venerdì, settembre 28, 2007

41: Dottor Satanikus!




I due robot sono sospesi in aria, a fronteggiarsi.
Le nuvole nere che circondano il Kyushu, il sapore di tempesta che si avvicina… tutta la tenebra che si stringe attorno ai due giganti di metallo, rende più cupe ancora le loro sagome.
Per Daisuke è passato molto tempo, dalla battaglia contro Yuri Caesar a Berlino. Da quando ha scelto di diventare sovrano dell’Impero Jamatai, sotto la guida della Regina Himika. Dal suo folle tentativo di salvare Hikaru da un conflitto sanguinoso, forse il più vero motore del suo “tradimento”. Troppo tempo da quando ha dovuto pagare un prezzo terribile per questo gesto. L’anima.
Per Tetsuya, è passato invece ben poco da quando Duke Fleed, frutto della fusione tra lui e Maria, li ha aiutati nel loro delirante viaggio nel futuro. Malgrado i pensieri degli altri dell’Armata, Tetsuya non ha mai perso la fiducia nel pilota del Grendizer.
Per questo, la voce bassa e incupita che esce dall’Ufo Robot non lo impressiona: è pur sempre più umana di quella che ha sentito dalle sue labbra nel futuro.
“Avevo detto che ci saremmo rivisti durante lo scontro con il Generale Nero. Prima di allora, non abbiamo nulla da dirci”, esordisce freddamente.
“Dimmi… è Flora, quella vicino a te? La tua guardia del corpo?”
La donna, sopra il suo Spirito Haniwa, contrae il bellissimo volto in una smorfia di rabbia.
“COME FAI A SAPERE IL MIO NOME?”
Imperturbabile, Tetsuya si rivolge ancora a Daisuke. “Avete cominciato una guerra con Mikeros… e forse sia Mikeros che l’Impero Jamatai finiranno per confluire dentro il tuo regno sotterraneo, Fleed. So molte altre cose, Daisuke. Ho visto ciò che diventerai e ciò che diventeremo tutti noi”





Per un lungo momento, dal Grendizer non arriva nessuna voce, nessun suono.
Poi: “Che cosa vuoi, qui, Tetsuya?”
“Parlare. Parlare con te. Avrai visto anche tu quella strana eruzione nel Fuji, ma forse non sai cosa significa. I Vegan stanno arrivando e l’Armata Mazinger ha bisogno di tutti i suoi componenti, te compreso”
Prima che Daisuke possa replicare, la voce di Himika risuona potente nella sua testa.


PRINCIPE! SIAMO SOTTO ATTACCO!


Le stesse parole vengono ripetute immediatamente da Flora. Grendizer alza l’enorme testa verso il cielo nero e soffocato dalle nuvole. Quando il Great Mazinger rivolge lo sguardo nella stessa direzione, la mano di Tetsuya scatta verso il comando per estrarre la Mazinger Blade.
Le nubi si squarciano. Nel piccolo stralcio di cielo, uno stormo di mostri Mikeros esce allo scoperto.





Il cielo della Corea si oscura di mostri volanti Mikeros, della forma di orribili rapaci con grandi cannoni a energia innestati sulla schiena.
Le comunicazioni si rimpallano febbrili tra la Fortezza delle Scienze e il Drago Spaziale, cercando disperatamente di contattare, senza successo, anche Tetsuya sul Great Mazinger.
La voce di Yumi risuona su tutti gli altri comunicatori dei piloti principali, qualunque sia l’attuale postazione dei riceventi.


“E’ un’offensiva totale! Mikeros crede che siate esplosi insieme ad Angoras, e ne sta approfittando per un attacco in forze su più fronti!”


Dianan A, Venus Alfa, Gaiking e altri caccia da guerra vengono approntati immediatamente sul ponte della Fortezza delle Scienze.



Poco prima del loro decollo, qualcosa di incredibilmente veloce saetta tra i nemici. Le sue ali membranose si spalancano in cielo, rendendolo qualcosa di simile a un grosso e temibile mostro simile a quelli nemici.
Si libra fin verso il comandante delle truppe nemiche, il mostro volante Phoenix d’Oro.
Rimangono fermi, a fronteggiarsi.
Le labbra del demone si torcono in un ghigno, vedendo l’espressione di stupore sul volto quasi umano dell’avversario.
“Vediamo chi è più forte… noi o voi giocattoli costruiti dall’uomo”, sussurra Amon.
“Giocattoli costruiti dall’uomo? Noi siamo l’Impero di Mikeros. Esistiamo da molto tempo prima di chi ha usurpato questa terra!”
“Non sapete niente. Ma poco importa. Morirete tutti, oggi. Per mano del diavolo”
“Non ci importa di quello che sei. Sarai solo uno dei tanti alleati degli umani che il nostro Impero porterà, con loro, all’estinzione”
Il diavolo scoppia in una risata, che risuona per tutto il rigido silenzio che precede la battaglia.
“Estinzione, eh?”





Il braccio, prima che qualcuno possa dire qualunque cosa, affonda nella faccia del mostro di Mikeros, sfondandola di netto.
La lingua del demone lecca gli schizzi di sangue che gli sono stati spruzzati sulla faccia, e alza lo sguardo verso gli altri.
Un silenzio atterrito scorre palpabile tra i soldati di Mikeros, privati immediatamente del loro capo.
“UCCIDIAMOLO!”, urla uno di loro e, subito, tutti quanti sciamano impazziti sul demone.





BREAST BURN!
Gli spettrali mostri di Mikeros, simili in tutto e per tutto a delle mummie armate di falci, si gettano sopra il Great Mazinger, venendo investite in pieno dall’inferno di fuoco fuoriuscito dalla sua piastra.
Le bende di alcuni di loro iniziano impietosamente a prendere fuoco, mentre altre scattano verso il robot nel tentativo di immobilizzarlo. Con una manovra di grande destrezza, Tetsuya riesce a districarsi tra di esse, continuando a tranciarne con la Mazinger Blade al solo scopo di liberare la propria visuale.
I mostri gli si fanno più vicino, facendo cozzare lama contro lama, in un’esplosione di scintille.
Il Great, sempre facendo attenzione a non farsi catturare, spinge indietro i suoi assalitori e poi alza l’indice al cielo, richiamando vene di elettricità nelle nuvole scure che lo circondano.
“THUNDER….”





“…BREAKER!!”, urla intanto Minerva X, in Corea, sprigionando una scarica elettrica che fonde i circuiti dei mostri Mikeros – ultime truppe di Yuri Caesar – arrivate a invadere i territori controllati dal Drago Spaziale.
Ancora in fiamme, uno di essi, con un braccio sostituito quasi totalmente da una sciabola, si getta per colpire il robot femminile prima di esplodere fragorosamente al suolo.


Poco lontano, Jeeg compie un balzo per evitare le incessanti scariche di missili che vengono sparate da altri avversari, che sembrano circondarlo da ogni lato. I Delta Beam avvolgono alcuni nemici immobilizzandoli e dando tempo al Robot d’Acciaio di affrontare i propri avversari quasi uno alla volta.
Il Drago Spaziale, nel frattempo, schiera tutti i suoi robot: il Buzzolar, lo Skylar e perfino il Nessack – che pur combattendo meglio in ambienti acquatici, può comunque fare la differenza, in un momento tanto disperato – e, ovviamente, i robot della resistenza americana.





Quello che sembra il comandante delle truppe nemiche, Dorica, un colosso con una morning star impiantata nel cranio, si lancia contro Minerva. L’arpia, a sua volta gli vola contro, facendo luccicare gli artigli, tesi e pronti a colpire.
Un secco scatto. Un urlo di dolore. La mazza ferrata del comandante cade a terra, tranciata a metà.


In disparte, Rigarn e il suo esercito osservano silenziosamente la scena senza intervenire.


Amon atterra sul primo dei nemici, assestandogli una serie di artigliate che ne squarciano completamente il torso. Poco prima che il mostro stia per esplodere, con un possente salto balza addosso a un altro strappandogli con un unico colpo la faccia di netto. Di nuovo, apre le ali e plana su un terzo, evitando senza la minima difficoltà un colpo di cannone. Piantandogli ben stretti gli artigli tra le spalle, fa leva sufficiente per aprirlo in due.


Tutto questo accade nella frazione di un secondo, il tempo con cui un robot qualunque dell’Armata non avrebbe nemmeno finito un combattimento.





Agghiacciante, la risata di Amon, pervaso dalla gioia di mutilare e uccidere i suoi nemici, rimbomba rafforzata dalle loro urla di morte.


Gaiking si lancia a sua volta all’attacco.
Un mostro sembra sganciarsi dallo stormo per puntare dritto proprio contro di lui.





La Double Harken si scontra contro la falce del comandante Drayato delle forze di invasione di Mikeros nel Kyushu.
Lo Space Thunder che Grendizer scarica addosso al mostro, si abbatte fin troppo vicino al suo avversario, ma non abbastanza da colpirlo. La falce di Drayato si abbatte sul torso del robot, non arrivando in profondità, ma lasciando un ampio squarcio.
Mentre il Great Mazinger, nei cieli sopra di loro, finisce di sbarazzarsi dei suoi avversari, Grendizer e il suo nemico sono impegnati in una lotta senza esclusione di colpi. L’alabarda del robot di Daisuke, viene immancabilmente parata dal mostro di Mikeros, che lo sbilancia e lo fa cadere per terra.
Quando il comandante sta per infilzare con la falce l’Ufo Robot, Grendizer spara nella sua direzione uno Screw Smasher Punch, ammaccandone l’armatura e trovando il tempo necessario per alzarsi in piedi. Flora, circondata a sua volta dai mostri, non riesce a intervenire in aiuto del Principe e combatte con una furia raddoppiata per liberarsi dei suoi avversari.
Di nuovo, la falce di Drayato colpisce a vuoto, e un altro colpo dell’alabarda di Duke è bloccato dall’arma dell’avversario.
I due si guardano negli occhi, spingendo ognuno dalla parte del proprio nemico per sbilanciarlo.
Proprio mentre il Great si unisce alla battaglia, Grendizer – con un colpo disperato – riesce ad avere la meglio e piantare un colpo decisivo di Double Harken nel petto del comandante Mikeros.


Proprio mentre il fronte a Berlino ha un attimo di respiro, Minerva fa per avvicinarsi a Rigarn. Un colpo, sparato contro uno dei suoi mostri, la blocca.
“CHI E’ STATO?”, urla Jeeg, girandosi di scatto.
Lo Stilvas di Schwartz, con il fucile fumante la fissa senza abbassare lo sguardo.Lui e il suo esercito di americani formano un’unica linea, decisamente contrapposta al Drago Spaziale.





“Basta mostri. Basta patti coi mostri”, mormora il maggiore, con una voce bassa e tesa.


