortezza si è inabissata.
Maria, Tetsuya, Jun. Paradossalmente, questi tre piloti, uniti tra loro da strani incroci di rapporti e di emozioni, sono quelli che meglio possono ricordarsi quei momenti. Non Hiroshi, ritrovato dopo l’anno di esilio sottomarino. Non Daisuke, che ora deve vedersela con un’oscurità più grande. Non Koji, ovunque egli sia, in questo momento.


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Per loro tre, l’inabissarsi porta ai ricordi di un’umanità distrutta, di un impero di mostri, di una fuga precipitosa. Di compagni che, per un motivo o per l’altro, adesso non ci sono più. I ricordi e l’augurio di farcela vanno a chi hanno lasciato, a chi stanno lasciando.
Al Direttore, Kenzo Kabuto, che più di ogni altro forse avrebbe dovuto assistere a questo scontro.
Alla piccola Lorelei, vittima di un destino infelice.
Al giovane Kurobe, sacrificatosi nella sua prima battaglia.
Alla dottoressa Asamiya – o alla Marchesa Yanus.
A Daisuke che, il giorno in cui il Generale Nero sfidò l’Armata Mazinger, voltò le spalle ai suoi compagni umani.
A Koji Kabuto, sacrificatosi per non diventare mai il mostro che s’è visto diventare nel futuro. A Mazinger Zeta, distrutto in quell’occasione.


I vivi e i morti, i presenti e gli scomparsi, si allontano con le ultime jeep che si allontanano all’orizzonte. Sono loro, l’unica cosa per cui si continua a lottare fino all’ultimo.
Per cui si continua a morire.
Perché questa è la via del samurai. La via del samurai è la morte.


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In quello che resta di Tokyo, intanto, si muovono i giganti. Enormi guerrieri biomeccanici che guardano freddamente le truppe di umani, riprogrammati, in marcia per tutta la città.
Vicino alla spezzata Torre della capitale giapponese, riposa Demonika, in attesa. Il capolavoro terribile del defunto Conte Blocken, ora in mano agli invasori che hanno calpestato il genere umano.


Dentro, il Maresciallo Inferno medita, guardando tutti i Generali delle Sette Armate rimaste in vita.
Decisamente pochi. La guerra contro l’Armata Mazinger ha preteso un prezzo troppo alto.


“IO pretendo l’onore di offrire le mie truppe e il mio appoggio al Generale Nero”, ringhia Rigarn, guardando fisso il Maresciallo e il primo Ministro Argos, accanto a lui.
“In base a che diritto? Ssssarò io a offrirgli la mia protezione. Io ssssono la Morte. Io decido della vita di ogni esssere vivente. E domani sssi deciderà del diritto alla sssopravvivenza del Generale Nero”
La lama della falce del Generale Hardias brilla nell’oscurità, come per imitare il folle sorriso disegnato sul volto che ha al posto della mano.


Un rumore ritmico, cadenzato, di mandibole che schioccano in un continuo e incessante tclac tclac! accompagna il ronzio crescente delle parole di Scarabeth, Generale delle Armate Insettoidi.
“Hardias… tclac tclac… amico degli umani… - il ronzio cresce d’intensità, quasi alimentato da una moltitudine di mosche, cavallette, api – nemmeno tu hai diritto di accampare nulla…”


La fiamma che circonda il teschio capovolto del Generale dei Morti avvampa di una rabbia malcelata. Il volto sulla mano, dalla pelle tirata e putrida, stringe gli occhi nel tentativo di mantenere il controllo.
“Come osssssi chiamarmi amico degli umani, Sssscarabeth?”
Tclac tclac… hai lasciato le loro città intatte… tclac… le loro vite… hai patteggiato con loro”
“Sssolo perché fossssero una nossstra rissssorsa!”
Il ronzio di Scarabeth schiocca in un’atroce, agghiacciante, parodia di risata umana. “Tclac tclac!… Risorse? Mikeros non ha bisogno di risorse. Le mie Armate, in Africa, hanno disinfestato la razza umana!”


“ORA BASTA!


La voce del Maresciallo Inferno impone il silenzio.
“Dite di aver aspettato nelle viscere della Terra per anni. Ora intendete forse perdere tempo in queste sciocchezze?”
Per un momento, il volto meccanico di Argos si fissa a guardare il Maresciallo Inferno, come se qualcosa – nel tono di quest’ultimo – avesse spinto il Primo Ministro a trattenere un improvviso scatto di rabbia. Quando però il volto sulla mano prende a parlare, il tono che ne esce è distaccato, pieno della solita flemma.
“È il nostro protocollo, signore. Un’Armata dovrà essere scelta per accompagnare il Generale Nero nel suo duello”


“NON INTENDO CHIEDERE AIUTO A NESSUNO”


I passi pesanti, rimbombanti per tutta Demonika, impongono il silenzio più assoluto, meglio di un qualsiasi ordine.
Passi regali, di chi è abituato a incedere e incapace di scappare. Di chi spacca la terra stessa, col solo peso del proprio terribile nome.


“Grande Generale Nero”, lo apostrofa il Maresciallo Inferno, con aria beffarda. Lo stesso nome viene pronunciato con tutt’altro tono dai comandanti delle Armate di Mikeros. Un tono pieno di sottomissione, rispetto e paura che non sfugge all’attuale capo dell’Impero Sotterraneo. Ognuno tra i tremendi Generali, responsabili di ogni genere di violenza e genocidio, rimpicciolisce fino a scomparire del tutto, nella possente ombra di quello che, fino a non molto tempo fa, era il loro condottiero.


Il Generale pianta per terra lo spadone a due mani, con una forza impressionante.


“Inginocchiati, Generale Nero”, ordina perentoriamente Argos.
La colossale montagna di tenebra rimane ferma dov’é.
“Non intendo portare alcun rispetto a chi portato il nostro Impero alla rovina”
“Ritirate immediatamente le vostre insinuazioni!”, sibila il Maresciallo, la voce contratta dalla rabbia.
“Angoras, Dreidow, la Fortezza Mikeros e la guerra con le genti dell’Impero Jamatai. Queste non sono insinuazioni, sono fatti”.
“E che dire allora di Birdler e Yuri Caesar? Non erano forse sotto la vostra responsabilità?”, replica il nuovo comandante Mikeros.
Il Grande Generale Nero annuisce, gravemente. “Sono pronto ad assumerla, quella responsabilità. E sono pronto a pagarla di persona. Voi? Dietro quale altro Generale intendete nascondervi? Non ne sono rimasti molti”
“Siete qui per fare politica, Generale Nero?”, mormora il Primo Ministro Argos a voce bassa, cupa.


Lo sguardo del Generale Nero è quello che riserva ai traditori, colmo di una superiorità e di un disprezzo schiaccianti. Cade, tagliente come lo spadone che porta, addosso ad Argos – colpevole delle macchinazioni che hanno portato il Maresciallo Inferno a prendere il suo posto – a Rigarn, sua accondiscendente pedina.
“No. Chiedo di affrontare l’Armata Mazinger da solo. Io e qualunque soldato voglia seguirmi volontariamente, senza l’ausilio di alcun Generale”
“Permesso accordato”, risponde subito il Maresciallo.


“Generale…”, esordisce Rigarn. La sua voce tradisce tutto il travaglio nella sua anima: l’ammirazione per il comandante e la vergogna per aver contribuito a deporlo. Distoglie la frase, soffocando in un ringhio l’incapacità di continuare oltre.
Hardias si inchina. “Generale. Sssappiate che la Morte veglierà sssui vossstri passi. E osssserverà”
Le mandibole di Scarabeth schioccano d’approvazione. “Tclac tclac… Valuteremo se sarete in grado di ristabilire il vostro onore perduto. E, nel caso abbiate successo, tornerete a essere il nostro Generale”


Il Maresciallo Inferno sbatte con violenza un pugno contro il bracciolo del suo trono. “Se non fossimo in tempo di guerra, non avrei tollerato questa insolenza, Scarabeth! IO sono il vostro comandante, e lo rimarrò. Generale, avete avuto il vostro permesso. Ora andatevene!”


Ma la voce dell’antico condottiero delle forze di Mikeros risuona ancora una volta, forse un’ultima volta, dentro Demonika.


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“GENERALI DI MIKEROS! Sappiate questo. È stato un onore combattere al vostro fianco. Sono stato orgoglioso di comandarvi alla testa dell’esercito di Mikeros. Sono stato orgoglioso di ognuno di voi, e lo sono ancora adesso”


Senza un solo ordine, senza un solo segnale, tutti i Generali e i soldati al loro seguito si inginocchiano davanti al Grande Generale Nero.
Il Grande Generale Nero, che esce dalla fortezza per incontrare il suo destino, qualunque esso sia.


“Alzatevi in piedi! Ve lo ordino!”, urla il Maresciallo Inferno.
Ma ognuno dei capi delle Armate rimaste, a testa china, rimane in silenzio, in ginocchio.
In un silenzioso rispetto verso colui che non è solo un generale.
È un eroe.


Un eroe nelle tenebre.

lunedì, giugno 09, 2008

44: Death Cross! La crisi dei mondi infiniti!

dsauro


Il Ministro della Difesa li guarda passare, affacciato alla finestra. Per un attimo le espressioni degli scienziati vicino a lui, non sono il segno preoccupato della catastrofe incombente, ma lo sguardo orgoglioso di chi sa che forse ci sarà un domani.
Tokyo si staglia tutta davanti a lui, tutta a guardare a sua volta le gigantesche anime di metallo che sorvolano i cieli e vegliano sul Giappone.
“Queste armi sono l’orgoglio della nostra nazione”, mormora il Ministro.
“Solo un’armata di simili supermen potrà salvarci dal Dragosauro”, fa eco il dottor Procton, appena dietro di lui.


