giovedì, settembre 06, 2007

40: il risveglio dell'arpia Silen




Il corridoio, alla luce sempre più livida della sera, è ormai completamente buio.
Sembra che nemmeno la scarsa illuminazione al neon riesca ad avere ragione sull’oscurità opprimente che si respira tutt’intorno.
I passi di Akira risuonano veloci, sicuri, senza alcuna incertezza su dove andare. Nessuno si ferma a fargli domande: il ragazzo appena arrivato alla base suscita una strana sensazione di disagio in molte delle persone che lo incontrano. E questo corridoio, inoltre, il corridoio che porta fino all’hangar di Minerva X, non è sorvegliato dalle guardie con la stessa cura delle altre zone. Sembra ci sia una sorta di timore superstizioso, quando ci si avvicina alla grande paratia che tiene rinchiusa l’arpia di Lega Z.
Quando Akira vi si trova davanti indisturbato, approfittando degli ampi giri di ronda delle guardie, le paratie fanno un rumore secco, lacerante. Quasi un lamento.
Si aprono.
Gli occhi di Akira luccicano nel buio, contro la sua sagoma scura. I capelli sembrano fluttuare sopra la sua testa, spinti da una forza elettrostatica.
Entra.
Il gigantesco corpo di Minerva X è davanti a lui, gli occhi spenti, il viso chiuso in un’espressione che forse solo Maria riuscirebbe a decifrare. Di certo, solo la telepatie si porterebbe così vicino al robot senza paura. Perfino i tecnici e gli addetti alle riparazioni non lo fanno volentieri, in perenne timore che quel demone si animi di colpo.
Akira leva lo sguardo verso il robot. Il suo sguardo sembra luccicare ancora.


“Silen”, chiama.


I neon che illuminano debolmente l’hangar, collassato per un momento.
L’aria sembra farsi più pesante. Più fredda.
Akira fa un sorriso.


“SVEGLIATI, SILEN!”


Gli occhi di Minerva si accendono.
Una delle sue gigantesche mani ad artiglio si muovono, contorcendosi freneticamente.





I soldati Mikeros, gli umani il cui cervello è stato lobotomizzato per servire in tutto e per tutto l’esercito di abomini biomeccanici, vengono schierati e fatti cadere in ginocchio davanti al Principe e alla Regina, che osservano imperturbabili dalla sommità della mostruosa Yamata No Orochi.
La corazzata dell’Impero Jamatai si distingue dalle montagne che la circondano solo per i funebri ornamenti che ne circondano la base, i giganteschi teschi ghignanti il cui sguardo copre ogni direzione.


La Regina Himika sorride, mentre vede i prigionieri portati al suo cospetto.
Il volto di Duke Fleed, Principe Jamatai, completamente coperto dal casco, è indecifrabile.


La differenza tra i soldati dell’Impero Mikeros e Jamatai sembra enorme: laddove gli uni sono perfette macchine, automi che non sembrano dimostrare sentimenti nemmeno nel momento più prossimo alla loro morte, i secondi sono mostruosi zombie che camminano inarcati, con le fauci aperte in un ghigno mostruoso, le braccia abbandonate lungo i fianchi.


Quando il primo soldato Mikeros viene squartato in due da un unico colpo netto di spada del suo boia Jamatai, i tre ministri di Himika (Ikima, Mimashi e Amaso) reagiscono con un sorriso di soddisfazione. Solo la guardia del corpo di Duke Fleed, Flora, sembra turbata. Turbata più che altro per la reazione del suo protetto: un appena percettibile contrarsi del corpo, un chiudere le mani a pugno.
Non è l’unica a essersene accorta. Con un sorriso ironico, Himika si volta verso di lui.
“Ancora troppo umano, Principe di Fleed”, commenta, mentre sotto di lei altri prigionieri seguono la stessa sorte di quello giustiziato per primo.