“Che diavolo sta succedendo?”, ruggisce Hiroshi, ancora carico di furore dalla battaglia appena sostenuta.
Maria lo sa benissimo cosa sta succedendo. Minerva e lo Stilvas si fronteggiano, guardandosi negli occhi intagliati nell’acciaio dei loro volti.
“Non è il momento, maggiore. Mikeros sta per lanciare un altro attacco. Presto arriveranno i rinforzi”
“Forse non ci vedi bene. Mikeros è già qui”, replica l’altro volgendo lo sguardo verso Rigarn che osserva imperturbabile la scena, trattenendo i suoi dal rispondere all’attacco.
La voce di Masai, che annuncia con apprensione un altro plotone di mostri Mikeros in avvicinamento, non sembra scuotere nessuno dei due.
Con un passo sempre più bestiale, Jeeg si trascina davanti a Schwartz. “Cosa stai cercando di fare?”
“Siamo stanchi di voi. Siamo stanchi di presunti esseri umani che passano dalla parte dei mostri. Di presunti esseri umani che ospitano mostri. O anche di mostri come voi che pretendono di dirci cosa dobbiamo o non dobbiamo fare”
“Quindi alla fine siamo arrivati a questo”, replica freddamente Maria.


Senza molti complimenti, lo Stilvas apre il fuoco su Jeeg, proprio mentre quest’ultimo gli salta addosso.
Nello stesso momento, gli altri americani iniziano ad attaccare i robot del Drago Spaziale e i mostri di Rigarn.
I rinforzi del Maresciallo Inferno iniziano a intravedersi nel cielo tinto di sangue.





“Padre? Sei tu?”


Sanshiro sente ogni cosa lo circondi dissolversi nel lungo orrore di quel momento.


L’immagine del Generale Nero che smembra sua madre.
L’immagine di lui e dei suoi compagni del Drago Spaziale che decidono di voltare le spalle a Mikeros.
L’immagine di quando, invece, hanno prestato le armi all’Impero dei mostri, pur di avere una possibilità di riabbracciare i propri cari.


E adesso, tutto ciò per cui si è venduto l’anima, la speranza di vedere suo padre, il suo unico parente rimasto, è lì davanti a lui, fuso a un mostro di Mikeros.


PADRE!!!


Suo padre non risponde. Mentre il corpo meccanico del mostro attacca, quella parte che un tempo è stata umana, piange di terrore e pazzia.
Allora, Sanshiro capisce fino a che punto arrivi il sadismo dei maledetti invasori di Mikeros.
Questo è il tocco finale di malvagità impresso dal Maresciallo Inferno alla sua opera: mentre di solito la parte “organica” di un mostro Mikeros non ha altra coscienza che quella dell’orrido ibrido in cui si è trasformato, il padre di Sanshiro si rende conto benissimo di ciò che il suo corpo meccanico sta facendo. E ne prova repulsione.
Amon, vedendo il robot di Sanshiro fermarsi impietrito, scatta all’attacco.
“NO!”, ringhia Gaiking, inchiodando il demone coi suoi occhi fiammeggianti.
Poi, la sua rabbia inizia a crescere…





Lo Stilvas si piega, il braccio amputato, la gamba strappata, ai piedi di Jeeg, sempre più incurvato su se stesso e sempre più vicino a uccidere l’alleato di un tempo.
Uno dei robot americani, un trasformabile dalla forma di elicottero Apache, spara addosso a Minerva una scarica di mitra, mentre un altro, più simile a una figura femminile con due lame al posto delle braccia spicca un lungo salto per accoltellarla.
I mostri del Maresciallo, intanto, sono arrivati a dare manforte a quelli caduti. Un colossale gigante abbigliato come un gladiatore romano, si lancia a sua volta sull’arpia meccanica.


Maria stringe i denti, trattenendo a stento un’imprecazione e cercando di concentrare i suoi attacchi prima di tutto sui mostri. La scarica di mitra si frappone tra lei e il gladiatore, separandoli.
“BREAST INFERNO!”
Dalle placche termiche, il raggio colpisce il gigante che si piega su se stesso dal dolore, lanciando disperatamente il suo tridente contro l’avversario. Minerva riesce a scartare il colpo e vola verso l’Apache americano, staccandogli di netto la testa e facendo tuttavia attenzione a non ucciderne il pilota.


Jeeg ha molte meno premure. Spostandosi in tempo dall’incedere del pesante ma lento robot di Lambert (un trasformabile di proporzioni enormi, a forma di schiacciasassi antropomorfa). Spicca un salto verso lo Stilvas di Schwartz.


“DELTA BEAAAAM!”


Di nuovo, i raggi fuoriusciti dal suo petto sembrano farsi solidi e avvolgono in una ragnatela luminosa il corpo del robot di Lambert.
Lo Stilvas spara un altro colpo del suo fucile di energia, mancando Jeeg. La risposta di Hiroshi è in un violento Knuckle Bomber, che fa schiantare il robot del maggiore contro un cumulo di macerie.
Con rabbia, lo Stilvas si rialza in piedi, una luce omicida nello sguardo del robot e del pilota.


Jeeg, quasi completamente illeso, scoppia in una risata crudele.
“Ora ti ammazzo”, risuona la sua voce roca e divertita.


Un vano si apre nel corpo del robot di Schwartz, da cui le mani dello Stilvas estraggono un coltello.
I due si guardano per qualche attimo.
In un unico urlo di battaglia, si lanciano l’uno contro l’altro.





Un getto di missili, sparato dall’occhio del gladiatore incrina l’armatura di Minerva. Un colpo di tridente affonda nelle sue carni di acciaio, rilasciando una miriade di crepe sanguinanti. Il robot americano rimasto si lancia su Maria, palesemente in difficoltà, cercando di affondare una lama.
“Maledetto idiota! Non vedi che c’è un mostro da combattere?”, urla Minerva.
Un’esaltata voce femminile risponde, amplificata dai microfoni del robot. “Io ne vedo due”
Minerva si lancia in alto, sopra di loro. “ORA BASTA!”
Energia elettrica inizia ad accumularsi sul suo capo.
“THUNDER BREAKER!!!!”
Il fulmine che scaturisce dalle antenne di Minerva, annienta il mostro di Mikeros e danneggia in maniera gravissima il robot americano. Accertandosi che la sua pilotessa sia ancora viva, Maria si lancia verso gli altri nemici, resa ancor più furiosa dalla perdita di prospettive su chi siano gli amici e i nemici.


Jeeg sprigiona di nuovo un’intensa tempesta elettromagnetica per ostacolare i movimenti dello Stilvas e del robot di Lambert. Mentre il secondo si blocca definitivamente, immobilizzato ancora dai Delta Beam, l’altro continua ad avanzare, colpendo con il suo pugnale il petto di Jeeg. Per tutta risposta, il robot di Hiroshi lo stringe in una morsa estremamente letale, distruggendone gran parte.
Non contento, strappa il cockpit del pilota, minacciando di schiacciarlo.


Il combattimento si blocca.
“Ora possiamo finirla, vero?”
“RIDACCELO INDIETRO”, urla Lambert.
Di nuovo, la risata rauca di Hiroshi. “Dimmi, per favore Jeeg”
“Ri-ridaccelo e ce ne andiamo. Ce ne andiamo per sempre”
“… per favore, Jeeg”
Lambert e gli altri americani restano in un silenzio carico di rabbia.
La mano di Jeeg si stringe un po’ di più sul cockpit di Schwartz.
Maria guarda Hiroshi, e per un momento non le sembra troppo differente da Amon.
“Non è difficile… su…”, continua irridente il pilota.
Poi poggia il cockpit a terra, lontano. “Andatevene. Siete patetici”


L’equipaggio del Drago Spaziale, solo pochi minuti dopo, vede quello americano volarsene via, presumibilmente di ritorno negli Stati Uniti. Per quanto Jeeg insistesse perché non gli venissero restituiti i robot, alla fine è stata la decisione di Masai a prevalere.
Con un brivido, rendendosi conto che la frattura appena creata non potrà risanarsi più, Maria e Hiroshi si chiedono se parte di quel terribile futuro, che hanno vissuto in anticipo, non stia diventando già presente.





“FAAAAACE OPEEEEN!”, urla Sanshiro.


Una fiammata cupa copre completamente il corpo di Gaiking. Le placche di acciaio che formano la sua faccia si spalancano, staccandosi.
A centinaia di metri di altitudine, la cabina di pilotaggio è completamente esposta e all’aperto. Seduto al suo posto, Sanshiro Tsuwabuki urla fino a che la voce non gli esce graffiata dalla gola. Non urla parole, frasi. E’ un grido animalesco, che sembra alimentare ancora di più la fiamma che lo avvolge.
Il Gaiking inarca la schiena. Intorno a lui, anche gli altri piloti finiscono per urlare aggiungendosi a quel coro di furia, rendendo in qualche strano, oscuro modo, ancora più vivido quel fuoco di morte che sembra ora propagarsi da ogni parte del corpo del robot e del suo pilota.


La sua umanità, tutto quel che ne rimane, brucia a sua volta nel rogo.


Il padre di Sanshiro, fuso al mostro, grida a sua volta, di paura e di rabbia, fino a che le stesse vene gli sporgono in rilievo sul collo e sulla testa.


Amon spalanca atterrito gli occhi, dimenticandosi per un istante dei pochi nemici ancora intorno a sé. Si stringe tra le mani la testa. La presenza di Akira, la parte di umana fusa al suo corpo demoniaco, sembra vacillare.
Le ali di Amon si allargano, si fanno più sgraziate. La tonalità della sua pelle si fa di un rosso incupito. Una fitta peluria sembra sporgere dalle piastre chitinose sulle sue gambe, fino a coprirle del tutto.
Sbavando di rabbia si lancia contro uno dei mostri.


“VIA IL METALLO!”, ringhia strappandogli il rivestimento dell’armatura.


“VIA L’UOMO!”
La sua mano artigliata sprofonda nella faccia umana fusa nel corpo del mostro di Mikeros, estraendola con una risata crudele.


“VIA IL DEMONE!”
Le sue mani aprono in due il corpo martoriato del mostro, senza che questi possa fare nulla per reagire. Poi, il mostruoso demone si lancia contro chiunque gli capiti a tiro, mentre lotta con tutte le sue forze per ricacciare la nuova forma che il suo corpo sta assumendo e ritornare alla vecchia.


Per qualche forza inspiegabile, tutti i robot di stanza alla Fortezza delle Scienze, cominciano a combattere con una ferocia centuplicata, lanciandosi contro i propri opponenti in una carica terrificante.


Tutto questo sembra alimentare maggiormente le fiamme di Gaiking.
Quando giungono al culmine, la voce di Sanshiro sovrasta quella di ogni latra creatura nei paraggi.


“HYDROBLAZEEEEEEEER!!!”


Gli occhi dello scheletrico drago sul petto di Gaiking si accendono di una luce molto più sinistra del solito, rispetto a quando ha usato la sua terribile arma.
Le fauci si spalancano.
Un ruggito accompagna un getto di energia dalla potenza immensa, che illumina tutto lo scenario di morte che si sta consumando attorno al robot.
Continuando a urlare di rabbia, con gli occhi coperti di lacrime, Sanshiro vede ciò che un tempo era suo padre venire sommerso dal raggio accecante.


Proprio mentre Amon si lancia contro un altro mostro, un potente colpo di energia lo spinge alcuni metri più lontano, facendolo urlare di dolore.
Girandosi, vede affiorare dall’acqua un imponente sottomarino, con uno dei cannoni ancora rosso per l’enorme calore sprigionato.
La voce di Yumi raggiunge immediatamente tutti i piloti in grado di sentirlo.