Goldrake, il Goldrake 2, il Grande Mazinga e Getta Robot stanno intanto proiettando le loro ombre sul Mar del Giappone. Tutti gli strumenti sono tranquilli, ma non così l’animo dei piloti
Sanno che da un momento all’altro, senza che se lo aspettino, l’acqua potrebbe incresparsi e il terrificante mostro ritratto nelle fotografie del Dottor Saotomé spuntare fuori prima ancora che abbiano il tempo di preparare le armi.
La voce di Actarus risuona al comunicatore, non appena il Goldrake 2 sfreccia in avanti.
“Alcor, non fare mosse avventate!”
“Aspetta, Actarus, forse ho visto qualcosa”


Il Getta Robot si abbassa leggermente, a sfiorare il pelo dell’acqua.
“Confermo – fa eco Ryo, al comunicatore – c’è qualcosa che si sta muovendo, qui”
“Lasciatelo a me! Il mare è casa mia!”
“Non essere sciocco, Benkei – risponde con il solito leggero sogghigno Hayato – Restiamo in formazione”


L’acqua sembra incresparsi sempre di più, mentre un’ombra nera si fa largo dalle profondità oceaniche, pronta a uscire allo scoperto. Tetsuya, completamente incurante di quello che si stanno dicendo i suoi compagni di squadra, rompe la formazione, scagliandosi contro la sagoma che sembra farsi sempre più veloce. Sempre più veloce.
L’acqua ribolle.
“PRONTO AL COMBATTIMENTO!”, urla Tetsuya. Il Missile Centrale parte dal suo corpo per colpire il piccolo gorgo che si sta formando in acqua, nella zona ormai circondata dai robot.
Il missile parte.
Si schianta contro lo specchio d’acqua.
“TETSUYA, RAZZA DI IDIOTA! HAI INTENZIONE DI UCCIDERMI?”
La mano di Boss Robot si massaggia vigorosamente una testa sormontata da un colossale cerotto, proprio dove il missile del Grande Mazinga lo ha colpito. L’altra mano, stretta a pugno, è ancora rivolta contro l’impassibile pilota del robot di Tetsuya.
“Boss, idiota! Hai intenzione di farti uccidere? Vattene sulla terraferma con Jun e Sayaka!”
“Non ci penso nemmeno! E lasciare tutto il divertimento a voi? Neanche per idea!”
“ATTENTI!”
L’avvertimento di Actarus non fa in tempo ad arrivare che una nuova scossa, più forte della precedente, scuote la superficie del mare.
“Il radar segnala qualcosa”, mormora Alcor.
“Oh mamma! Oh mamma! Oh mamma!!!”. Boss Robot sembra aver perso nel giro di pochi secondi tutta la spavalderia di prima, annaspando per spostarsi dalla zona dove – adesso – un gorgo molto più largo e violento si sta formando. “QUALCUNO MI VENGA A PRENDERE! NON SO NUOTARE!”
“Capo, cerca di resistere – urla Alcor – veniamo a tirarti fuori!”
“Alcor, non essere imprudente!”
L’ultima frase di Actarus viene completamente sommersa dall’urlo di sette teste urlanti. Teste di drago che gridano così forte da far levare le onde ancora più alte, da innalzarle fragorose e devastanti contro la volta celeste…
“Mio Dio… il cielo! Guardate il cielo!”
La voce strozzata di Ryo per un momento distoglie l’attenzione di Alcor, che già ha iniziato la manovra di recupero, dallo spettacolo mostruoso dell’immonda creatura partorita dagli abissi.
Alcor, infatti, al contrario degli altri non può fare a meno di guardare quel cielo diventato improvvisamente verde, un verde innaturale.
La voce di Hayato rimbomba nei comunicatori di tutta la Squadra. “Registro picchi incredibili di Energia Getta! Gli strumenti sono…”
Il resto si perde in una serie scomposta di ronzii e rumore bianco che copre le voci degli altri.
Poi, sotto gli occhi terrorizzati di Alcor, il cielo sembra aprirsi completamente.
La voce di Actarus, ogni tanto, sembra riemergere dal caos degli strumenti impazziti.
“ALCOR! ALCOR! RISPONDI, ALCOR!”
Poi, per Alcor è solo la luce smeraldo. E poi il buio.



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“È arrivata una richiesta da parte del professor Saotome”, esordisce Yumi, davanti alla mappa tattica.
Tetsuya, Hiroshi e Maria, ancora feriti ed esausti dal combattimento precedente si guardano per un momento tra loro, di sottecchi. A nessuno ha fatto una grandissima impressione, lo staff di Saotome. Né i suoi arroganti piloti né tantomeno lo staff di scienziati, tutto meno che rassicurante, soprattutto dopo le parole di Amon.
Yumi aggrotta le sopracciglia, come se condividesse un’istintiva diffidenza e prosegue a spiegare.
“La richiesta è di liberare parte dello staff del professore da un’installazione della Human Alliance, posta sul Monte Asama”
“Il Monte Asama era anche la sede del primo centro di Saotome, stando alle informazioni recuperate a Berlino”, riflette Tetsuya.
Yumi annuisce. “Il primo Centro di Ricerche Saotome era nei paraggi di questa base. Quando venne distrutto da un attacco di Mikeros, il professore e il suo staff si trasferirono in una base della Human Alliance poco distante, sempre nei pressi del Monte”
Maria sgrana gli occhi, con un sorrisetto incredulo. “Ci sta dicendo che quei pazzi della Human Alliance e Saotome erano legati in qualche modo?”
“Da principio sì. Stando alle parole di Saotome, fu anche grazie alla Human Alliance che lui e i suoi tecnici riuscirono a sopravvivere nell’anno in cui la Fortezza era inabissata. Poi ci furono delle divergenze”
“Ed è per queste divergenze che alcuni suoi uomini sono chiusi lì dentro?”, chiede con una punta di sarcasmo Hiroshi.
“No. Contemporaneamente all’attacco Mikeros, ci fu una pesante infestazione Vegan, nella base, la cui origine è rimasta tuttora ignota. Saotome e i suoi furono costretti a scappare salvando quanto più persone possibili all’interno della base Kujira, quella che avete visto in azione”.
“Se c’è stata un’infestazione Vegan, non credo sia rimasto molto da salvare”, ribatte Hiroshi.
Di nuovo, Yumi scuote la testa. “Sembra invece che qualcuno sia riuscito a riparare alcuni strumenti di comunicazione e lanciare un SOS pochi giorni fa. Ci dovrebbero essere dei sopravvissuti, asserragliati in mezzo alla base.
“C’è qualcosa che non mi convince”, mormora Tetsuya. “Perché non mandare il loro robot e cercare di approntare le operazioni di recupero con lui? I nostri sono in riparazione e difficilmente potremmo muoverci per ancora alcuni giorni”
“Saotome intende utilizzare il Getter per coprire la zona da eventuali attacchi da parte di Mikeros, proprio perché è il solo robot al momento operativo. Per questo ci chiede una collaborazione per un’azione diretta all’interno della base. Anche io non sono del tutto convinto delle sue parole, ma dopo il prezioso aiuto con le testate lanciate dal Maresciallo Inferno, non me la sento di negargli aiuto”
Tetsuya riflette per un po’. “Andremo tutti?”


Yumi si rivolge a Maria, una volta definiti i dettagli dell’operazione. “Tu resterai alla Fortezza, Maria”
La ragazza resta piuttosto perplessa dall’ordine dello scienziato. “Dopo lo scontro con le Psychobear, Minerva è quella in migliori condizioni. Se ci fosse uno scontro, né il Great né Jeeg potrebbero affrontarlo al meglio”
“Questo non ha importanza. Avvicinarti a un luogo potenzialmente infestato dai Vegan potrebbe essere letale, per te”
“Potrei anche essere quella con maggiori capacità di comunicare con loro
Yumi scuote la testa, fissandola con l’aria di qualcuno ben poco propenso a scendere a patti. “Non intendo correre questo rischio”.
Appoggiato a un muro della sala, Tetsuya annuisce senza dire nient’altro.
“Andiamo solo io e Tetsuya, quindi?”, chiede Hiroshi.
“No. Il professor Saotome insiste affinché il suo Getter vi spiani il cammino verso la base e vi copra da probabili attacchi il tempo necessario perché svolgiate l’operazione. Inoltre, un altro pilota vi scorterà dentro e vi guiderà all’interno”
Yumi resta per un momento in silenzio. Poi, torna a parlare. “Non fraintendetemi. È ovvio che non voglio creare delle tensioni tra noi e l’altra equipe. Però, ho l’impressione che quella che Saotome ci sta chiedendo non sia del tutto un’operazione di salvataggio”
“Che non gli importi davvero della gente chiusa lì dentro…”, chiede Tetsuya.
“Non voglio dire questo. Ma che non siano il suo obbiettivo principale. Con discrezione, fate attenzione a tutto quello che non va. Abbiamo già avuto a che fare con la Human Alliance e sappiamo che spesso è in mezzo a ricerche ben poco ortodosse”
“Faremo attenzione. E proveremo a prendere qualcosa da lì”, conclude Hiroshi con un’alzata di spalle.
Yumi annuisce, senza aggiungere altro.