La voce che esce dal casco di Duke Fleed è bassa, molto più cupa di quella del giovane ragazzo che ha abbandonato l’Armata Mazinger per proteggere Hikaru e trovare un altro modo di far finire la guerra.
“Sto imparando a disfarmi della pietà, Himika”


Soddisfatta, la Regina Himika gli rivolge uno sguardo decisamente compiaciuto. “Imparerai molto presto, Principe. È solo una questione di tempo, e hai già fatto grandi progressi”





Alle prime luci del mattino, Tetsuya si affaccia sul ponte della Fortezza delle Scienze.
Ha molto da riflettere, al ritorno dal suo viaggio nel futuro. Le conversazioni con Hiroshi, sulla possibilità o meno di cambiare il proprio destino, gli riecheggiano in mente insieme alla nuova responsabilità di proteggere gli abitanti di Edo.
La fine della guerra con Mikeros, nel duello con il Generale Nero, sembra prossima. Eppure, il pilota del Great si rende conto che non sarà altro che l’anticamera per un inferno peggiore, l’inferno dell’avvento di Vega.


Mentre l’alba tinge di rosso il mare della Corea, un suono improvviso, di ossa rotte, scuote l’attenzione del pilota.
Il cadavere di un gatto giace accanto a una figura ammantata con una montagna di stracci, il cacciatore di demoni che hanno portato alla Fortezza delle Scienze. Quando Tetsuya si volta verso di lui, lo vede chino a tracciare simboli di cui non conosce bene con il sangue della povera bestia.
Akira alza lo sguardo verso il pilota del Great, guardandolo a sua volta.
L’impressione raccapricciante che ha Tetsuya, è che parte del sangue dell’animale coli dalla bocca dell’uomo davanti a lui.
Completamente avvolto nell’oscurità dei suoi stracci, Akira fa un sorriso irto di zanne verso Tsurugi, per poi riprendere a guardare in cielo, verso la Stella del Mattino, come se cercasse qualcosa.
Con ben più che una situazione di turbamento, Tetsuya torna dentro la Fortezza.


Le porte dell’infermeria si aprono, facendo passare Akira Fudo.
Un paio di medici si fermano per qualche istante, prima di riprendere le loro faccende. Uno di loro, va incontro al ragazzo e gentilmente gli chiede se ha bisogno di aiuto.
“Sì – dice Akira, guardando un po’ turbato le ferite di alcuni pazienti – Mi hanno detto che tempo fa avete ricoverato un certo Ryo Asuka, giusto?”
Il medico si irrigidisce. Il ricordo della misteriosa sparizione del ragazzo, sbiadito poco a poco in una fortissima luce, dopo l’inspiegabile eruzione del Fuji, lascia ancora tutti pesantemente spaventati.
“S-sì”, risponde.
“Avrei bisogno di controllare le sue schede mediche. Mi hanno detto che era in condizioni critiche, quando l’avete portato qui”
“Io…”
“Ho il permesso del Direttore – lo previene Akira, sorridendo – Può chiedere conferma, se vuole”


Solo qualche minuto dopo, Akira sta controllando le cartelle, con il cuore in gola.
Il suo migliore amico, quello che lo ha trascinato in questo inferno, che ha cambiato per sempre la sua vita, è ritratto in una foto scattata appena dopo il suo arrivo alla base. Gambe e braccia amputate e sostituite da moncherini di ferro. Come un cane. Un cane per il piacere di Slum King.,
Akira si chiede se davvero quello che ha detto Maria è vero. Se davvero Ryo si sia messo apposta in questa situazione pur avendo già dei poteri da demone… solo per studiare gli esseri umani.


Sfoglia la cartella.
“Questa è dell’altra persona che è stata ricoverata con lui. Era una ragazza”, dice il medico, passandogli altri fogli.
Akira posa lo sguardo sulla foto dell’altra paziente.