“Fate attenzione. Il Gran Maresciallo Inferno ha deciso di utilizzare nuovamente la fortezza sottomarina Budo”


Animati dallo stesso, identico impeto distruttivo, sia Gaiking che Amon volano ad altissima velocità contro la base del Maresciallo Inferno. Alcuni raggi di energia rallentano la folle corsa di entrambi, specialmente del devilman, privo di una corazza in grado di assorbirli.


“SOUTHERN CROSS!”
La croce sulla gamba di Gaiking si staccano, trasformandosi in una rozza arma corpo a corpo. In un cielo sovrastato dalle esplosioni, i due demoni – quello in carne e ossa e quello meccanico – riprendono la loro devastante corsa di morte.





La torreggiante sagoma nera di Rigarn osserva silenziosa Minerva X. Dietro di lui, sono assiepati i suoi bestiali soldati, con le zanne snudate, in attesa di sbranare altra carne nemica.


Minerva si volta verso Jeeg. “Non seguirmi. Non so come possano reagire”.
Senza troppa convinzione, il robot magnetico, dalla sagoma ancora ingobbita e contorta, si sposta con passi pesanti presso il Drago Spaziale.


“Maria, siamo pronti a fare fuoco al minimo segno di ostilità”, comunica Masai dal Dyon Gamma, con un tono sempre più teso.
“Bene”, è la secca risposta della ragazza.


Con un volo brevissimo, l’arpia si porta davanti al Generale di Mikeros. I due si guardano, per lunghi attimi. È Rigarn a spezzare il silenzio.
La sua voce roca, cavernosa, rimbomba per tutta la piana dello scontro. Tuttavia, le sue parole sembrano per Maria e lei sola.
“Il Fuji ha eruttato una strana energia verde, tempo fa. Una luce”
Minerva X annuisce.
“Quando è successo, ho iniziato a ricordare cose. Stralci che avevo dimenticato. Stralci di cose che non sono ancora accadute”
“Qualunque cosa tu abbia visto – lo interrompe Maria – Posso garantirti che era tutto vero. Le visioni di noi che parlavamo. Il tuo passato. Hai ragione quando dici che tutto deve ancora accadere ma… in un qualche strano modo è già accaduto”
Rigarn studia in silenzio il robot davanti a lui, come se in quei ciechi occhi animati da una perenne furia distruttrice cercasse la verità nelle parole di Maria.
“Torneremo sottoterra. Cesseremo le ostilità con voi esseri umani e riemergeremo quando verrà il momento di combattere con gli alieni di Vega. Che sia vero o no quello che ho visto, siamo comunque terrestri. Prima sistemeremo i nostri comuni nemici, prima potremo stabilire a chi appartiene di diritto questo pianeta. Ma non vi aiuteremo nel vostro scontro col Generale Nero: già una volta l’abbiamo tradito e pagato lo scotto del nostro tradimento vedendo il maledetto usurpatore, il Maresciallo Inferno, al suo posto”
“Il Maresciallo Inferno comanda le truppe di Mikeros, adesso?”, chiede sbigottita Maria. Un brivido le scende lungo la spina dorsale, alla consapevolezza che il loro duello con il Generale Nero potrebbe non risolvere nulla, a differenza di quanto sperava ogni appartenente all’Armata.
Il robot fa un passo verso il Generale. “Mi sembra ragionevole. Ma so benissimo che una resa viene trattata… quindi, cosa vuoi in cambio?”
Il volto bestiale di Rigarn si torce in un ghigno, parodiando lo stesso sorriso nella faccia umana, in mezzo al petto. “Te. Vogliamo che tu venga noi. Che ci prepari alla guerra contro Vega. Che scenda insieme a noi nelle tenebre”
Un sorriso amaro, sulle labbra di Maria, si riflette appena negli occhi di Minerva. “Non credo di essere la persona più adatta per prepararvi ai Vegan”
“Le condizioni sono queste”, replica Rigarn come se questo ponesse fine a ogni discussione.


Il volto di Minerva X resta chino ancora per un istante, prima di alzarsi e fronteggiare lo sguardo del Generale di Mikeros.
“Se sopravviveremo allo scontro con il Generale Nero, avrai la mia risposta. Potremmo essere uccisi tutti, e sarebbe inutile farti promesse prima di allora”
Il muso leonino di Rigarn si protende verso Minerva. “E’ un discorso sensato. Lui potrebbe uccidervi tutti, uno a uno. Se così non sarà, parleremo ancora”
Senza attendere risposta, fa cenno ai suoi.
E Maria, col cuore in gola, vede l’orda di mostri allontanarsi.





Sotto i violentissimi colpi di Gaiking, la Fortezza Budo è costretta a una rapidissima immersione e a una pronta ritirata. Per quanto il robot di Sanshiro continui a percuotere lo scudo di energia che la base sottomarina ha eretto attorno a sé, iniziando a incrinarlo, la nave riesce miracolosamente a immergersi e a trovare una rapida via di fughe tra le acque della Corea.


Amon, con gli occhi ancora allucinati dalla scarica di rabbia a cui il robot di Sanshiro sembra averlo costretto, ansima nel tentativo di riprendere il controllo di sé. Lentamente, le sue sembianze tornano a essere quelle violacee con cui l’Armata l’ha conosciuto.


“Non… farlo… più”, ansima Amon a Gaiking, proprio mentre Jeeg e Minerva stanno tornando alla base, solcando i cieli proprio sopra di loro. Jeeg si lascia cadere sul campo di battaglia, camminando nervosamente tra i morti.
Sanshiro, già duramente provato, fronteggia il demone, fissandolo. Negli occhi di entrambi, una malcelata curiosità, mista al rispetto.





Gli artigli di Amon si tendono verso uno dei cadaveri dei nemici, per divorarlo con furia animalesca. Eppure, quando il demone sceglie la vittima di cui cibarsi, si accorge di non essere solo. Anche Jeeg, appena sceso poco lontano da lui, sta masticando con le sue fauci di ferro la stessa preda raccolta tra i caduti. Gli occhi sono ancora pieni della furia provata nel combattere contro lo Stilvas di Schwartz.
Come due animali, Jeeg e Amon si girano attorno, fissandosi attorno al cadavere del mostro che entrambi hanno scelto come pasto. È uno sguardo molto diverso da quello che si sono mandati Amon e Gaiking: questo gioco di occhiate prelude a una lotta primordiale tra predatori, a stabilire la propria sopravvivenza.
Jeeg, con le mascelle metalliche socchiuse e gli occhi cerchiati di rabbia, avanza verso Amon. Il demone reagisce con un ringhio sommesso, restando dov’è.
Jeeg avanza di un altro passo, il corpo inarcato in avanti, lo sguardo allucinato negli occhi metallici.
Gli artigli di Amon graffiano il terreno, mentre anche il suo corpo si inarca, coi muscoli che guizzano in un fascio nervoso sulla schiena.
Si guardano, predatore contro predatore.
Jeeg avanza ancora.
E Amon, senza rendersene conto, fa un passo indietro e abbassa lo sguardo.


Gli occhi del demone si spalancano, quando capisce cos’è successo. Prima che Jeeg possa fare qualunque cosa, gli salta addosso con una velocità e un’aggressività che nulla hanno a che vedere con quella dimostrata prima. Tre colpi, di una rapidità innaturale, incrinano la corazza di Jeeg, fino a compromettere il suo campo magnetico e a far cadere i componenti per terra inerti.
Solo allora, anche Amon si ritrasforma in Akira Fudo, perdendo completamente i sensi.


Tutti i robot dell’Armata Mazinger tornano ai loro hangar. Maria, guardando il suo stesso schieramento si rende conto, ancora una volta, dell’assenza di Boss Borot, già constatata fin dall’inizio dell’arrivo in Corea.
Già… dov’è Boss?


FLASHBACK! Fortezza delle Scienze, poco prima della partenza da Berlino…


“Benvenuto, tenente Masaki Goda”, dice Yumi, non appena il militare entra nella Sala di Controllo.


Goda fa un sorriso amareggiato. “Direttore, non sono più tenente da molto”.
Ancora pesano i gradi strappati per aver capeggiato la rivolta dei soldati della Fortezza, ormai in un tempo che sembra lontanissimo.


Yumi fa un sorriso. “Si sbaglia. Lei è stato appena reintegrato. Per il coraggio dimostrato nell’irruzione delle Gamia Q3 di Blocken, e per aver messo a repentaglio la sua vita per salvare alcuni civili della Base”
Gli occhi di Goda si spalancano. Ma prima ancora che il militare inizi a ringraziarlo, Yumi arriva subito al punto.
“Il suo primo compito, tenente, sarà guidare una squadra di infiltrazione. Alcune informazioni raccolte in una base della Human Alliance a Londra potrebbero essere molto utili all’Armata Mazinger. Stiamo cercando di capire la natura stessa dei robot che compongono la nostra Armata, e il loro scopo originario, oltre a quella degli esperimenti condotti finora dalla Human Alliance”


Accende uno schermo, su cui passano in rassegna tutte le informazioni trovate dai principali piloti dell’Armata nell’allucinante viaggio dentro la base della Human Alliance. Alla vista del mostruoso ragno congelato del Reito Beam di Mazinger Z, anche Goda trattiene un brivido.
“Abbiamo una pista – dice Yumi, dopo aver completato un breve briefing per mettere il tenente al corrente di ciò che è stato scoperto dagli altri – Tra i collaboratori di Juzo Kabuto al progetto Mazinger figurano anche dei nomi piuttosto particolari”
“Particolari?”
“Esperti di esoterismo – dice Yumi, aggrottando la fronte – Uno di loro è un noto ciarlatano, un esorcista televisivo di cui si sentiva parlare spesso in Giappone fino a qualche anno prima dell’Invasione. Il suo nome è Enma Satanikus… o anche Dottor Satanikus, come si fa chiamare”
Goda annuisce. Il nome del Dottor Satanikus, personaggio a metà tra la truffa e lo spettacolo, è più che noto per qualunque giapponese.


“Stando alle informazioni che abbiamo ricevuto, dovrebbe essersi trasferito a Londra prima dell’Invasione e vivere ancora lì. Voglio sapere che contatti aveva con la Human Alliance, e il suo ruolo all’interno del Progetto Mazinger”
“Sarò da solo, in questa operazione?”, si limita a chiedere Goda.
“No – risponde Yumi, alzandosi dalla sedia – Collaborerà con il leader della resistenza berlinese, anch’essa esperta di infiltrazione e spionaggio per alcune sue… peculiarità”
“Anch’essa?”, ripete Goda, inarcando un sopracciglio.
“Si fa chiamare Cutie Honey… è già stata avvertita”





Un rozzo marchingegno di valvole, cavi, transistor, riporta tutta la conversazione a una cabina, dove tre figure sono in attento ascolto.
“Non possiamo lasciarlo andare”, dice la prima.
“Dobbiamo intercettarlo, allora”, fa la seconda.
“Capo, che dobbiamo fare?”, conclude la terza.
Boss picchia il pavimento con un pugno deciso, soffocando una smorfia di dolore.
“Nuke! Moocha! Voi convincerete Goda a portarci con loro! Io farò la stessa cosa con la signorina Honey!”
Nuke lo guarda decisamente perplesso. Moocha aggrotta la fronte.
“Perché non il contrario?”, chiedono entrambi.
“Perché IO sono il capo! E ora muovetevi, razza di fannulloni!!”