“Sono Sho Tachibana. Vi accompagnerò dentro la base, mentre i miei compagni faranno copertura”
La ragazza che si rivolge a Hiroshi e Tetsuya sembra più giovane di loro, con una lunga chioma rosso fuoco e l’aria piuttosto severa. In tutto e per tutto un soldato, già pronta per partire.
Quando rivolge freddamente un inchino, Tetsuya resta per qualche momento a guardarla, cercando di capire da dove venga quella strana sensazione di familiarità. Hiroshi, invece, già nella sua forma di cyborg, la guarda senza restituirle il saluto. Per quanto non sia nel suo stile ascoltare troppo le parole e le raccomandazioni del dottor Yumi, le parole pronunciate nel briefing incidono sulla fiducia verso la pilotessa di Saotome.
L’idea che sia lì non tanto per guidarli, ma per controllare le loro mosse, non riesce a uscirgli dalla testa.


In realtà, i convenevoli durano davvero poco: Sho non sembra essere davvero tipo di molte parole e, esaurite le formalità, si dirige con gli altri verso il ponte della Fortezza.
Il piano è piuttosto semplice, ed esige davvero appena un blando ripasso. Hiroshi e Tetsuya, con i robot ancora troppo danneggiati e in riparazione dopo lo scontro con le Psychobear, procederanno a bordo del Big Shooter e del Brain Condor. Sho Tachibana li seguirà con il Lady Command, una navicella progettata per essere un mezzo di supporto del Getter.
Per un momento, Hiroshi è tentato di chiedere come faccia ancora a essere operativo, il Getter (quello che i piloti della Fortezza hanno imparato a conoscere come il robot rosso). Ricorda perfettamente di aver visto una foto satellitare, scattata da Blocken, nel periodo in cui combattevano la guerra sul fronte tedesco. La foto ritraeva una base distrutta sul Monte Asama e il Getter, distrutto, inginocchiato a terra. Se il robot rosso è tuttora in circolazione, la conclusione più logica è che l’equipe di Saotome lo abbia già recuperato e che, quindi, abbia già fatto una precedente incursione nella base.
Jeeg resiste alla tentazione di chiedere spiegazioni. I sospetti, però, aumentano.


baseasama


Non vedere il Getter One partire subito con gli altri, non contribuisce a creare subito un’aria distesa. “Non dovete preoccuparvi – risponde Sho alle domande di entrambi i piloti – la velocità del Getter è tale da poterci raggiungere dalla Balena in pochi secondi”
“Che cosa dovremo aspettarci?”, chiede Tetsuya, con la voce avvelenata da un’ombra di sospetto.
“Parassiti, sicuramente. Le porte e le pareti delle sale del Centro sono abbastanza robuste da tenerli lontani, ma in tutto questo tempo, è difficile prevedere la situazione”
“Vegan, quindi?”
Sho resta per qualche istante senza rispondere. “.. sì, è il problema principale”


Il brevissimo resto del viaggio prosegue in un falso silenzio. Non ci sono trasmissioni tra un mezzo e l’altro, ma quelle tra il Lady Command e la Balena sono fittissime.
Sul gigantesco schermo della sala di controllo della Balena, il professor Saotome guarda Sho nel suo abitacolo, e poi la base della Human Alliance che comincia già a venire inquadrata.
Il volto di Sho è teso.
“Professore… i valori delle radiazioni Getter sono ancora decisamente fuori scala”
Il volto di Saotome si rilassa in un ghigno affatto rassicurante. “Stiamo ricevendo sullo schermo il tasso di radioattività Getter. È tutto nella norma, Sho. Con quello che è successo qui, non c’è nulla di cui stupirsi”
Un muscolo nella mascella di Sho si irrigidisce. “… sissignore”, risponde con una voce improvvisamente affilata e tenuta a freno.
Sembra che le ci voglia qualche secondo per calmarsi. “La nostra priorità, professore?”
“Ci sono ancora dei dati piuttosto importanti nel server centrale della Base. Inoltre, dovrai raggiungere i Laboratori al terzo livello sotterraneo e riferire le condizioni di… di ciò che troverai”
“Ciò che troverò?”
“Non è necessario che tu lo sappia adesso, Sho”
Di nuovo, forse ancor più visibilmente di prima, Saotome fa un sorriso divertito. Sho lo ricambia con l’ennesimo sguardo glaciale. “Pensavo che la nostra priorità fosse lo staff sopravvissuto. Suo figlio compreso”
“Beh… allora ti sbagliavi”, replica secco Saotome, interrompendo il collegamento.


La base della Human Alliance sul Monte Asama, adesso, è sui monitor di tutti e tre i piloti. La cupola centrale, aperta e sormontata da un enorme radar, ha la strana forma di una sorta di fiore metallico.
Tutt’intorno, però, più che essere una base ai piloti sembra di essere entrati in un cimitero di mostri. Le carcasse dei guerrieri Mikeros circondano completamente l’edificio. Le parti meccaniche sembrano svuotate, quasi che la carne ne fosse colata fuori. La vegetazione è completamente… bruciata non è la parola giusta. Sia Hiroshi che Tetsuya sarebbero più propensi a dire che, in qualche modo, sia stata completamente prosciugata.
Al centro, tra i cadaveri, un Getter Robot chinato sul proprio Tomahawk, esattamente come Hiroshi lo ha visto l’ultima volta. A guardarlo bene, ci sono alcune differenze con il modello in cui si è imbattuta l’Armata Mazinger: sembra più grezzo, meno ridefinito. Il volto presenta una quantità molto minore di placche, le ali sono rigide come uno scrander, invece della struttura in lega polimorfica che le fa assomigliare a un morbido mantello.
Tetsuya resta a guardare la scena. “Hiroshi, non rilevo nulla dai radar. Tu?”
Miwa, accanto a Hiroshi controlla il radar e scuote la testa. “Sembra che i Mikeros stiano alla larga da qui”
“Miwa, come al solito rimani nei paraggi, ma non ti esporre troppo”, si raccomanda per l’ennesima volta Hiroshi, non facendo altro che provocare uno sbuffo tra l’impaziente e l’intenerito della sua partner.


Sho sul suo Lady Command fa un rapido controllo, comunicandolo immediatamente alla base di Saotome. “Nessuna traccia di parassiti all’esterno”
Il professore annuisce. “La maggior parte di loro, la troverete dentro. Potete procedere… Ryoma, Hayato e Musashi sono in posizione”
“Professore, rilevo picchi di Energia Getter a livelli che non ho mai visto”
“Lo so, Sho. Nulla di inaspettato”
Il tono di Saotome, forse, vorrebbe essere rassicurante.
Sho reprime un brivido e, facendo un lungo sospiro, fa atterrare il Lady Command poco lontano dalla base.


anella


Tetsuya, Hiroshi e Sho scendono, piuttosto guardinghi sia verso ciò che li circonda che tra loro. Solo osservando meglio i nemici, Tetsuya nota che non tutti sono cadaveri Mikeros. Ci sono anche resti di robot da combattimento che non sembrano avere nulla di organico. Una sigla campeggia su di loro, O.N.I., ed effettivamente le loro fattezze ricordano quelle di giganteschi Oni meccanici.
Tetsuya prende Hiroshi da parte.
Machine-beast di Hell?”, chiede.
“Potrebbero”
“Eppure non mi sono mai sembrate così… simili tra loro, nella forma”
Hiroshi indica anche qualcos’altro. Un gigantesco cerchio di ferro, poco lontano dalla base. Un cerchio dal diametro estremamente ampio, cavo, come un enorme anello abbandonato sul terreno. Tetsuya, di nuovo, non può fare altro che scuotere la testa senza poter indovinare nulla sulla sua funzione.
Sho, lungi dal dar loro spiegazioni, si dirige verso l’entrata. L’attimo in cui Tetsuya è indeciso sul chiederle qualcosa, svanisce in fretta. C’è un filo rosso comune, tra lei e questa Sho, se ne rende conto. Qualcosa che non ha nulla a che vedere con l’affettività, ma con l’essere abituati a ragionare da soldati, a eseguire gli ordini, per quanto ci si possa trovare più o meno d’accordo con loro. Tetsuya non chiede nulla perché sa che comunque Sho non dirà nulla, come non l’avrebbe fatto lui prima di trovare la gente di Edo sulla sua strada.