Il cuore gli si stringe di colpo.
Le mani stringono convulsamente la cartella.
“La… la conosceva?”, chiede nervosamente il medico.
La bocca di Akira si torce in una smorfia.
Una smorfia di rabbia, rabbia che non riesce a essere trattenuta. I denti sembrano farsi più aguzzi, la bocca leggermente più grande. La schiena del ragazzo si inarca, come se qualcosa la spingesse dall’interno.
Il dottore riesce solo a distinguere un nome, pronunciato con una voce molto più rauca, gutturale, rispetto a quella di prima.
“Miki… MIKI!”


I capelli di Akira, di nuovo, si alzano quasi in un turbine, mentre esce di colpo dall’infermeria, crepando un muro con un solo pugno.





Tetsuya, Maria e Hiroshi sono seduti in Sala Mensa, impegnati a parlare tra di loro.
Il tema principale dei loro discorsi è ovviamente quello che hanno visto nel futuro, e come evitarlo con ogni mezzo. Inoltre, in Tetsuya e Hiroshi c’è fortissima la preoccupazione di sapere che fine ha fatto Koji.
“Stavo tenendo il Pilder tra le mani! Non può essere morto!”, ripete una volta ancora Hiroshi, quasi per convincersene lui stesso.
Tetsuya scuote la testa. Ha passato molte ore a rassicurare Shiro sul fatto che suo fratello stia bene, per quanto il ragazzino sia sempre più convinto che Koji non ci sia più.
“Kabuto è ancora vivo, di questo ne sono sicuro. Dobbiamo solo cercarlo”


Maria, che ha sempre avuto scontri violenti con Koji e una fortissima inimicizia, resta in silenzio. Poi, alza lo sguardo verso i suoi compagni.
“Se ci pensate, ognuno di noi è comparso in un luogo che aveva particolarmente a cuore o che comunque considerava come casa. Tu, Tetsuya, sei tornato a Edo. Sanshiro al Drago Spaziale… tu Hiroshi, alla Fortezza delle Scienze, anche se in teoria avrebbe avuto più senso il tuo vecchio villaggio…”
“Mayumi e Miwa. Aveva senso”, la interrompe Hiroshi, seriamente.
Maria annuisce. “Forse Koji è ricomparso in un luogo che considera importante e da cui non può comunicare. Forse è a Tokyo”
“Ma certo! – esclama Tetsuya – dov’è cominciato tutto, dove suo nonno gli ha affidato Mazinger Z!”


Hiroshi si appoggia pesantemente sulla sua sedia.
“Non è detto. Anche tu sei comparsa a Edo, ma non c’è niente laggiù che ti leghi”
Maria resta per qualche istante in silenzio. “Forse io sono la classica eccezione”, mormora imbarazzata, non riuscendo a fare a meno di lanciare un’occhiata di sfuggita a Tetsuya. Il pilota del Great non se ne accorge. Quando si volta verso la pilotessa di Minerva, Maria ha già distolto i suoi occhi e mascherato l’attimo di imbarazzo.
“Vale comunque la pena di parlarne a Yumi e di provare. Anche con i tuoi poteri mentali, se puoi aiutarci”, le dice.
Maria fa appena in tempo ad annuire, che la porta della Sala Mensa si spalanca.


Akira si staglia sulla soglia. Sembra assorbire tutta l’oscurità lì intorno.
Non dice nulla, guarda ognuna delle persone presenti con odio. La luce collassa per brevi istanti e nessuno, nemmeno quelli che ancora si sono accorti del suo ingresso, riesce per un attimo a respirare.
Tetsuya, sotto il tavolo, porta immediatamente la mano alla pistola. Maria e Hiroshi si irrigidiscono, scambiandosi uno sguardo d’intesa nel caso sia opportuno intervenire.


Ma la maggior parte dei presenti, sentendo la presenza di una rabbia senza limiti, una rabbia dall’abissale oscurità, preferiscono alzarsi in tutta fretta e andarsene.


“VOI!”, urla Akira, la cui voce già sembra mescolarsi a quella di Amon, verso i tre piloti.