Il modo di convincere Goda, per Nuke e Moocha, è implorarlo. L’attonito tenente, davanti ai due compari di Boss, inginocchiati e piangenti, non sa assolutamente cosa dire.
“La prego! Ci faccia venire con Honey! Cioè con lei e Honey!”
“Il Capo ci spellerà vivi se non accetta!”
Grattandosi la testa e in sempre più piena confusione, Goda fa un’unica, pertinentissima, osservazione.
“Ma non era una missione segreta?”
“Sì! Cioè… no! Insomma, sì ma… ecco… l’abbiamo saputo lo stesso…”
Goda guarda perplesso i ragazzi davanti a lui. Effettivamente, pensa, venire a conoscenza di una missione assolutamente top-secret pochi minuti dopo che questa è stata decisa, non è affatto male.
“Sentite, parlerò a Yumi – promette Goda, vincendo imbarazzo e ripugnanza quando i due iniziano a baciargli i piedi – Ma non posso promettere nulla, ok?”
“Ok! Ok! Grazie mille!”
Divincolandosi da Moocha, che ha preso a sventagliarlo adorante, Goda si dirige nell’ufficio del direttore della Fortezza.


Ovviamente, la chiacchierata con Yumi ha un esito negativo.
Per quanto (avendo avuto a che fare col trio per tutta la guerra contro Hell) non si stupisca della raffazzonata genialità della banda di Boss, il professore non può in alcun modo concedere che dei civili – ben altro che addestrati – abbiano a che vedere con una missione potenzialmente pericolosissima.
Quando l’ufficiale torna indietro, l’espressione speranzosa dei due gli rende molto più difficile riferire il secco messaggio del suo superiore.
“Perfavoreperfavoreperfavore!”, strilla Nuke, buttandosi di nuovo in ginocchio. Moocha riparte furiosamente a sventagliare il militare, con una velocità raddoppiata rispetto a prima.
Completamente esasperato, il tenente decide di aggirare le regole.
“Sentite. Tra un’ora ho un appuntamento con Cutie Honey, a cinque chilometri dalla base. Quindi… ovviamente, tenetevi alla larga da lì”
“Certo, certo”, dice seriamente Nuke.
“Ovviamente. Sì, sì”, risponde Moocha.
“E… per favore. È una missione top-secret, d’accordo? Non divulgatela ulteriormente”, aggiunge Goda, già pentito della sua scelta.
“Ma figuriamoci”
“Saremo stealth
“Come dei ninja”
Chat! Chat!”, urlano, esibendosi in improbabili mosse di arti marziali e abbandonando il corridoio.


Davanti al luogo dell’appuntamento, il respiro di Goda si blocca, agghiacciato.





Honey ha infatti raccontato dell’imminente partenza a tutti i suoi vecchi compagni. I partigiani di Berlino, che sotto la guida di Honey hanno combattuto il regime nazista di Blocken, sono davanti alla jeep che la porterà via, scattando foto, sventolando striscioni d’addio e fazzoletti, declamando frasi d’amore.
Boss, vicino a lei, fa un fracasso del diavolo.
“Un’altra foto con la bella signorina!”, urla abbrancicando un’esaltatissima Honey. Ovviamente, fa caso appena, al fatto che i fotografi inquadrino palesemente solo la donna, tagliandolo fuori da ogni scatto.
Come se non bastasse, si accorge un Goda sempre più sull’orlo della crisi nervosa, Honey ha avuto la brillante idea di “personalizzare” la jeep, riverniciandola di rosa e disegnando un paffuto cuoricino su entrambe le fiancate.
Quando Honey vede il tenente, lo saluta ad alta voce agitando una mano.
“Ciao Masaki! Quando partiamo?”
Scuro in volto, Goda si avvicina alla jeep.
“Missione top-secret…”, borbotta.
“Cos’hai detto? Non ho sentito”
“Niente, niente!”, ringhia lui, subendo una pesante pacca sulle spalle da Boss.


Proprio mentre è ancora impegnato a cacciar via le decine di persone in lacrime, che continuano a gettarsi sulla jeep per un ultimo abbraccio a Cutie Honey, spuntano dal nulla Nuke e Moocha.
Sono vestiti come due ninja.
Nuke respira attraverso una canna di bamboo e Moocha, accanto a lui, cerca goffamente di mimetizzarsi con l’ambiente circostante.
“Sono una foglia! Sono una foglia!”, urla, senza risultare troppo convincente.
Chat! Chat!”, fa eco Nuke, continuando ad agitarsi a caso.


Una vena si gonfia sulla fronte di Goda.


Il viaggio, tra battute del trio e situazioni equivoche create da Honey, scorre via ben diverso da come ci si immaginerebbe la preparazione a una missione speciale.
Il buonumore, però, cede il passo al più genuino terrore, quando finalmente i nostri riescono a entrare dentro Londra. Come ha avuto modo di vedere l’Armata Mazinger, quel che ne resta è una città fantasma, in cui la presenza umana è ormai completamente assente.
Goda e gli altri non hanno nemmeno bisogno di occultare la jeep. Nessuno è lì per controllare i loro movimenti. Goda controlla disperatamente da un dispositivo a infrarossi i movimenti dentro le case.
Nulla.
Finestre come occhi ciechi, porte socchiuse, un sommesso brulicare tra le macerie.


Non ci vuole molto, perché i nostri giungano alla piccola villetta, leggermente fuori dall’area urbana, in cui dovrebbe abitare il Dottor Satanikus. È una villetta a un solo piano, con i vetri rotti, con qualche ettaro di terreno attorno. È difficile pensare che qualcuno possa ancora abitarla.
Davanti alla casa, gli sguardi della Squadra di Infiltrazione sono carichi di tensione, e si rincorrono l’un l’altro in cerca di qualche incoraggiamento.
Goda guarda Boss Nuke e Moocha, ancora vestiti da ninja e ancora che tengono strette tra i denti inutili canne di bamboo. Scuotendo rassegnato la testa, si rivolge ai suoi compagni.
“Va bene. Voi tre restate qui, mentre io e Honey facciamo irruzione. Qualsiasi problema, correte dentro la jeep. Qualsiasi rumore strano, correte dentro la jeep. E se non torniamo entro mezz’ora…”
“… jeep?”, termina Boss per lui.
“Bravo”


Honey lancia il suo urlo.


HONEEEEEEEY FLASH!!!


Gli occhi di tutti gli altri, compresi quelli dell’impassaibile tenente si sgranano quando, per un momento, Honey appare completamente nuda e imbozzolata in un ovale di luce.
Poi, la sua muscolatura si ingrossa lievemente. Abiti da marine le compaiono addosso.
Goda, sempre più disperato dalla capacità della sua squadra di non farsi notare, si avvia verso la casa.


Lui e Honey prendono due ingressi separati. Honey sfonda la porta della villetta, mentre Goda passa attraverso una finestra dai vetri infranti.
Dentro, la casa è buia e disordinata.
L’unica luce è quella di un televisore ancora acceso, nel buio. Goda e Honey si irrigidiscono, nel sentire le voci in giapponese di quella che sembra una registrazione su videocassetta.


Dentro lo schermo, un uomo travestito da kappa si rivolge direttamente al pubblico.


Sentite rumori angoscianti nella vostra casa? Siete convinti di essere caduti vittime del malocchio e della magia nera? La cupa ombra del demonio è scesa su di voi? Telefonate a questo numero per contattare ENMA SATANIKUS, l’unico e il solo Figlio di Satana! Padrone delle arti mistiche, stregone direttamente sceso dalle fauci dell’Inferno, il dottor Satanikus saprà consigliarvi al meglio su problemi di cuore, successo, fatture ed esorcismi! Dottor Satan…


Goda smette immediatamente di fare attenzione al filmato, non appena sente delle voci provenire dalla stanza accanto. Anche Honey ripone la foto – incorniciata in un portafoto d’argento – di un bambino vestito con un cappellaccio nero e un mantello decisamente più grande, dello stesso colore. Le voci parlano in giapponese.


“Ti dico che ho sentito un rumore!”
“Enma, sei paranoico… non c’è più nessuno qui. Nessuno per portarci via…”


Le voci si avvicinano.
La porta si apre.
“Quasi nessuno”, dice Goda, fronteggiando un uomo sui trenta, coi capelli rosso fuoco e i vestiti spaventosamente simili a quelli del bambino nella foto.





Pochi minuti Goda, Honey e la banda di Boss (alcuni dei quali arrampicati su un palo della luce per “monitorare meglio la situazione”), sorseggiano un the preparato dalla ben poco amorevole collega di Enma Satanikus.
“Quindi, sei veramente il figlio di Satana?”, chiede Boss, con sincero interesse.
“Certo che no, imbecille”, sbotta l’assistente di Enma. Sembra il suo esatto opposto: algida e con un’aria decisamente altera, è una ragazza poco più giovane dello stregone, vestita con un kimono bianco. L’attenzione degli ospiti viene subito catalizzata sui fermagli per i capelli, a forma di piccoli teschi.
La donna porge una tazzina di the a ciascuno.
“Grazie, Yuki…”
“YUKIHIME!”, puntualizza lei scocciata, sbattendo il the davanti ad Enma.
Dopo un attimo di silenzio imbarazzato, Goda spiega ad Enma il motivo della sua visita. “Sappiamo che ha lavorato con un’organizzazione chiamata Human Alliance, a proposito di alcuni robot da…”
Yukihime fa cadere per terra il vassoio, sbiancando.
“Come fate a saperlo?”, chiede Enma, decisamente a poco agio.
“Abbiamo le nostre fonti. E abbiamo un assoluto bisogno di sapere in che cosa eravate esattamente implicato…”
“Siamo dell’Armata Mazinger!”, lo interrompe Cutie Honey, guadagnandosi un’occhiata di esasperazione totale da parte del tenente.
“Mazinger…”, il tono con cui Enma sembra quasi masticare quel nome, non promette nulla di buono.
“Se ve lo diciamo, ci portate via con voi?”, chiede di colpo Yukihime.
“Sì, certo… noi…”. Un secco rumore da una botola sul pavimento, che evidentemente porta a una cantina, ferma per un momento ciò che Goda stava per dire.
“C-cos’è stato?”, chiede Nuke, mentre Moocha inizia a guardarsi intorno freneticamente.
“Niente”, taglia corto Enma. “Affare fatto , allora?”
“… affare fatto”, dice Goda, decisamente impensierito dal tono frettoloso del sedicente stregone.


Il racconto di Enma non contribuisce certo a tranquillizzare l’atmosfera.