Le porte, con il simbolo della Human Alliance sopra, sono semiaperte. Un guasto ai circuiti elettrici le tiene ronzanti e socchiuse. Le luci delle torce dei piloti, illuminano uno stanzone completamente vuoto. Sho è la prima a entrare. Manda un profondo sospiro e abbassa lo sguardo. Sembra improvvisamente carica di un qualche strano dolore o di un ricordo particolarmente sgradevole.
Gli occhi di Hiroshi intanto brillano nel buio, mentre scruta in ogni angolo di penombra, affatto tranquillo.
“C’è una sala monitor, su questo piano?”, chiede Tetsuya.
Sho annuisce.


vegansulmuro


I passi dei tre risuonano sul pavimento di linoleum. Nessun rumore, tutto intorno. Le pistole, strette nella mano di ciascuno, sono pronte a far fuoco al minimo segnale di pericolo.
Un piccolo respiro teso di Sho, prima di entrare nella guardiola di sorveglianza con l’arma tesa di fronte a sé.
Nulla.
Solo il monitor, molto grande, di un computer spento. Mentre Hiroshi e Tetsuya controllano l’ingresso della guardiola, Sho lo riaccende. A nessuno dei due piloti della Fortezza sfugge quanto la ragazza conosca perfettamente ogni codice che le permetta di introdursi nel sistema di sorveglianza della base. Per quanto questo, in sé, non voglia necessariamente dire nulla di che, un’occhiata tesa scocca tra Tetsuya e Hiroshi.
“Guardate qui”, mormora asciutta Sho.
Il monitor del computer inquadra varie stanze all’interno della base. Corridoi in cui la luce elettrica sembra esserci solo a sprazzi. Soffitti in cui una rivoltante materia organica nerastra sembra colare e allo stesso tempo respirare indisturbata.
“Vegan”, mormora Hiroshi.
Tetsuya annuisce, trattenendo il fiato.
“C’è qualcuno ancora vivo”, mormora Sho. Un’inquadratura, mostra una sorta di magazzino in cui sembrano essersi barricati un pugno di scienziati, militari e due figure in tuta da pilota.
Sho spalanca gli occhi, con aria preoccupata.
“Mondo e Mido”
“Puoi vedere dove sono?”, chiede Tetsuya.
“Sì, posso rintracciarli all’interno della base”
“Allora dovrem…”
Un’altra inquadratura interrompe il dialogo tra i due. La telecamera mostra una sala che assomiglia a una sorta di ambulatorio desolato. Sugli scaffali, ci sono alcuni barattoli disposti accuratamente in fila. In ciascuno di due tavoli da autopsia, un lenzuolo bianco è tirato a coprire corpi che – seppur nascosti – appaiono comunque troppo sproporzionati, troppo grandi. In fondo alla sala, tre strutture in tutto simili a celle criogeniche.
Sho rimane impietrita.
Hiroshi fa un piccolo ghigno, come se – per quanto colpito dal vedere la scena – non sia troppo stupito della piega che sta prendendo la missione.
“Facciamo che io vado a liberare quella gente, mentre voi date un’occhiata a quella roba”
Sho rimane per qualche istante a guardarlo, con un’aria dura. “… Va bene”, dice poi.
Sempre più nervosi e sospettosi, i nostri escono dalla guardiola, quasi col timore di respirare troppo forte.


I corridoi , spettrali, sono appena rischiarati dalla luce intermittente dei neon. Non è l’unica luce, però. Un persistente bagliore verdognolo sembra coprire tutto in una strana patina smeraldina. Una patina che non cessa di inquietare Tetsuya e Hiroshi. Sho, a differenza loro, per quanto sembri attenta, avanza senza soffermarsi minimamente sui particolari che ogni tanto catturano l’attenzione dei compagni.
Solo dopo alcuni metri si ferma, per puntare la torcia verso la parete, col respiro strozzato.


“Sono… sono arrivati fin qui”


Il soffitto, per istante, pullula di occhi e denti sbavanti, incastrati in una mostruosa gelatina bluastra che lo ricopre totalmente. Occhi che si puntano verso i tre, per poi tornare a guardare da qualche altra parte.
La mano di Hiroshi va alla pistola.
“Aspetta, Hiroshi…”, mormora Tetsuya, continuando a tenere lo sguardo fisso sui Vegan. Le immagini di Maria, delle altre come lei, si riaccende nella sua memoria.
“C’è qualcuno!”
La voce di Sho interrompe i pensieri del pilota del Great Mazinger. Il fascio della torcia va a illuminare il corpo tremante di uno scienziato. Sembra un cadavere disteso per terra, totalmente inerte.
Un piccolo rumore osseo, di qualcosa che somiglia a chele che si aprono e chiudono, forse.
Il corpo dello scienziato si muove, animato più da un brivido, una contrazione appena volontaria.
Lo sparo fa irrigidire in una morsa, brevissima, di panico i muscoli di Tetsuya e Sho.


“SEI IMPAZZITO?”
Il pilota del Great è pronto a scattare contro Hiroshi, ancora con in mano la pistola fumante con cui, senza tanti complimenti, ha ucciso l’uomo disteso per terra.
Hiroshi si limita a fare un cenno con la testa, verso di lui. “Guardalo bene”
Sho punta la torcia a illuminarne anche il volto. Stavolta, però, è costretta a distogliere di colpo lo sguardo, quasi colpita da uno schiaffo invisibile.
E la sensazione di essere colpiti da qualcosa di cattivo, traumatico, violento, prende anche gli altri due, quando gli occhi vanno sulla testa dello scienziato.
Non una testa umana.
Un tentacolo, con due occhi che si aprono in una carne rugosa e bluastra.


Tetsuya rimane fermo per un minuto sopprimendo il conato di nausea che per un momento gli stringe le viscere.
“Bene. Io e Tachibana ai laboratori. Hiroshi, pensi di riuscire ad arrivare nel magazzino in cui si sono rifugiati i prigionieri di questa base?”
Hiroshi guarda il corpo dello scienziato infestato, come se dovesse riprendere a muoversi da un momento all’altro. Poi annuisce.


culodizenon


La porta del laboratorio si apre su uno stanzone freddissimo, in cui la temperatura sembra essersi abbassata di colpo. I passi risoluti di Tetsuya e Sho sono l’unica cosa che si sente. Di nuovo, la luce della torcia fende l’oscurità. Di nuovo, ciò che illumina è ai limiti di quanto possa considerarsi sopportabile.
I barattoli sembrano pieni di corpicini in formalina. Piccoli, di colore giallastro, con i lineamenti e gli occhi appena accennati.
Ma sono i due tavoloni da autopsia la cosa che più di ogni altra cattura immediatamente l’attenzione. Con un cenno, da soldati addestrati, Tetsuya indica a Sho di coprirlo. SI avvicina a un lenzuolo. Solo dopo qualche attimo, in cui non sembra muoversi nulla, il pilota del Great ne scosta bruscamente uno.
Sul tavolo, aperto in un’autopsia, il corpo massiccio di un Oni. Un Oni dalle lunghe corna, coperto da quella che sembra essere un’uniforme da esercito austriaco, elegante e leggermente arretrata.
“Cosa diavolo è, questo?”, chiede Tetsuya.
La risposta della ragazza suonerebbe sprezzante, non fosse pronunciata con la massima freddezza. “Non credere ne sappia così tanto più di te”
Tsurugi la guarda con un’evidente espressione di incredulità, per poi tornare a concentrarsi sul cadavere. “Sembra sia stata fatta su misura”, conclude, accennando all’uniforme.


“Guarda anche qui”
L’altro corpo, scoperto da Sho è un gigantesco rettile dalle sembianze antropomorfe. Un logoro mantello è legato sulla schiena, quasi a dare una vaga idea di regalità.
Di nuovo Tetsuya rivolge lo sguardo alla pilotessa davanti a lui, come fosse conscio che la ragazza gli stia nascondendo qualcosa.
Sho lo restituisce, senza replicare.


I dati scorrono intanto veloci sul monitor che Hiroshi, abbandonati Tetsuya e Sho, sta cercando di craccare. La possibilità di poter di nuovo entrare nelle blindate stanze elettroniche della Human Alliance è troppo invitante per lasciarsela sfuggire.
Per qualche attimo, mentre gli occhi corrono frenetici sulle cartelle, anche la sopravvivenza degli uomini all’interno della base passa in secondo piano.
I numeri, i nomi, scorrono veloci.


Dotaku Project


Per un momento, il corpo meccanico di Hiroshi si irrigidisce. Poi, velocemente, riversa l’intero hard disk, chiedendosi cosa ancora ci sia della sua esistenza di sconosciuto a se stesso.
Solo dopo, guardandosi velocemente intorno, corre verso l’area in cui si sono rifugiati i sopravvissuti.


cryo


Sho e Tetsuya, nel frattempo, sono davanti ai tre container che hanno visto dalle telecamere. Chiusi, con solo un minuscolo oblò all’altezza della testa dei piloti, sembrano gli unici macchinari ancora in attività. Un terminale è ancora collegato a loro.
“Sembrano…”, inizia Sho, senza finire la frase. Non c’è bisogno che lo dica perché, dallo sguardo che le arriva da Tetsuya, il pensiero sembra tanto condiviso da – ancora una volta – non aver bisogno di troppe esplicitazioni.


Sembrano dei container di ibernazione


Con un sospiro decisamente preoccupato, Sho inizia a consultare il computer. Gli occhi si spalancano.
“E questo che diavolo é?”
Tetsuya si sporge sullo schermo a guardare. Per quanto sia psicologicamente preparato a ogni cosa, ogni possibile rivelazione sui suoi amici, sui robot che guidano, sui nemici che stanno combattendo o ennesimi, disumani esperimenti condotti dalla Human Alliance, per un momento il mondo attorno a lui si paralizza in una secca morsa di incomprensibilità.


I dati sul computer sembrano sfuggire a ogni logica.


SOGGETTO 1
Nome:
Ryoma Nagare
Età: 40 anni circa
Data del processo di Abduction: 21/10/1998 (non registrabile in toto come Abduction, vedi note)
Strato dimensionale di provenienza: Settore 5
Note: Unico fenomeno di contatto extra-dimensionale non provocato da un fenomeno Death Cross provocato dalla Human Alliance. Arrivato a bordo di una navicella in tutto e per tutto simile alla Get Machine Eagle, in progettazione dei laboratori del professor Saotome.
Intensa radiazione Getter registrata, poco prima del contatto.
Non sembra presentare sintomi di mutazioni Beast.
Violento e psicologicamente instabile. Ha ucciso tre soldati del dipartimento, prima di venire sedato. I polsi presentano abrasioni, come se fossero stati costretti per lungo tempo a manette.