Satanikus va indietro coi ricordi, a qualche tempo prima della guerra contro Hell, nel periodo in cui fu chiamato – insieme ad altri specialisti di occulto – da alcuni rappresentanti della Human Alliance. Quando Goda chiede a Enma se davvero lui all’epoca avesse poteri soprannaturali, l’occultista cerca di glissare il discorso, né negando né confermando. Il suo racconto si sofferma sugli altri stregoni con lui, individui decisamente poco raccomandabili, affiliati ad alcune sinistre sette sataniche.
Gli “ospiti”, stando alle parole di Enma, vennero bendati e radunati in un hangar, in cui erano costruiti tre prototipi di robot da combattimento completati, più uno ancora pesantemente in costruzione: i tre erano una versione molto più massiccia di Mazinger Z, un robot femminile dalle fattezze di arpia e un altro avvolto in un mantello completamente nero. Quello in costruzione, un robot di colore rosso, di cui all’epoca era stato ultimato solo il busto. Qui, agli occultisti venne fatta una strana richiesta: accertarsi della presenza – dentro alle macchine – di veri e propri spiriti maligni. Lo scopo non era quello di esorcizzarli in qualche modo (come pensato da uno stranito Enma), ma semplicemente entrare in comunicazione con loro, capire cosa o chi fossero.
Gli occultisti iniziarono quindi un complesso rituale per evocare le presenze che – stando agli agenti della Human Alliance – infestavano i meccanismi dei tre robot…


“E qualcosa c’era – conclude il dottor Satanikus con un brivido – qualcosa di… di oscuro. E demoniaco. Imparammo i nomi di ciascuno di quei demoni. Li ho ancora trascritti tra i miei appunti”
Di malavoglia, Yukihime prende un quaderno piuttosto vecchio.
Lì, Goda e gli altri vedono alcuni schizzi che ritraggono i robot. Vicino all’arpia metallica leggono il nome Siren. Il robot ammantato di nero ha un sigillo scarabocchiato accanto e la scritta Generale dei demoni, Zannin. La scritta vicino al Mazinger è tremolante e nervosa: Re Demone Dante.
Poche pagine più avanti, c’è anche il disegno dell’altro robot di cui Enma parla: nelle bozze, il robot è ultimato e ha due ali (apparentemente organiche) membranose, da pipistrello. Re Demone Zenonè la scritta tracciata vicino.





“E’ tutto quello che sapevamo”, conclude Enma.
Goda annuisce, tenendo ancora in mano il quaderno e studiandolo con aria preoccupata. Dai fogli, perfino i disegni dei robot citati dal dottor Satanikus sembrano guardarlo con un’aria maligna.
“Ora tocca a voi, mantenere la promessa. Ci tirate fuori di qui?”
Goda alza gli occhi su di lei, leggendo una paura che ormai né lei né il suo convivente si preoccupano di tenere nascosta.
Un altro colpo, fortissimo, dal pavimento.
“Che diavolo è?”, chiese Goda, contagiato dal nervosismo crescente.
“Capo, andiamo?”, chiede subito Nuke.
Enma e Yukihime si lanciano un’occhiata spaventata e colpevole. “E’ il nostro terzo socio. Una volta faceva da mascotte alla nostra agenzia di occulto, vestito da kappa”
“Lo chiamavamo Kapaeru…”, mormora Yukihime, con una smorfia mentre pronuncia quel nome.
“Allora, se vi portiamo via, sarebbe meglio chiamare anche lui, no?”, chiede Honey.
Enma scuote decisamente la testa. “Kapaeru è… è cambiato”
Un altro colpo.
Yukihime scoppia in lacrime. “Non volevamo portargli tutta quella gente! Ma se non l’avessimo fatto, sarebbe uscito fuori e avrebbe mangiato noi, capite?”
“E’ cambiato quando hanno bombardato tutto, vero?”, fa Goda, spalancando gli occhi.
Enma annuisce.
Stavolta, oltre al botto, c’è un sottile intrecciarsi e ramificarsi di voci. Forse si farebbe fatica a distinguerle, se non fosse per il raggelato silenzio che scende di colpo tra i presenti.


il mio corpo…
i miei occhi….
voglio… tornare… a… casa…”


“Ma quanta gente c’è là sotto?”. La mano di Goda, mentre il tenente fa la domanda, si aggrappa al calcio della pistola.
“Capo… ANDIAMO?”, ripete Nuke, con Moocha che annuisce vigorosamente. Boss sta guardando ipnotizzato la botola.
Honey sfodera il fioretto, non estraendo ancora la lama del tutto.
“Aveva fame!”, spiega Yukihime, ancora in lacrime.
“Ha ancora fame… non mangia da molto…”, la corregge Enma.
Uno schianto fa volare la botola sul pavimento fino al soffitto.


Tutto si fa confuso. Nella penombra, Boss intravede parecchie facce, che continuano a strillare e lamentarsi, ora che ciò che attutiva il rumore è letteralmente esploso in decine di schegge di legno.
“C-c’è qualcosa che non…”
La voce viene interrotta da un suono. Qualcosa di graffiato, rauco, uscito da un tubo arrugginito più che da una gola.


Kh-kkkh-kkkh…


Mentre gli altri scappano all’impazzata verso la jeep, Boss resta per un momento paralizzato.
Nel fumo, che si sta diradando, gli sembra di intravedere una superficie simile al guscio di una tartaruga. E dietro, qualcosa di vivo che si sta come leccando le labbra.


HONEY FLAAASH! HONEY PIN UP!
Due robuste braccia afferrano Boss, trascinandolo fuori. Quando finalmente ritrova il fiato, oltre a urlare, il ragazzo alza lo sguardo verso Cutie Honey, inguainata in una divisa da coniglietta di Playboy che, a grandi balzi, lo sta portando verso la jeep.
Goda, dopo aver fatto salire gli altri, prende fuori delle granate, deciso a lanciarle contro la creatura che sta arrivando. Tremando, gli altri cercano disperatamente di far partire la macchina.


Dalla casa, i passi di qualcosa che si avvicina, più forte. Sempre più forte. Boss, Nuke e Moocha si mettono disperatamente sul quadro comandi della macchina.
La mano di Goda ferma sugli esplosivi.


Il demone non smette quella che, ormai, è una vera e propria corsa…

giovedì, settembre 06, 2007

40: il risveglio dell'arpia Silen




Il corridoio, alla luce sempre più livida della sera, è ormai completamente buio.
Sembra che nemmeno la scarsa illuminazione al neon riesca ad avere ragione sull’oscurità opprimente che si respira tutt’intorno.
I passi di Akira risuonano veloci, sicuri, senza alcuna incertezza su dove andare. Nessuno si ferma a fargli domande: il ragazzo appena arrivato alla base suscita una strana sensazione di disagio in molte delle persone che lo incontrano. E questo corridoio, inoltre, il corridoio che porta fino all’hangar di Minerva X, non è sorvegliato dalle guardie con la stessa cura delle altre zone. Sembra ci sia una sorta di timore superstizioso, quando ci si avvicina alla grande paratia che tiene rinchiusa l’arpia di Lega Z.
Quando Akira vi si trova davanti indisturbato, approfittando degli ampi giri di ronda delle guardie, le paratie fanno un rumore secco, lacerante. Quasi un lamento.
Si aprono.
Gli occhi di Akira luccicano nel buio, contro la sua sagoma scura. I capelli sembrano fluttuare sopra la sua testa, spinti da una forza elettrostatica.
Entra.
Il gigantesco corpo di Minerva X è davanti a lui, gli occhi spenti, il viso chiuso in un’espressione che forse solo Maria riuscirebbe a decifrare. Di certo, solo la telepatie si porterebbe così vicino al robot senza paura. Perfino i tecnici e gli addetti alle riparazioni non lo fanno volentieri, in perenne timore che quel demone si animi di colpo.
Akira leva lo sguardo verso il robot. Il suo sguardo sembra luccicare ancora.


“Silen”, chiama.


I neon che illuminano debolmente l’hangar, collassato per un momento.
L’aria sembra farsi più pesante. Più fredda.
Akira fa un sorriso.


“SVEGLIATI, SILEN!”


Gli occhi di Minerva si accendono.
Una delle sue gigantesche mani ad artiglio si muovono, contorcendosi freneticamente.





I soldati Mikeros, gli umani il cui cervello è stato lobotomizzato per servire in tutto e per tutto l’esercito di abomini biomeccanici, vengono schierati e fatti cadere in ginocchio davanti al Principe e alla Regina, che osservano imperturbabili dalla sommità della mostruosa Yamata No Orochi.
La corazzata dell’Impero Jamatai si distingue dalle montagne che la circondano solo per i funebri ornamenti che ne circondano la base, i giganteschi teschi ghignanti il cui sguardo copre ogni direzione.


La Regina Himika sorride, mentre vede i prigionieri portati al suo cospetto.
Il volto di Duke Fleed, Principe Jamatai, completamente coperto dal casco, è indecifrabile.


La differenza tra i soldati dell’Impero Mikeros e Jamatai sembra enorme: laddove gli uni sono perfette macchine, automi che non sembrano dimostrare sentimenti nemmeno nel momento più prossimo alla loro morte, i secondi sono mostruosi zombie che camminano inarcati, con le fauci aperte in un ghigno mostruoso, le braccia abbandonate lungo i fianchi.


Quando il primo soldato Mikeros viene squartato in due da un unico colpo netto di spada del suo boia Jamatai, i tre ministri di Himika (Ikima, Mimashi e Amaso) reagiscono con un sorriso di soddisfazione. Solo la guardia del corpo di Duke Fleed, Flora, sembra turbata. Turbata più che altro per la reazione del suo protetto: un appena percettibile contrarsi del corpo, un chiudere le mani a pugno.
Non è l’unica a essersene accorta. Con un sorriso ironico, Himika si volta verso di lui.
“Ancora troppo umano, Principe di Fleed”, commenta, mentre sotto di lei altri prigionieri seguono la stessa sorte di quello giustiziato per primo.


La voce che esce dal casco di Duke Fleed è bassa, molto più cupa di quella del giovane ragazzo che ha abbandonato l’Armata Mazinger per proteggere Hikaru e trovare un altro modo di far finire la guerra.
“Sto imparando a disfarmi della pietà, Himika”


Soddisfatta, la Regina Himika gli rivolge uno sguardo decisamente compiaciuto. “Imparerai molto presto, Principe. È solo una questione di tempo, e hai già fatto grandi progressi”





Alle prime luci del mattino, Tetsuya si affaccia sul ponte della Fortezza delle Scienze.
Ha molto da riflettere, al ritorno dal suo viaggio nel futuro. Le conversazioni con Hiroshi, sulla possibilità o meno di cambiare il proprio destino, gli riecheggiano in mente insieme alla nuova responsabilità di proteggere gli abitanti di Edo.
La fine della guerra con Mikeros, nel duello con il Generale Nero, sembra prossima. Eppure, il pilota del Great si rende conto che non sarà altro che l’anticamera per un inferno peggiore, l’inferno dell’avvento di Vega.


Mentre l’alba tinge di rosso il mare della Corea, un suono improvviso, di ossa rotte, scuote l’attenzione del pilota.
Il cadavere di un gatto giace accanto a una figura ammantata con una montagna di stracci, il cacciatore di demoni che hanno portato alla Fortezza delle Scienze. Quando Tetsuya si volta verso di lui, lo vede chino a tracciare simboli di cui non conosce bene con il sangue della povera bestia.
Akira alza lo sguardo verso il pilota del Great, guardandolo a sua volta.
L’impressione raccapricciante che ha Tetsuya, è che parte del sangue dell’animale coli dalla bocca dell’uomo davanti a lui.
Completamente avvolto nell’oscurità dei suoi stracci, Akira fa un sorriso irto di zanne verso Tsurugi, per poi riprendere a guardare in cielo, verso la Stella del Mattino, come se cercasse qualcosa.
Con ben più che una situazione di turbamento, Tetsuya torna dentro la Fortezza.


Le porte dell’infermeria si aprono, facendo passare Akira Fudo.
Un paio di medici si fermano per qualche istante, prima di riprendere le loro faccende. Uno di loro, va incontro al ragazzo e gentilmente gli chiede se ha bisogno di aiuto.
“Sì – dice Akira, guardando un po’ turbato le ferite di alcuni pazienti – Mi hanno detto che tempo fa avete ricoverato un certo Ryo Asuka, giusto?”
Il medico si irrigidisce. Il ricordo della misteriosa sparizione del ragazzo, sbiadito poco a poco in una fortissima luce, dopo l’inspiegabile eruzione del Fuji, lascia ancora tutti pesantemente spaventati.
“S-sì”, risponde.
“Avrei bisogno di controllare le sue schede mediche. Mi hanno detto che era in condizioni critiche, quando l’avete portato qui”
“Io…”
“Ho il permesso del Direttore – lo previene Akira, sorridendo – Può chiedere conferma, se vuole”


Solo qualche minuto dopo, Akira sta controllando le cartelle, con il cuore in gola.
Il suo migliore amico, quello che lo ha trascinato in questo inferno, che ha cambiato per sempre la sua vita, è ritratto in una foto scattata appena dopo il suo arrivo alla base. Gambe e braccia amputate e sostituite da moncherini di ferro. Come un cane. Un cane per il piacere di Slum King.,
Akira si chiede se davvero quello che ha detto Maria è vero. Se davvero Ryo si sia messo apposta in questa situazione pur avendo già dei poteri da demone… solo per studiare gli esseri umani.


Sfoglia la cartella.
“Questa è dell’altra persona che è stata ricoverata con lui. Era una ragazza”, dice il medico, passandogli altri fogli.
Akira posa lo sguardo sulla foto dell’altra paziente.


Il cuore gli si stringe di colpo.
Le mani stringono convulsamente la cartella.
“La… la conosceva?”, chiede nervosamente il medico.
La bocca di Akira si torce in una smorfia.
Una smorfia di rabbia, rabbia che non riesce a essere trattenuta. I denti sembrano farsi più aguzzi, la bocca leggermente più grande. La schiena del ragazzo si inarca, come se qualcosa la spingesse dall’interno.
Il dottore riesce solo a distinguere un nome, pronunciato con una voce molto più rauca, gutturale, rispetto a quella di prima.
“Miki… MIKI!”


I capelli di Akira, di nuovo, si alzano quasi in un turbine, mentre esce di colpo dall’infermeria, crepando un muro con un solo pugno.





Tetsuya, Maria e Hiroshi sono seduti in Sala Mensa, impegnati a parlare tra di loro.
Il tema principale dei loro discorsi è ovviamente quello che hanno visto nel futuro, e come evitarlo con ogni mezzo. Inoltre, in Tetsuya e Hiroshi c’è fortissima la preoccupazione di sapere che fine ha fatto Koji.
“Stavo tenendo il Pilder tra le mani! Non può essere morto!”, ripete una volta ancora Hiroshi, quasi per convincersene lui stesso.
Tetsuya scuote la testa. Ha passato molte ore a rassicurare Shiro sul fatto che suo fratello stia bene, per quanto il ragazzino sia sempre più convinto che Koji non ci sia più.
“Kabuto è ancora vivo, di questo ne sono sicuro. Dobbiamo solo cercarlo”


Maria, che ha sempre avuto scontri violenti con Koji e una fortissima inimicizia, resta in silenzio. Poi, alza lo sguardo verso i suoi compagni.
“Se ci pensate, ognuno di noi è comparso in un luogo che aveva particolarmente a cuore o che comunque considerava come casa. Tu, Tetsuya, sei tornato a Edo. Sanshiro al Drago Spaziale… tu Hiroshi, alla Fortezza delle Scienze, anche se in teoria avrebbe avuto più senso il tuo vecchio villaggio…”
“Mayumi e Miwa. Aveva senso”, la interrompe Hiroshi, seriamente.
Maria annuisce. “Forse Koji è ricomparso in un luogo che considera importante e da cui non può comunicare. Forse è a Tokyo”
“Ma certo! – esclama Tetsuya – dov’è cominciato tutto, dove suo nonno gli ha affidato Mazinger Z!”


Hiroshi si appoggia pesantemente sulla sua sedia.
“Non è detto. Anche tu sei comparsa a Edo, ma non c’è niente laggiù che ti leghi”
Maria resta per qualche istante in silenzio. “Forse io sono la classica eccezione”, mormora imbarazzata, non riuscendo a fare a meno di lanciare un’occhiata di sfuggita a Tetsuya. Il pilota del Great non se ne accorge. Quando si volta verso la pilotessa di Minerva, Maria ha già distolto i suoi occhi e mascherato l’attimo di imbarazzo.
“Vale comunque la pena di parlarne a Yumi e di provare. Anche con i tuoi poteri mentali, se puoi aiutarci”, le dice.
Maria fa appena in tempo ad annuire, che la porta della Sala Mensa si spalanca.


Akira si staglia sulla soglia. Sembra assorbire tutta l’oscurità lì intorno.
Non dice nulla, guarda ognuna delle persone presenti con odio. La luce collassa per brevi istanti e nessuno, nemmeno quelli che ancora si sono accorti del suo ingresso, riesce per un attimo a respirare.
Tetsuya, sotto il tavolo, porta immediatamente la mano alla pistola. Maria e Hiroshi si irrigidiscono, scambiandosi uno sguardo d’intesa nel caso sia opportuno intervenire.


Ma la maggior parte dei presenti, sentendo la presenza di una rabbia senza limiti, una rabbia dall’abissale oscurità, preferiscono alzarsi in tutta fretta e andarsene.


“VOI!”, urla Akira, la cui voce già sembra mescolarsi a quella di Amon, verso i tre piloti.





Lo straniero arriva calcando a grandi, rabbiosi, passi la distanza tra l’ingresso e il loro tavolo. Gli occhi hanno già cominciato a farsi più luminosi di quanto non siano solitamente. Il suo corpo freme, come se facesse fatica a mantenersi in quella forma.
“Amon… calmati”, mormora Hiroshi, che sta presagendo la trasformazione.
Akira sbatte sul tavolo il dossier della ragazza, proprio davanti ai piloti, con fare accusatorio.
“PERCHE’ NESSUNO MI HA DETTO NIENTE?”
Maria sfoglia la cartella, impallidendo. Se la ricorda bene, quella ragazza, arrivata insieme a Ryo Asuka dalla corte da incubo di Slum King e mai più ripresa. Si ricorda come le sue condizioni continuassero a peggiorare, in netto contrasto con quelle di Ryo che miglioravano proporzionalmente.
“… la conoscevi”, dice, più col tono dell’affermazione che della domanda.
Il pugno di Amon si torce. La sua faccia fa una smorfia di rabbia. “Lei… lei era…”
“E’ arrivata qui con Ryo Asuka, nelle stesse condizioni. Ricordi quando ti ho detto che l’avevamo visto con una forma demoniaca? In quell’occasione mi ha rivelato di aver provocato intenzionalmente la sua cattura e la tortura da parte di Slum King. Perché ci saremmo impietositi e l’avremmo accolto alla base… e lui avrebbe potuto studiare – le voce le si smorza leggermente – noi umani”
Akira urla di rabbia. Il suo corpo cresce di dimensioni, cambia fino a diventare il diavolo in cui si è già trasformato una volta.


“FERMO DOVE SEI!”


Da un tavolo in fondo, la voce di Jun perfora tutto il silenzio carico di tensione che si è venuto a creare. Il demone alza piano la faccia verso chi ha parlato, mentre anche Tetsuya scatta in piedi, pronto a difendere la sua compagna di decine di battaglie.
Jun non fa nulla per nascondersi.
Pur con gli occhi dilatati dal terrore, rimane dov’è, con la pistola stretta in pugno, puntata verso Amon.
Il mostro sembra annusare qualcosa nell’aria. Poi, il grande squarcio irto di zanne che ha al posto della bocca, si distende in qualcosa che assomiglia a un sorriso.
“Altrimenti?”
Per un istante, Jun apre la bocca senza riuscire a parlare. Poi i suoi occhi si stringono, mentre le dita si stringono sul calcio della pistola.
“Altrimenti ti ammazzo”, dice risolutamente.
Amon esplode in una risata che risuona come un latrato rauco. “Mi piaci”, ghigna verso la soldatessa.
“Tu no”


“Jun, fermati… ci pensiamo noi”, interviene Hiroshi, frapponendosi tra lei e il mostro.
Jun corruga la fronte. Non ha ancora visto la forma umana del giovane Shiba, e quello che le si para davanti è un ragazzo suoi venticinque anni, con i capelli piuttosto lunghi e un bizzarro quanto antiquato completo da Elvis Presley.
“E tu chi diavolo saresti?”
“Jun, sono io… sono Hiroshi! Riconosci la mia voce?”
Gli occhi della ragazza si spalancano, pur mandando degli sguardi fuggevoli al demone. Tetsuya e Maria, nel lasso di tempo in cui Hiroshi l’ha distratta, sembrano aver ripreso il controllo della situazione, anche se il “Devilman” non accenna a ritrasformarsi.
“Sei tornato normale?” chiede al pilota di Jeeg, con ancora un’espressione piuttosto tesa in volto.
“Quasi… diciamo che ho trovato un modo per sembrare più normale del solito. Adesso calmati, comunque, va tutto bene. Amon non è nostro nemico”
Lei continua a guardarlo, fortemente scettica delle parole pronunciate dall’amico. “Non mi fido”
“È qui per aiutarci. Non c’è nulla da temere”, la rassicura ancora Hiroshi.
“Sarà come dici… state attenti”


Sentendosi ancora gli occhi addosso, esce dalla sala, scambiandosi uno sguardo di intesa con Tetsuya per accertarsi che sia tutto sotto controllo.
Il demone non smette di guardarla per un secondo. Continua a sorridere.


“Ora ritrasformati, Amon”, dice Tetsuya.
“No”, ghigna il demone, protendendosi verso di lui.
“Stai spaventando tutti in questa base. Ritrasformati”
“NON DARMI ORDINI! STAI AL TUO POSTO, UMANO!”
Tetsuya si alza in piedi a fronteggiare il demone. Presi come sono dal pericolo che stanno fronteggiando nessuno dei piloti si rende conto delle squadre dei militari che hanno cominciato a bloccare le uscite della stanza, e di Yumi che sta mandando comunicazioni continue.


“Maria… Tetsuya… Hiroshi…stiamo inviando soccorsi”


Sempre sorridendo, Amon si ritrasforma in Akira, pian piano. “Ok, ok, scusate!”, dice con il tono più rilassato che ha quando è in forma umana, uscendo e tornando alla sua cabina, passando vicino ai soldati della base già schierati.
Tetsuya non dice nulla. Poi, infuriato, esce dalla sala, seguito dagli altri.