SOGGETTO 2
Nome:
“Alcor”
Età: 23 circa
Data del processo di Abduction: 3/5/1998
Strato dimensionale di provenienza: Settore 2
Note: Nessuna notizia su nome o famiglia di questo pilota. In tutto simile a Koji Kabuto. Tutte le registrazioni sul mezzo con cui è stato prelevato lo indicano con il nome Alcor. Impossibile stabilire se si tratti di un nome o un soprannome. Nessuna esperienza di combattimento su robot giganti. Nessuna connessione con un equivalente del Centro Ricerche Fotoatomiche. Ottime capacità come pilota di mezzi volanti leggeri. La tuta di pilotaggio sembra differire da quella di Koji Kabuto.
Tratti caratteriali simili a quelli registrati nel profilo di Koji Kabuto.


Insicuro il successo nella fusione MZ: Mazinger potrebbe riconoscerlo come corpo estraneo e procedere di conseguenza (cfr. file Ryo Kabuto)


SOGGETTO 3
Nome
: Duke Fleed
Età: 25 anni circa
Data del processo di Abduction: 4/4/1978
Strato dimensionale di provenienza: Settore Fleed-5
Note: Forma di vita non umana. Primo caso di Abduction dal settore Fleed. Il soggetto presenta una velocità e una forza superiori alla media. Aspetto fisico del tutto simile a un uomo terrestre di circa 25 anni. Presenta numerose ferite sul torace, classificabili come colpi di arma a raggi o a scariche elettriche.
Il mezzo con cui è stato prelevato sembra un UFO costruito con un equivalente della Lega Polimorfica del dottor Tachibana. Nelle registrazioni, ci si riferisce a esso col nome di Gattaiger. E’ tuttora costruito nell’hangar.


“Koji Kabuto? Tachibana? Ma che cosa…?”
Con estrema prudenza, Tetsuya guarda dall’oblò del secondo container. Il cuore gli batte fortissimo nel petto.
“N- non è possibile!”
Il volto di Koji, a occhi chiusi come fosse addormentato, è l’unica cosa che si riesce a vedere all’interno.


Per Hiroshi è difficile orientarsi nel laboratorio. Inoltre, è tutt’altro che sicuro. I parassiti che coprono il soffitto e i muri sembrano non badare a lui, escluso l’orribile movimento degli occhi al suo passaggio. L’organismo di Hiroshi, talmente mutato dai nanoidi, forse potrebbe essere al sicuro da un’infestazione. Il ricordo di ciò in cui si è mutata per un istante Maria nel futuro, però, porta il cyborg a non abbassare la guardia per nessuna ragione, a non restituire nemmeno lo sguardo ai mostri dormienti sopra di lui.
Per un momento, la necessità di liberare i sopravvissuti è ancora una volta subordinata a quella di capire cosa si faccia nelle roccaforti della Human Alliance. Cosa leghi la misteriosa organizzazione ai loro robot, alle loro vite e forse all’invasione stessa dell’Impero di Mikeros. Per questo, prima di scendere nella zona dei magazzini, Hiroshi continua a cercare nella parte degli uffici della dirigenza qualsiasi indizio possa illuminarlo.
I frettolosi minuti di ricerca passano senza alcun successo. Poi, la torcia di Hiroshi ricade su una foto appesa al muro di un ufficio.
Il cyborg la inquadra direttamente. Una foto di gruppo, di alcuni scienziati in posa, sorridenti.


È molto vecchia, in bianco e nero, tuttavia non è difficile riconoscere ognuno dei membri.
All’estrema sinistra, un vecchio con un occhio solo e l’aria sicura di sé, l’unico che Hiroshi non riesce a ricollegare a nessuno. A fianco, a destra, un giovane dottor Hell, che evita di guardare in camera. Ancora a fianco, con un’aria annoiata, quello che alla Fortezza si è presentato come professor Saotome. E ancora a destra, una figura fin troppo familiare per Hiroshi. Suo padre, Senjiro Shiba.
Ma è la figura al centro a lasciarlo stupefatto. Non dovrebbe essere in una foto così vecchia, non dovrebbe nemmeno esser nato, all’epoca in cui è stata scattata. Unico a essere in abiti civili e non con un camice da scienziato, Ryo Asuka guarda direttamente l’obbiettivo con aria sorniona.


Senza pensarci due volte, Hiroshi prende la foto e corre verso la zona dei magazzini.


evilfleed


“Cosa facciamo, professore?” chiede Sho, in disparte, in una comunicazione privata con Saotome.
“Liberateli… tra poco la base non sarà più al sicuro”
“Cosa intendete dire?”
La voce di Saotome sembra quasi noncurante, come se – al solito – non ci fosse in gioco la vita dei suoi piloti, nell’operazione.
“Alcune truppe di Mikeros stanno muovendosi verso la vostra posizione. Ryoma, Hayato e Musashi hanno già iniziato a ingaggiare un combattimento con la prima linea per darvi tempo, ma non possono gestirli tutti quanti e i robot della Fortezza sono ancora in riparazione. Avete quindici minuti, circa”
Gli occhi della ragazza si spalancano, in una muta maledizione verso lo scienziato. “Tsurugi, dobbiamo muoverci!”
Tetsuya resta per un attimo a valutare le schede dei tre uomini imprigionati nelle capsule. Poi, annuisce. La notizia dell’attacco, arrivata anche da parte di Yumi, dalla Fortezza delle Scienze, spinge a prendere le decisioni il più presto possibile.
“Somministra una dose massiccia di anestetico al soggetto 1. E’ il più pericoloso. Se liberiamo il 2 e il 3 dovremmo riuscire a trasportarlo”
Sho annuisce e si mette all’opera, mentre Tetsuya apre le gabbie di contenimento.
Una spessa coltre di vapore copre il pavimento.


Photobucket


“Non preoccupatevi per il mio aspetto… non sarà troppo piacevole da vedere” urla Hiroshi, rivolto alla porta d’acciaio.
“Amico, se ci porti lontano da quei maledetti mostri, il tuo aspetto non sarà affatto un problema”, risponde, dall’altra parte, la voce a cui Hiroshi ha parlato, identificandosi come un combattente della Fortezza delle Scienze.
In forma di cyborg, Hiroshi scardina letteralmente la porta, con un piccolo e insignificante sforzo.
Il rumore, dietro, è quello di decine di persone che si ammassino precipitosamente lontano, sicuri di veder l’entrata della loro zona protetta saltare in aria da un momento all’altro.
La porta viene sbattuta con violenza da un lato del corridoio.
Davanti a Hiroshi, uno dei magazzini della base, fornito abbastanza da poter sostentare per più di un anno lo sparuto gruppo di scienziati e militari rimasti all’interno del laboratorio di ricerca. Tutti indietreggiano terrorizzati, nel vedere Hiroshi – pur con le mani alzate – che avanza nella fredda luce dei neon.
Tutti a parte due.
Uno è un ragazzo con un cicatrice sul volto, seguito da una donna più o meno della sua età. Il ragazzo ha un ghigno strafottente sul volto, e fa un cenno di saluto.
“Ce ne avete messo ad arrivare, eh?”
Hiroshi fa un leggero sorriso, per nulla disturbato dal diverso e più tranquillo atteggiamento tenuto dal giovane.
“Chi sei?”
“Il mio nome è Mondo. Mondo Saotome. Lui è il mio amico, Mido Tatsuma. Siamo alcuni dei piloti che stavano all’interno di questa base”
Hiroshi guarda la donna, con gli occhi leggermente spalancati. “… lui?”
“Piacere”, fa Mido con un sogghigno. E ha una voce inequivocabilmente maschile.


Il racconto di Mondo Saotome è piuttosto confuso. Lui e Mido sono rimasti imprigionati dentro il Centro quando le tensioni tra suo padre, il professor Saotome, e la Human Alliance sono arrivate a un punto di non ritorno. Un colossale attacco ha visto il Getter di Saotome lottare contro i Mecha O.N.I. della Human Alliance (quelli visti fuori dalla base) e le forze dei rettili di Mikeros.
“E come se non bastasse, qualcosa ha anche scatenato un’infestazione dall’interno di questi mostri”, conclude poi, indicando con un cenno le pareti nere all’esterno della sala.
“Come è potuto succedere?”
Mondo scuote la testa. “Non ne ho idea. Chissà che razza di esperimenti stavano facendo qui. Per quanto posso immaginarmi, qualche botto durante la battaglia potrebbe aver dato modo a questi schifi la possibilità di uscire da qualunque posto fossero chiusi qui”
“E voi, come siete rimasti qui?”
“Siamo rimasti chiusi dentro. A un certo punto, fuori, la battaglia deve aver preso una piega decisamente pericolosa. La base è entrata in modalità di allarme totale e ha chiuso ogni via di uscita. Noi abbiamo provato a uscire ma…”
Mondo manda a Hiroshi uno sguardo, come se volesse chiudere il discorso.