“Sono stanco di questa situazione!”, sbotta il pilota del Great Mazinger, entrando nella Sala Riunioni.
Hiroshi e Maria restano in silenzio, come anche Sanshiro e Yumi, l’uno seduto e l’altro in piedi accanto a una mappa tattica.
“Non sopporto di dover ricorrere ancora a creature che disprezzano l’umanità, o che nel migliore dei casi se ne disinteressano. Il modo con cui Amon ha pronunciato la parola umano non aveva nulla di diverso dal tono che usano i Generali di Mikeros!”
“E’ una guerra, Tetsuya. Fattene una ragione e dacci un taglio coi tuoi moralismi”, ribatte Sanshiro.
“Beh, non mi aspetto di certo molti moralismi, da te. In fondo c’eri anche tu a rastrellare esseri umani da portare a Mikeros”
Sanshiro scatta in piedi. “Piantala con questa storia! Quello che voglio dire, perché finalmente tu lo capisca una volta per tutte, è che OGNI mezzo per vincere questa guerra va bene. Mentre tu ti ingozzi di scrupoli e begli ideali, fuori la gente sta morendo!”
I due piloti restano a fronteggiarsi, senza dirsi una parola.
“In questo Sanshiro ha ragione, Tetsuya – li interrompe pacatamente Yumi – in fondo, è per la vita per le persone che combattiamo”
“Anche se questo significa stringere la mano a chi ci vorrebbe estinti o loro schiavi? Anche se significa spedire da sola Maria in pasto a Rigarn? Non può permettere di…”
“Sono in grado di decidere da sola, Tetsuya, grazie. Quanto all’essere da sola, non è una condizione molto diversa dal solito”, ribatte Maria, gelida.
Un pesante sbuffo di Hiroshi spezza la discussione. “Ma non è vero!”
“Maria – dice Yumi – Ovviamente non sarai sola. E ovviamente, nessuno oltre è in grado di valutare se effettivamente questa richiesta di Rigarn abbia più o meno una base reale. Lo conosci meglio di noi, hai già… avrai già avuto a che fare con lui”
Maria annuisce, restando in silenzio, con un’espressione meditabonda. “Sono quasi certa che non sia una trappola. Il fatto che si sia rivolta a me, e non a voi, non credo possa essere una coincidenza. Purtroppo, però, non sono minimamente in grado di prevedere cosa chiederà in cambio”
“Nessuno è in grado di prevederlo – dice Hiroshi – Forse l’unico modo per saperlo è davvero parlamentare. Poi possiamo valutare se accettare o meno quello che ha da dire”
Tetsuya, esasperato, batte un pugno sul tavolo. “Perché non chiedere aiuto a Daisuke, allora? Non si ha nessuna notizia di lui?”
“Io non tenderò la mano a un traditore”, replica Hiroshi, con freddezza.
“Nel futuro, Daisuke è l’unico che abbia mosso un dito per aiutarci… e la sfida del Generale Nero era rivolta anche a lui!”
“Davvero? – la voce di Hiroshi si alza sempre di più – Ben venga… dopo aver sconfitto il Generale Nero, allora sarà il mio prossimo obbiettivo!”
Gli occhi di Tetsuya scoccano uno sguardo rabbioso verso Hiroshi. “Sei disposto a dar fiducia immediata a quel demone, o a un Generale delle Sette Armate e non a uno che ha sempre combattuto con noi?”
“Sarà perché ancora non posso sapere quanto Amon o Rigarn possano essere un pericolo… mentre Daisuke me l’ha ampiamente dimostrato!”


“Ora smettetela – dice Yumi, illuminando la mappa tattica – Notizie di Daisuke ne abbiamo raccolte dall’equipaggio dell’Alphard, la nave che ha risposto alle trasmissioni di Koji e ci ha raggiunti in Corea”
Uno schermo si accende: davanti all’immediato sconcerto dei piloti, una registrazione mostra Grendizer, a capo delle Armate Jamatai, impegnato a combattere i mostri di Mikeros. Nel filmato – ripreso evidentemente dall’Alphard, trovatasi in mezzo al conflitto – Grendizer sembra un gigante cupo e silenzioso, che abbatte i suoi nemici con molti meno scrupoli rispetto al passato.
“Jamatai contro Mikeros… non erano alleati una volta?”, mormora sbigottito Sanshiro.
“Avrà tradito anche loro”
Ignorando il commento sarcastico di Hiroshi, Maria guarda il monitor. “Ci devono essere stati degli sconvolgimenti negli equilibri di potere di uno o dell’altro schieramento. Forse Rigarn potrebbe dirci qualcosa anche su questo”
“Ci terremo su tutti i fronti – dice Yumi – Maria, tu e Hiroshi andrete a Berlino a parlamentare con Rigarn. Tetsuya, tu cercherai di contattare Daisuke nel Kyushu. Sanshiro, tu e gli altri resterete a difesa della base”
Poco prima che la riunione finisca, Maria propone a Yumi di approfittare della permanenza a Berlino per unire i suoi poteri mentali a quelli di Grace e cercare la presenza di Koji.
Quando Yumi sente la teoria elaborata dai piloti in Sala Mensa, sull’eventualità che Kabuto possa trovarsi a Tokyo, un pesante velo di preoccupazione discende sul suo volto.
“Sarebbe gravissimo. Tokyo non è stata mai come ora sotto sorveglianza Mikeros”
“Gli ultimi monitoraggi non avevano mostrato un loro massiccio spostamento di truppe in Sud America?”, chiede Tetsuya, riferendosi alle informazioni raccolte col sistema satellitare di Blocken a Berlino.
“No – risponde Yumi, scuotendo la testa – Penso che buona parte di quegli spostamenti siano stati una manovra per ingannarci. Sono quasi certo che l’elite dell’esercito Mikeros sia ancora a Tokyo… ammassandosi attorno al Monte Fuji”


Ogni pilota ritorna ai propri alloggi, chi a preparare le ultime cose prima della partenza, chi a rilassarsi in uno dei rari momenti di pace che la Fortezza sembra star vivendo.
Maria non riesce a trattenere un’espressione di meraviglia, nel vedere Tetsuya che la sta aspettando sulla soglia della sua cabina.
“Non mi importa di quello che dicono gli altri – mormora il pilota del Great, con lo sguardo serio – Per colpa di Rigarn ho perso già una volta una persona a cui tenevo. Non permetterò che accada di nuovo. Volevo solo che sapessi questo”
Maria resta in silenzio.
“Grazie”, riesce solo a sussurrare, prima di affrettarsi per entrare nella sua stanza.
Tetsuya, senza aggiungere altro, prende il comunicatore.
“Akira, ti voglio tra cinque minuti nell’hangar del Great Mazinger”





“Vediamo cosa sei capace di fare, allora”


Senza la minima nota di gentilezza nel dirlo, Tetsuya accompagna Akira dentro l’hangar del Great Mazinger. Alcuni soldati fanno un passo avanti quando vedono lo straniero arrivare; poi, la presenza di Tetsuya che fa loro cenno di stare tranquilli li fa tornare alle rispettive postazioni.


“Vengo anche io con voi”, dice qualcuno alle loro spalle.


Tetsuya si volta, per vedere Jun – ancora con la stessa espressione risoluta e determinata che aveva nella sala mensa – appena dietro di loro.
Akira abbozza un sorrisetto di sfida.


“Non è necessario”, dice Tetsuya.
“Voglio vedere”, ribatte Jun, con un tono che non ammette repliche.


Senza aggiungere altro, Tetsuya apre gli sportelli dell’hangar, chiedendo ai tecnici ancora impegnati nelle riparazioni di uscire per un momento.
La presenza massiccia del Great Mazinger incombe su tutti e tre. Una sagoma gigantesca in cui solo gli occhi sembrano debolmente illuminati. Occhi costruiti per giudicare, direbbe Tetsuya, che ha una sensazione piuttosto affine alla prima volta che – da piccolo – in questo stesso hangar ha visto per la prima volta il gigantesco robot.


Jun si appoggia a una parete, a guardare la scena.
“Credo che ci sia del vero, in quello che ha detto la vostra amica – commenta Akira, guardando il robot – sento qualcosa, qui”
Tetsuya, già sul punto di salire sul Brain Condor, si ferma, voltando appena la testa. “Qualcosa?”
Akira annuisce, mentre cammina fino a porsi proprio davanti al colossale Great. “La presenza di qualcosa. Qualcuno. Imprigionato lì dentro”
Con un cenno, indica la sagoma del robot, ancora avvolta tra le ombre.
“Sento la sua rabbia”, mormora.


Tetsuya non commenta. Da una vita intera è sicuro che dentro il Great Mazinger alberghi qualcosa di vivo, di minaccioso. Per certi versi, le parole di Akira sono quasi una conferma rassicurante. Per altri, portano con sé delle implicazioni terribili, a cui non può fare a meno di pensare senza provare una profonda inquietudine.
“Hai detto che sei in grado di cambiare forma”
Akira annuisce, guardando con la coda dell’occhio Jun che si ritrae nell’oscurità. “La capacità di alterare la propria struttura fisica, è qualcosa di comune a molti demoni”
“Bene – risponde Tetsuya, lanciandogli un’occhiata prima di salire sul Brain Condor – Dimostramelo”


In una veloce manovra di agganciamento, il Condor entra nel vano all’interno della testa del Great Mazinger.
Gli occhi si accendono del tutto. Due punti di luce in un’oscurità che sembra via via farsi più solida, invece di alleggerirsi. Il bagliore emanato dallo sguardo del robot, illumina appena un volto di acciaio, la cui griglia assomiglia a un sorriso spettrale.


Davanti a lui, Akira Fudo si rannicchia su se stesso.
Tetsuya, dal suo abitacolo, vede solo la sagoma come gonfiarsi di una nuova e più possente muscolatura. Con una rapidità del tutto inaspettata, poi, la sagoma dello straniero cresce di dimensioni, diventando più grande, più alta.
Nere ali da pipistrello si distendono in tutta la loro apertura. Gli artigli si piantano nel pavimento, afferrandolo come di riflesso al dolore provocato dalla trasformazione. In pochi istanti, Amon è simile al demonio visto solo il giorno prima nella Sala di Controllo, ma più alto, più alto ancora, sempre di più.


Finchè il suo volto non viene debolmente illuminato dagli occhi del Great Mazinger.
Si fronteggiano, il demone nato secoli prima della razza umana e quello che invece la razza umana ha creato. Due giganti terribili, i volti contorti in sorrisi folli e contratti.
Jun, ancora a terra, li vede: uno maestoso, dalla forma resa affilata dal rigore e dalla fredda rabbia del suo stesso pilota. L’altro, contorto, dal corpo nervoso, in cui spiccano i fasci muscolari, che si protende verso il Great come lo stesse studiando o fosse sul punto di scattare contro di lui..
Non potrebbero essere così simili e diversi allo stesso tempo.


“Soddisfatto?”, ruggisce la voce rauca di Amon.
“Sì – risponde freddamente Tetsuya – Puoi diventare grande abbastanza per contrastare un mostro di Mikeros ad armi pari. In ogni caso, ancora non so nulla delle tue potenzialità offensive”
“Possiamo fare una prova, se vuoi”, ghigna il demone, protendendosi ancora di più sul Great.
“Non a così scarsa distanza dallo scontro col Generale Nero”, ribatte Tetsuya, come se non avesse colto il non troppo sottointeso invito a combattere.
Amon guarda ancora una volta il Great, prima di rimpicciolire e riprendere le sembianze di Akira. Dopo pochi secondi, il Brain Condor si sgancia dal Great Mazinger.
Akira guarda verso Jun, rimasta a osservare la scena senza commentare. Poi si rivolge a Tetsuya.
“Hai una donna molto coraggiosa”.
“Non è la mia donna – risponde Tetsuya, togliendosi il casco, decisamente stupito per il fraintendimento – Jun è una sorella”


La mano della ragazza si contrae per un istante in un pugno. “Beh, torno ad allenarmi, se non avete più bisogno di me”
Senza attendere una risposta, Jun abbandona a grandi passi l’hangar del Great Mazinger. Dietro di sé, un perplesso Tetsuya fa da contraltare a un divertito Akira.





Un pugno. Un altro pugno. Un altro pugno ancora.


“Decisamente non male. Che ne diresti di allenarti con me?”


Jun si volta, smettendo per un momento di prendere a pugni il sacco da boxe che ciondola appeso al soffitto della palestra.
Davanti a lei, appoggiato all’ingresso, Akira Fudo la guarda con le braccia incrociate e un sorrisetto strafottente sul volto.
“Non faccio sparring”, risponde seccamente la ragazza, dando un altro secco pugno.
Akira si stacca dalla parete e va verso di lei, sempre con un’espressione divertita sul volto.


“No, ma si direbbe che hai parecchie energie da sfogare”
“Stai cercando di renderti simpatico?”
Akira sbuffa. I suoi occhi, contornati di nero, la squadrano con un’intensità penetrante, quasi fastidiosa. “No, cercavo davvero solo di allenarmi con qualcuno… ma se non vuoi…”
Conclude la frase con un’alzata di spalle, facendo per girarsi e andarsene.


“Aspetta!”
Quando si volta di nuovo verso di lei, Jun si passa l’asciugamano sul collo, e poi fa scrocchiare le dita. “Va bene – dice, con un mezzo sogghigno che non preannuncia a nulla di buono – In fondo, se proprio devi far parte dell’Armata Mazinger, sarà meglio vedere subito la tua preparazione”


Nella palestra, completamente deserta, Akira e Jun si fronteggiano l’un l’altro, ognuno di loro con un sorriso da predatore stampato sulla faccia.
“Quindi? Sei la sorellina di Tsurugi?”, chiede Akira, con il sogghigno che si allarga.
Il primo pugno di Jun lo colpisce in piena faccia. Il ragazzo trattiene il respiro, mentre i suoi muscoli si tendono.
“Allora? Ti è già passata la voglia?”, lo prende in giro Jun. La voce, però, le si smorza leggermente, nel constatare che il suo violento colpo non sembra aver spostato Akira di un passo.
“Forse è meglio se ti limiti a evitare i miei”, mormora lui, con la voce decisamente incupita.
Un altro pugno di Jun, dritto sulla faccia. La rabbia di Amon inizia a montare lenta dentro le sue vene.
“Davvero… credo sia il caso che tu la smetta”, sussurra a denti stretti.
L’ennesimo pugno dato da Jun, che non sembra minimamente intenzionata a dare retta agli avvertimenti, gli fa per un momento guizzare qualcosa sotto la pelle. I lineamenti del volto si contraggono, per un attimo quasi cambiano. I capelli di nuovo fanno per sollevarsi, come per effetto di una scarica elettrostatica.
Poi colpisce Jun con un pugno violentissimo, che la fa cadere dritta per terra.


Con lo stesso sguardo di una pantera, Jun si lecca il sangue dal labbro spaccato. Sorride.
“Bene… sembra che ti sia deciso a fare sul serio”
Per alcune ore il combattimento, stremante, continua. Poi Akira si ritrae.
“Non male. Ora mi scuserai – ghigna – ho una specie di appuntamento”


"Stia attenta... siamo sicuri che durante la notte un braccio si sia mosso e abbia divelto uno dei fermi, anche se non sappiamo perchè. Forse un cortocircuito..."
"Non mi succederà nulla, grazie mille lo stesso", risponde Maria a uno dei tecnici del team di manutenzione di Minerva X.


Maria entra nell’hangar di Minerva.
C’è qualcosa di strano, se ne accorge subito. L’hangar è completamente vuoto, come se i tecnici – apportate le opportune riparazioni – avessero avuto fin troppa fretta nell’abbandonarlo.
La telepatie, entrandovi, non se ne stupisce troppo. Molto più di altre volte, la furia del suo robot è palpabile, pesante.
Strozza il respiro in gola alla ragazza, le stringe il cuore in una morsa. Per quanto abbia molte volte sentito la rabbia indomabile di Minerva X, Maria non ha mai provato nulla di simile.


Sente quella rabbia rivolta a ogni cosa, lei – per la prima volta –compresa.
Sente la furia di qualcosa rimasto imprigionato, che vuole uscire a ogni costo. Si spoglia sotto gli occhi del robot che la guardano freddi e pieni di rancore. Lentamente si allaccia la suite piena di cavi neurali e si mette nel vano di pilotaggio. I cavi la stringono forte, come se volessero stritolarla, farla a pezzi.


“Minerva…”, sussurra Maria con voce ferma.


Con qualcosa di simile a un grido, il robot scatta fuori dall’apertura dell’hangar verso l’esterno della Fortezza. Fuori, sul ponte, Jeeg corre prima di buttarsi, sganciare l’energia elettromagnetica che unisce le braccia al torso e ricevere i Mach Drill dal Big Shooter.


Jeeg e Minerva non sono gli unici, però.
Seduto sul ponte, a guardarli con un’espressione indecifrabile, anche il gigantesco Amon. Le sue proporzioni sono il quadruplo rispetto a quelle con cui è apparso ai piloti nella sua prima trasformazione, dentro la Sala di Controllo della base. Il colore della sua pelle si è fatto leggermente più chiaro, assumendo una malsana sfumatura verdognola.
Due immense ali da pipistrello sono avvolte lungo i suoi fianchi.


Vedere il diavolo così da vicino, è un’esperienza che turba profondamente entrambi i piloti.


Amon volge lo sguardo su di loro.
“Andiamo?”
“I tuoi ordini sono di rimanere qui alla base, Amon”, le risponde Maria, con la voce amplificata dai microfoni di Minerva.
Il demone fa un sorriso decisamente poco rassicurante. “Solo per un po’ Solo per un tratto”
Jeeg manda uno sguardo perplesso alla compagna.


“Dottor Yumi… che facciamo?”, chiede, mandando una comunicazione interna al Direttore della Base.
Lo scienziato prende qualche minuto per pensare. “Per il momento lasciate che vi accompagni fino all’area limite dei radar. Se arrivati lì accenna a non voler tornare indietro, convincetelo con le cattive”
Hiroshi non risponde immediatamente, stupito dall’improvvisa durezza del professore. “Ricevuto”, dice infine.


Non appena si libra in alto, Amon si pone immediatamente vicino a Minerva.
Maria cerca di allontanarsi dalla sua traiettoria, ma il demone continua a starle accanto. I cavi sembrano strattonarla sempre di più. Il respiro inizia a contrarsi.
Di nuovo, la telepatie prova una manovra di disimpegno, ma il demone sembra più veloce di lei… o forse è Minerva che non risponde adeguatamente ai suoi comandi.
Un artiglio scintilla minacciosamente, prima di affondare nella carne di Amon, senza che Maria abbia dato l’impulso.


“NO!”





Lungi dall’essere arrabbiato, Amon reagisce ridendo, come se si fosse aspettato quella reazione. A sua volta, reagisce con un colpo nel pieno petto di Minerva.
Maria viene sbalzata in avanti. Apre la bocca per chiedere aiuto, ma non esce nessun suono oltre un gemito prolungato.


Amon e Minerva X si librano molto al di sopra di quanto il robot non faccia di solito, lasciandosi indietro Jeeg che cerca disperatamente di colmare la distanza in tempo.
I colpi si susseguono velocissimi. Artigliate, graffi, profondi squarci. Non una sola arma viene usata in questo scontro, in cui – a tratti – il demone afferra Minerva e le apre braccia e gambe con forza, come se volesse violentarla nel cielo.


Maria non riesce a impedire che il suo robot si aggrappi con gli artigli alla schiena di Amon, lacerandola e tagliandola con quello che sembra una strana via di mezzo di furia e passione. Sembra che non solo Minerva non le obbedisca più, ma che voglia addirittura tagliarla fuori dalla loro perenne comunicazione empatica.
Ma quel poco che riesce a filtrare, riempie Maria di una strana sensazione. Qualcosa che le fa bollire il sangue, che la lascia col respiro corto.


Con sorpresa e imbarazzo, si accorge di essere umida tra le gambe. È solo in quel momento che riesce a recuperare il controllo e planare verso il basso.


“Maria, tutto bene? Che cosa sta succedendo?”, urla Hiroshi al comunicatore.
“N-niente”, risponde lei, ansimando. Prende fiato, mentre Amon si allontana, guardandola un’ultima volta e tornando verso la Fortezza delle Scienze.
“Minerva ha… ha perso il controllo… ma ora va tutto bene”


Tutto bene, ripete a se stessa, mentre guarda il demone allontanarsi, con una rabbia crescente verso di lui e il proprio stesso robot.





Nuvole nere coprono l’intera superficie del Kyushu.
Tetsuya si addentra sempre più, col Great Mazinger, in quella che è una cortina che non lascia passare nessuna luce, nessun suono, nessuna comunicazione radio. Forse, nemmeno nessuna speranza.
Tetsuya non si perde d’animo. Via via che avanza, radar e comunicazioni si oscurano del tutto. La scintilla di umanità che ha visto nel Duke Fleed del futuro, si sovrappone ai villaggi e ai centri distrutti nella sanguinosa guerra tra l’Impero Jamatai e le Sette Armate Mikeros. Ai corpi dei mostri macellati e impalati ai pali della luce divelti, come macabri trofei: corpi giganteschi di cui si intravedono solo le sagome nella foschia densa che avvolge l’intera regione.
Il Great Mazinger vi si addentra sempre di più, fino a che non è costretto a una brusca virata.
Una gigantesca montagna appare nella nebbia. Tetsuya trattiene il fiato quando la vede librarsi in aria, circondata da lingue di fuoco che serpeggiano intorno alla sua base, prendendo la forma di giganteschi draghi.
Yamata No Orochi.


“… Daisuke?”


Tutto è silenzio, oltre lo stridere spaventoso dei draghi della corazzata di Himika.


Poi, un mostro Haniwa, una sorta di sinistro pegaso o ki-rin, esce dalla nebbia, con una figura minuscola che si tiene aggrappata alla sua immensa criniera. Tetsuya riconosce subito Flora, la guardia del corpo del futuro Principe di Fleed, e il mostro con cui combatteva.
Ma è nel vedere il disco volante dietro di lei, che trattiene il fiato. In piedi sull’UFO, a braccia incrociate, una sagoma fin troppo familiare. Per quanto nascosto dalle nuvole, Grendizer si erge sullo scenario devastato metri e metri sotto di loro.


Una voce cupa, dal robot.


“Tetsuya”