Sopra di loro, gli ammassi di carne Vegan abbarbicati alle pareti, iniziano a muoversi…


alcor


“Koji! Koji!”
La vista si snebbia, mentre Alcor cerca di mettere a fuoco il volto davanti a lui.
“… Tetsuya?”
“Mi riconosci?”
“Certo che ti riconosco, razza di arrogante bastardo! Non credere che…”


La voce si strozza nella gola di Alcor, quando si rende conto di dove si trova. Tetsuya, l’unico che riesce a riconoscere in questo scenario, ha un’espressione molto più preoccupata delle altre rare volte con cui ha avuto a che farci. Sembra quasi… speranzoso? La ragazza dietro di lui, con i capelli rossi, non l’ha mai vista. Sembra intenta a scaricare dei dati da un computer, mentre il suo compagno è impegnato a farlo rinvenire.
I ricordi si fanno un po’ meno nebulosi. La battaglia contro il Dragosauro, il cielo che diventava verde… poi la sensazione di qualcosa in frantumi, forse il cielo stesso, e la consapevolezza di star precipitando col suo Goldrake Due. Soldati, che lo prelevavano mentre ancora era semicosciente. E il freddo, freddo pungente e disumano che…
“Dove sono?”
La voce che sente da un lato è familiare. Anche la tuta da pilota dell’altra persona che, come lui, si sta faticosamente rialzando da terra. La tuta di Actarus, anche se… anche se è completamente nera.
“Actarus?”
“Daisuke?”, gli fa eco Tetsuya.
Il pilota guarda prima confuso Alcor, poi Tetsuya. “S-sono… sono Duke Fleed. Principe di Fleed. Chi siete e dove siamo?”
“È una questione lunga da spiegare – risponde il pilota del Great, prevenendo anche le mille domande di Alcor – dobbiamo muoverci, adesso. Non sappiamo entro quanto i Vegan all’interno di questo edificio potranno risultare un pericolo”
Duke Fleed annuisce, cupamente. “Sento la loro presenza. Ya-Bahrn. Così li chiamiamo noi”
Alcor cessa per un momento di guardarsi intorno. “Li conosco anche io, i Veghiani. Non sono così pericolosi da non poter esser messi a bada. Sono solo dei pagliacci col cappuccio”


Sho, impegnata a trasferire su chiavetta ogni dato del computer da riportare poi a Saotome, si ferma per un istante, alzando di scatto la testa e imponendo con un cenno di fare silenzio.
Un rumore mostruoso da fuori, di mandibole che schioccano e di carne che striscia…
Un segnale di Hiroshi al comunicatore.
“Tetsuya, dobbiamo andarcene alla svelta!”


“Mondo! Mido!”
“Sho!”
I due gruppi si riuniscono in uno degli interminabili corridoi della base. Tetsuya e Alcor stanno tenendo Nagare, ancora semi incosciente. Hiroshi sta guidando i sopravvissuti verso l’uscita.
Il mondo sta ribollendo intorno a loro.
Una fiumana nera, furibonda, di zanne sguainate e sbavate cola dal soffitto sul pavimento.
“MUOVETEVI!”
“PRESTO!”
I piloti corrono all’impazzata, togliendosi di dosso gocce di carne aliena, brandelli semiliquidi, organici, che pungono in piccolo morsi, che strisciano verso occhi, naso, bocca… verso ogni minima cosa possa permettere loro di scavare un varco nella carne.
Corrono in avanti, corrono e basta.
Le pareti, il soffitto, il pavimento… tutto diventa un’onda nera che cerca in tutti i modi di inghiottirli.
“DI QUA! DI QUA!”
Uno degli scienziati inarca la schiena, mentre il busto viene trafitto dall’interno da quelli che sembrano sottili e fortissimi tentacoli. Decine di bocche si aprono nel suo corpo, instabili e ribollenti in una tempesta di pelle.
“SPARAGLI! SPARAGLI!”
Un colpo gli spacca la testa di netto. Dato forse da Hiroshi, forse da Mondo. Tutto si fa confuso. Nella fuga, l’unica cosa che è possibile vedere sono le decine di occhi che si aprono, sbavanti nella stessa misura delle bocche e le sagome dei primi scienziati infestati, con le teste che mutano fino ad assumere la forma di tentacoli.
“L’hangar… c’è… ci sono… le navicelle…”
Tetsuya si volta stupefatto verso Nagare che sembra starsi per riprendere, nonostante le quantità assurde di anestetico che lui e Sho gli hanno somministrato.
“Tachibana, puoi fargli strada? Io e Hiroshi cerchiamo di coprirvi!”
“Ryokai!”
Di nuovo la corsa estenuante. Alcor si affianca a Duke. Il vecchio cameratismo, difficile da superare anche se la persona che gli sta vicino non è esattamente il suo amico, ha il sopravvento.
“Tutto bene, Act…cioè, Duke?”
Duke Fleed si ferma per un secondo. “Se vuoi, puoi chiamarmi Actarus”
Alcor annuisce. “Credo che lo farò, allora”


gattaigaaa


Un cadavere di un mostro Mikeros, uno appartenente alle armate del defunto Generale Dreidow si abbatte al suolo non appena i nostri riescono a fuggire.
Il Getter One, con il Tomahawk grondante di sangue si lancia verso gli altri avversari. Vicino a lui, un altro robot dello staff di Saotome, dalle sembianze di gigantesco cowboy spara all’impazzata con una coppia di cannoni modellati come vecchie Colt, contro un altro gigantesco sauro che si sta avventando contro di lui.
“Qui Sho! Com’è la situazione?”
“Puoi vederlo da sola - ringhia Ryoma, con un ghigno compiaciuto e ferino sul volto – Avete finito?”
“Coprici, finché non arrivano i soccorsi dalla Kujira e dalla Fortezza”
Il disco volante di Duke Fleed decolla, rimanendo comunque nell’area dei combattimenti. Il Goldrake Due, una copia esatta del Double Spacer, lo segue a sua volta. E poi, un’altra astronave li segue…
“Ryoma, guarda!”
La voce stupita di Musashi arriva nello stesso momento in cui un pugno del Getter ha sfondato il cranio di un altro nemico.
“Che c’è, ciccione? Non vedi che sono impegnato?”
“Guarda quella, ti dico! E piantala di darmi del ciccione!”


Ryoma guarda. Guarda un’Eagle perfettamente simile alla sua, uscire dalla Base Asama.
“Eh?!”
La voce fredda di Hayato risuona nei comunicatori di tutti e tre. “Non è possibile che appartenesse a un prototipo nell’hangar. Quando ce ne siamo andati di qui, abbiamo preso tutte le navicelle sul ponte di decollo”
Dalla navicella, una voce chiede istruzioni a Sho per la battaglia.
Le mani di Ryoma si stringono sui comandi. “Non è possibile… sembra… sembra la mia voce! Maledetto vecchio, che diavolo hai fatto stavolta?”


ooook


“OK!!! TEXAS MACK IS HERE!”, grida intanto il pilota del robot a forma di cowboy. Afferra il grande anello che Tetsuya e Hiroshi avevano notato all’entrata della base e lo strattona con forza. Una lunga catena esce dal terreno, trascinandosi dietro quella che ha tutta l’aria di essere una gigantesca bara.
Un urlo entusiasta accompagna l’aprirsi della bara, e lo svelarsi di un gigantesco fucile al suo interno.
Texas Mack punta il fucile verso gli ultimi mostri che avanzano, iniziando a cecchinarli uno a uno, senza pietà, mentre il Getter continua a infierire da distanza più ravvicinata.


La battaglia si risolve in breve tempo a favore dei nostri.
Poco lontano, la base sembra ribollire di parassiti, della melma nera e coperta di occhi e zanne. L’effetto dura solo pochi attimi. L’enorme massa organica Vegan striscia nuovamente nel buio della base, lasciandola apparentemente tranquilla.
Sho la guarda con occhi distanti e turbati, come se quello spettacolo la colpisse più profondamente ancora degli altri piloti accanto a lei. Come se non ci fosse solo l’orrore per gli alieni a lasciarle quello sguardo indurito e segretamente addolorato al tempo stesso.
Il suo comunicatore suona.
“Tutto bene, Sho?”. La voce di Saotome.
“Sissignore”
“Hai recuperato i dati dalla camera di ibernazione?”
“Sissignore”
“Bene. Tra poco arriveranno i soccorsi. Assicurati che Nagare, quello che avete recuperato, venga alla nostra base”
“… signore?”
“Dimmi, Sho”
“Suo figlio sta bene”
“Ottimo. Riporta lui e Mido con il Lady Command. Meno hanno contatti con Nagare, meglio è. Ci vediamo alla base”


Qualcosa si stringe nello stomaco di Sho, mentre chiude la comunicazione. Quando i primi velivoli da trasporto scendono fino alla loro posizione, la ragazza si limita a ripetere l’ordine di portare Nagare alla base Kujira. Poi, senza aspettare altro, sale a bordo del Lady Command e se ne va.
Non si volta mai indietro.


Gli ordini sono quelli contro cui si scontrano Tetsuya e Hiroshi, poche ore dopo.
“Siamo stati noi a liberarlo, e abbiamo delle domande da rivolgergli!”, insiste Tetsuya, guardando Nagare che viene imbarcato con gli altri sopravvissuti nel trasporto.
Il demone d’acciaio che risponde al nome di Hiroshi Shiba fa per frapporsi tra il pilota del Great Mazinger e quello del velivolo, che ha appena spiegato come i suoi ordini siano di portare a tutti i costi il misterioso e silenzioso Nagare fino alla base Kujira.
“Forse è davvero meglio che lo lasci a noi, se non vuoi…”
“Aspetta, Hiroshi – lo interrompe Tetsuya, tornando a guardare il pilota del velivolo – Non fa nulla, lasciamo perdere”


Proprio mentre stanno tornando indietro, tra le proteste di Hiroshi, Tetsuya prende il cyrborg in disparte.


“Hiroshi… riusciresti a prendere di nuovo la tua forma umana?”
“Sì… non credo ci siano problemi”
“Allora facciamo in fretta… ci vorrà solo qualche minuto, prima che li imbarchino tutti”


ryuuuuma


I motori a piena forza. La penombra, filtrata solo da qualche sporadico oblò. La sensazione di un decollo lento, molto distante dal brusco staccarsi da terra a cui Nagare è abituato. Una moltitudine di persone stipate insieme a lui, ancora impaurite e decisamente denutrite. Li disprezza uno a uno, vorrebbe solamente restare da solo.
Sulle braccia ancora i segni delle manette, e nella memoria ancora quelli – confusi – della terra che ha lasciato. Una terra distrutta, devastata da orde di demoni e da uno spaventoso mostro di luce…


“… Dio”, sussurra Nagare nella semi-oscurità.


“Nagare”
Il superstite fa scattare lo sguardo verso chi ha parlato. Non lo riconosce, per quanto il periodo appena dopo il suo risveglio sia ancora una macchia indistinta nella memoria, che ancora non riesce a mettere a fuoco del tutto.
“Mi chiamo Hiroshi Shiba. Mi hai visto alla Base Asama ma… ero abbastanza diverso”
Nagare lo guarda a lungo. “Che vuoi?”
Hiroshi, per quanto gli altri superstiti non stiano facendo troppo caso alla scena, si avvicina e abbassa leggermente la voce. I motori e le eliche coprono col loro frastuono buona parte delle sue parole.
“Vengo da parte della Fortezza delle Scienze. È una struttura che…”
“So cos’è”, taglia corto Nagare.
“Quando atterreremo, ti chiedo solo di seguirci. È una tua libera scelta, ma vorremmo che tu venissi con noi, per capire qualcosa di te e di quelli che erano prigionieri con te. Poi, se lo vorrai, ti riporteremo da Saotome”
“Saotome – gli occhi di Nagare sembrano accendersi – Questo affare ci sta portando dal vecchio?”
Hiroshi non risponde immediatamente. “…Sì”
Nagare ci pensa su. “Beh… voi credete di avere delle risposte?”
“Forse. Qualcosa del genere, essere trasportati in una sorta di altra dimensione, è capitato anche a noi giorni fa. Qualche risposta te la possiamo dare, poi…”
Nagare si alza. “Mi hai convinto”, dice alzandosi verso la cabina di pilotaggio.


Seguito da Hiroshi, sotto lo sguardo attonito degli altri, Nagare irrompe nella cabina. Prima che il pilota possa anche solo accorgersi di nulla, viene stordito immediatamente.
“Dammi le coordinate”, dice Nagare a Hiroshi, mettendosi ai comandi.


elicottero


Il velivolo di trasporto, con un pilota della Fortezza ai comandi, riparte verso la Kujira.
“È bene affrontare le cose senza girarci intorno”
La voce di Yumi, nella Sala Riunioni, è bassa e ferma, per quanto la situazione sia paradossale. Trovarsi una copia di Koji Kabuto che lo guarda smarrito non aiuta certo a distenderla. Ripercorrere la guerra con Mikeros, la situazione in cui versa il mondo è difficile. L’espressione stupita di alcuni di loro, come Alcor, darebbe da pensare che la guerra che si è combattuta in altre dimensioni sia stata molto meno devastante.
“Il vostro… la vostra dimensione di appartenenza non è questa. Siete finiti, e dobbiamo cercare di capire insieme come, in una sorta di realtà parallela. Siete stati… prelevati, giusto?”
Tetsuya e Hiroshi si lanciano un breve sguardo. Tetsuya annuisce.
Maria, arrivata alla riunione ancora leggermente ferita, sta invece guardando con una strana intensità Duke Fleed. Nessuno può fare a meno di notarlo. Nessuno può fare a meno di attribuire un preciso significato alle successive parole del pilota.
“Uno di loro è dentro di te, vero?”
L’espressione di Maria non appare troppo stupita. Quasi, sono parole che confermano ciò che ha avvertito a livello emotivo.
“Sembri saperne molto”, si limita a rispondere.
Duke Fleed annuisce.
“Quelli che voi chiamate Vegan, noi li chiamiamo con un nome che fareste fatica a pronunciare. Alcuni tra i terrestri che hanno provato a riprodurre il suono, lo pronunciano con una parola simile a Ya-Barn. Gli alieni di Ya-Barn hanno invaso la mia terra. Sono piombati come locuste. Hanno infestato uomini, donne, bambini. Non è rimasto nulla. Solo io sono riuscito a fuggire grazie alla velocità di Gattaiger e alla forza della sua forma-robot, Roboizer”
La voce di Duke sembra incupirsi, al dispetto delle sue parole, così neutre in chi ha visto consumarsi una tragedia simile.
Tetsuya annuisce. “Questa configurazione robot… somiglia per caso a questo?”, chiede, facendo passare su uno schermo alcune immagini di Grendizer.
Se a Duke non sembrano dire nulla, Alcor annuisce vigorosamente. “Quello è Goldrake!”
Tutti puntano l’attenzione sul giovane sosia di Koji che, accorgendosi di essere al centro degli sguardi di tutti, fa una risatina imbarazzata accarezzandosi la nuca. “Andiamo con ordine. Io mi chiamo Alcor. Sono stato un collaudatore del Grande Mazinga e ho aiutato Goldrake a difendere la Terra a bordo del mio TFO… e successivamente del Goldrake Due, il mezzo volante che avete recuperato”
“… e Mazinger Z, suppongo”, conclude Yumi.
Alcor spalanca gli occhi, sinceramente stupito. “Veramente no. So che c’è stato un altro pilota su Mazinga, ai tempi della guerra con il Dottor Inferno. Sicuramente non avrebbero chiamato me: la guida di robot da combattimento non è affatto una mia specialità”
Per un momento, un silenzio freddo e stupito cade sulla Sala Riunioni. Sentire qualcuno di così simile a Koji dire di non avere alcuna esperienza in combattimento è decisamente spiazzante.
“Se te ne fosse fornito uno?”, azzarda Hiroshi.
Alcor fa spallucce. “Non credo che mi servirebbe molto. Come ho detto, me la cavo meglio coi mezzi leggeri. In ogni caso, ho esperienza nella guerra contro Vega, anche se mi riesce piuttosto strano vederli come parassiti”
“Che cosa sono nel vostro mondo?”, chiede Maria, piuttosto interessata.
Lo sguardo di Alcor va verso di lei, indugiando per qualche istante.
“Che c’è?”, chiede la ragazza, preparata a un ennesimo commento sprezzante sulla sua infestazione Vegan.
Curiosamente, invece, Alcor sembra quasi arrossire, affrettandosi a distogliere lo sguardo.
“Sono… soldati incappucciati, ve l’ho detto”


L’ultimo profugo dimensionale rimasto, Nagare, fissa a sua volta Maria.
“Siete così sicuri di voler fare questi discorsi davanti a questo mostro?”,dice senza mezzi termini.
“Siamo alle solite”, sbuffa Maria alzando gli occhi al cielo.
Alcor si frappone tra i due, con lo sguardo fisso negli occhi cupi e ferini dell’altro. “Non azzardarti mai più a dire una cosa simile”, ringhia a denti stretti.


Stavolta non è solo Maria a spalancare gli occhi per la sorpresa, ma anche Tetsuya, Hiroshi e Yumi fissano il nuovo arrivato come se avesse appena ricevuto una botta in testa.
Abituati ai violenti alterchi tra il pilota di Z e la coscienza umana di Minerva, una difesa così accalorata è forse lo scenario più assurdo di tutti, più ancora di trovarsi ad avere a che fare con reduci di altre dimensioni.
Nagare fa un ghigno. “Il mio mondo è stato distrutto dalle forze di Duke Fleed, di cui lei era il braccio destro”
“Impossibile – replica risoluto Alcor – Act… Duke Fleed non farebbe nulla di male ai terrestri”
Il Duke Fleed recuperato dalla base Death Cross, per quanto non preso direttamente in causa, annuisce silenziosamente.
“Nel nostro mondo, Duke Fleed ha attaccato la Terra con un esercito di diavoli. Sua sorella ha assassinato il dottor Yumi, e stava per fare lo stesso con Shiro Kabuto. Sei stato tu stesso a fermarla in tempo”
“Questo è…”
“Questo è vero – continua implacabilmente Nagare – Duke Fleed ha portato il primo dei suoi attacchi a Tokyo, aprendo le ostilità e uccidendo una pilotessa di sua conoscenza in battaglia. Venusia”
“Venusia…”
“Venusia è morta perché era stupida e inutile. Come tutto il team di Procton”


Per quanto nessuno ricolleghi il nome Procton a qualcuno, la rabbia negli occhi di Alcor indica che ciò che Nagare ha colpito è stato sicuramente un nervo scoperto. Tetsuya riesce a fermare appena in tempo il suo pugno, prima che un solo gesto avventato faccia scoppiare una rissa.
“Continua”, dice rivolto a Nagare.
“Il conflitto tra noi faceva parte di qualcosa di più grande. Un conflitto contro un’entità di pura energia con cui tu, Tetsuya, eri fuso e che gli altri chiamavano Imperatore delle Tenebre”


L’accenno al nome e alla creatura non riesce a lasciare indifferente nessuno dei presenti. Il collegamento corre subito al mostro incontrato nel futuro, dentro il Monte Fuji. Dio, come si autoproclamava.
“E’ stato solo il risvegliarsi di quella creatura che ha posto fine alle ostilità tra il nostro esercito e quello di Duke Fleed. Abbiamo combattuto insieme il mostro ma non abbiamo impedito che l’umanità venisse quasi sterminata nel conflitto. L’Imperatore delle Tenebre è imploso in una sorta di buco nero, il varco da cui io sono passato, e che Koji Kabuto ha passato poco prima di me”
Resta un po’ in silenzio. “Attualmente, gli unici esseri umani ancora vivi sulla mia dimensione sono, a parte noi, Jun Honoo e… Hayato Jin”
“Come si è estinta la razza umana?”, chiede Maria, cupamente.
Nagare le rivolge un ennesimo ghigno sprezzante. Per un momento sembra quasi intenzionato a non rispondere. Poi, la sua voce matura e tagliente al tempo stesso riprende a parlare.
“L’Imperatore delle Tenebre sembrava strappare l’anima dal corpo della gente. Cibarsene e ingigantirsi. Uno dei miei compagni, Benkei Kuruma, è scomparso alla guida del Getter Three trasformandosi in pura energia e venendo divorato da quel mostro”
“Quindi – prosegue Yumi – Quel mostro potrebbe essere fatto con…”
“Ma certo…”, mormora Tetsuya.
“… con Energia Getter alimentata dagli esseri umani? Se vi state ponendo questa domanda, la risposta è sì”
Yumi annuisce. “Sembra che da ogni parte in cui guardiamo, i raggi G continuino a essere al centro di ogni cosa”


“Ed è impossibile comprendere i fenomeni Death Cross senza comprendere anche l’energia Getter”, spiega Saotome. Il suo volto appare sullo schermo della sala conferenze. Accanto a lui, la figlia Michiru e – inspiegabilmente – nessuno dei piloti. Saotome non sembra turbato per il dirottamento subito dal cargo in cui veniva trasportato Nagare. Non ne fa nemmeno accenno e Yumi, del tutto ignaro della cosa, a sua volta non ne fa menzione.
“Ciò che si scoprì molti anni fa, negli studi condotti sui raggi Getter, è che una loro massiccia irradiazione permette di creare delle crepe nello spazio-tempo. Ipotizziamo di non vivere in un unico universo, ma in un multiverso estremamente sfaccettato. Ogni faccia è diversa dall’altra, a volte per minuscoli particolari, a volte per altri macroscopici. Alcuni studiosi ipotizzano che solo l’atto di volontà di fare una semplice scelta possa creare universi paralleli in cui tale scelta ha avuto un esito differente o non è stata compiuta affatto. Filosofia… ciò che importa è che un massiccio irradiamento di energia Getter può portare all’aprirsi di varchi tra queste dimensioni”
“Come il nostro viaggio nel futuro…”, mormora Hiroshi.
“Ma per quale ragione prelevare uomini da realtà differenti?”, chiede un imperturbabile Yumi.
“Sono tutti piloti. Immagino venissero usati come cavie o crash-test per i robot in progettazione. O forse semplicemente per raccogliere più informazioni possibile su sviluppi alternativi della nostra realtà. Non so, non conosco le ragioni della Human Alliance”
Per un attimo Hiroshi fa per scattare, facendo notare allo scienziato che le ragioni gli sono note eccome, avendo fatto parte del direttivo interno, come testimoniato dalla foto. Un rapido sguardo di intesa con Tetsuya lo convince a non rivelare subito l’informazione. Continuando a guardare cupamente lo schermo, si siede.
“Ma esiste un modo per tornarcene a casa?”, chiede Alcor, con una nota di preoccupazione nella voce.
Saotome scuote la testa. “Forse un irradiamento massiccio di raggi Getter… senza la minima garanzia che, però, ritorniate nel vostro mondo di provenienza”
Maria, Tetsuya e Hiroshi annuiscono. Le stesse parole che hanno dovuto ascoltare nel loro allucinante viaggio nel futuro, lo stesso azzardo sotto il Monte Fuji, a tu per tu con l’Imperatore delle Tenebre.
“Troveremo un modo”, mormora Maria, senza però esserne troppo convinta.


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Alcor fa per ribattere quando, di colpo, un’interferenza sembra deformare l’immagine di Saotome, sullo schermo. Hiroshi, Maria e Tetsuya balzano in piedi, allenati da ripetute volte in cui scene come questa hanno fatto da presagio a momenti terribili, pronti a tener testa all’ennesima sfida del Maresciallo Inferno.


Non è il Maresciallo Inferno, quello sullo schermo. Il volto rosso fuoco e irto di denti di Amon è proprio davanti a una Londra disabitata, devastata. Una legione di demoni, urlante, deforme, completamente disumana è alle sue spalle, quasi lo riconoscesse per istinto come capo.


“Umani! i demoni sono al mio servizio. Vi avevo detto che li avrei raccolti e ora ho mantenuto la promessa”


Nagare si alza in piedi, apostrofando Yumi. “AVETE PATTEGGIATO CON QUESTA COSA? QUELLO E’ IL VOLTO DEL NEMICO CHE HO COMBATTUTO!”


Tetsuya guarda Yumi di sfuggita, tenendo gli occhi in realtà sempre puntati sul demone. Lo sguardo preoccupato di Maria è la conferma ai suoi timori. L’uomo diavolo sembra molto diverso. Simile a quando si è avventato sui missili del Maresciallo, simile al mostro che divorava i resti delle vittime della battaglia prima di accasciarsi a terra. Simile a quello che, impazzito, cercava di fare a pezzi Minerva X per cercare la “sua” Sirene.
“Credo che di umano, in lui, sia rimasto poco”, mormora Maria, a mezza voce.
“YUMI! DECIDI! I MIEI DEMONI SCENDERANNO NELLA TUA BATTAGLIA CONTRO IL GENERALE NERO?”, ruggisce allo schermo quello che, adesso, è in tutto e per tutto il volto del demonio.
Yumi resta senza parlare, con la fronte imperlata di sudore.
“ACCETTI QUESTO PATTO? NON HO MOLTO TEMPO… SI AVVICINA IL MOMENTO IN CUI NOI DEMONI DOVREMO COMBATTERE INSIEME AL PRINCIPE DI FLEED”
“Un patto si accetta quando si conosce la contropartita”, dice lo scienziato, guardandolo in volto.
“Un favore… in futuro - replica il demone, sorridendo con malizia – Sai benissimo che, se non accetterete, non avrete alcun futuro, altrimenti”


Yumi guarda i suoi piloti. Quello che dice il demone è vero. Sono pochi per affrontare di persona il condottiero delle forze di Mikeros.
Eppure…


“No – risponde seccamente – Nessun patto col diavolo”


Amon urla di rabbia. Un urlo che sembra far tremare, anche a chilometri di distanza, la stessa Fortezza delle Scienze. I demoni, dietro di lui ululano a loro volta, chissà se anch’essi pervasi dalla stessa furia o dalla soddisfazione di avere un pretesto per intingere le zanne nella carne umana.
L’immagine si deforma ancora per qualche istante, poi lo schermo torna a essere buio.


Nagare è il primo a parlare.
“Principe di Fleed? Anche qui, quindi, gli schieramenti non sono cambiati molto”
Tetsuya scatta in piedi, con aria decisa. “Sono cambiati eccome”
“Non mi interessa se scegliete di non avere quei mostri tra i piedi. Il solo fatto che ci fosse un accordo tra loro e Actarus mi basta per capire che tutto si sta ripetendo”
Si alza in piedi. “Tutto come la Terra che ho lasciato. Gli stessi sbagli, la stessa idiozia. Morirete come cani, e farete morire anche noi”
“Se vuoi andartene, nessuno è qui a trattenerti”, replica secco Tetsuya. Nagare si volta verso di lui solo per un momento.


“Spero solo che il vecchio mi dia qualche buona ragione in più di voi per restare”, dice prima di abbandonare la sala.


Quando Nagare se ne va, nella sala piomba un improvviso silenzio.
Yumi sospira pesantemente. “Sembra che le mie decisioni non ci porteranno bene, nel breve termine”
Hiroshi continua a guardare preoccupato lo schermo in cui il volto di Amon per un attimo ha invaso l’intera superficie. Nei suoi occhi non si legge la minima comprensione e approvazione, solo cupi presagi per il futuro scontro contro il Generale Nero.
“Combatterete con noi?”, chiede senza mezzi termini Tetsuya ai due stranieri. In entrambi, cerca lo sguardo del fratello, dell’amico, anche se sa benissimo che non sono affatto le stesse persone.
Duke Fleed è il primo a prendere parola.
“Non è il mio mondo… però, se può servire ad aiutare il vostro, metterò me stesso e Gattaiger al vostro servizio”
Gli altri annuiscono, con un sorriso.
Alcor ci mette un po’ di più a rispondere. “Io vorrei tornarmene a casa ma… beh, se nel frattempo posso darvi una mano contro quei bastardi di Micene, lo farò molto volentieri”


Mentre all’interno della Fortezza vengono suggellati patti all’ombra dell’euforia per i nuovi alleati trovati e della paura paralizzante per il duro, ultimo scontro contro il Generale Nero, Nagare si incammina sul ponte, pronto per salire sul suo Eagle e unirsi al fronte del dottor Saotome.
Il tempo per voltarsi, un’ultima volta, verso l’imponente struttura un tempo guidata dal Professor Kabuto.


“Tutto come l’altra volta – mormora il pilota amareggiato – Tutto”


Poi sale sulla sua astronave e decolla.