Lo straniero arriva calcando a grandi, rabbiosi, passi la distanza tra l’ingresso e il loro tavolo. Gli occhi hanno già cominciato a farsi più luminosi di quanto non siano solitamente. Il suo corpo freme, come se facesse fatica a mantenersi in quella forma.
“Amon… calmati”, mormora Hiroshi, che sta presagendo la trasformazione.
Akira sbatte sul tavolo il dossier della ragazza, proprio davanti ai piloti, con fare accusatorio.
“PERCHE’ NESSUNO MI HA DETTO NIENTE?”
Maria sfoglia la cartella, impallidendo. Se la ricorda bene, quella ragazza, arrivata insieme a Ryo Asuka dalla corte da incubo di Slum King e mai più ripresa. Si ricorda come le sue condizioni continuassero a peggiorare, in netto contrasto con quelle di Ryo che miglioravano proporzionalmente.
“… la conoscevi”, dice, più col tono dell’affermazione che della domanda.
Il pugno di Amon si torce. La sua faccia fa una smorfia di rabbia. “Lei… lei era…”
“E’ arrivata qui con Ryo Asuka, nelle stesse condizioni. Ricordi quando ti ho detto che l’avevamo visto con una forma demoniaca? In quell’occasione mi ha rivelato di aver provocato intenzionalmente la sua cattura e la tortura da parte di Slum King. Perché ci saremmo impietositi e l’avremmo accolto alla base… e lui avrebbe potuto studiare – le voce le si smorza leggermente – noi umani”
Akira urla di rabbia. Il suo corpo cresce di dimensioni, cambia fino a diventare il diavolo in cui si è già trasformato una volta.


“FERMO DOVE SEI!”


Da un tavolo in fondo, la voce di Jun perfora tutto il silenzio carico di tensione che si è venuto a creare. Il demone alza piano la faccia verso chi ha parlato, mentre anche Tetsuya scatta in piedi, pronto a difendere la sua compagna di decine di battaglie.
Jun non fa nulla per nascondersi.
Pur con gli occhi dilatati dal terrore, rimane dov’è, con la pistola stretta in pugno, puntata verso Amon.
Il mostro sembra annusare qualcosa nell’aria. Poi, il grande squarcio irto di zanne che ha al posto della bocca, si distende in qualcosa che assomiglia a un sorriso.
“Altrimenti?”
Per un istante, Jun apre la bocca senza riuscire a parlare. Poi i suoi occhi si stringono, mentre le dita si stringono sul calcio della pistola.
“Altrimenti ti ammazzo”, dice risolutamente.
Amon esplode in una risata che risuona come un latrato rauco. “Mi piaci”, ghigna verso la soldatessa.
“Tu no”


“Jun, fermati… ci pensiamo noi”, interviene Hiroshi, frapponendosi tra lei e il mostro.
Jun corruga la fronte. Non ha ancora visto la forma umana del giovane Shiba, e quello che le si para davanti è un ragazzo suoi venticinque anni, con i capelli piuttosto lunghi e un bizzarro quanto antiquato completo da Elvis Presley.
“E tu chi diavolo saresti?”
“Jun, sono io… sono Hiroshi! Riconosci la mia voce?”
Gli occhi della ragazza si spalancano, pur mandando degli sguardi fuggevoli al demone. Tetsuya e Maria, nel lasso di tempo in cui Hiroshi l’ha distratta, sembrano aver ripreso il controllo della situazione, anche se il “Devilman” non accenna a ritrasformarsi.
“Sei tornato normale?” chiede al pilota di Jeeg, con ancora un’espressione piuttosto tesa in volto.
“Quasi… diciamo che ho trovato un modo per sembrare più normale del solito. Adesso calmati, comunque, va tutto bene. Amon non è nostro nemico”
Lei continua a guardarlo, fortemente scettica delle parole pronunciate dall’amico. “Non mi fido”
“È qui per aiutarci. Non c’è nulla da temere”, la rassicura ancora Hiroshi.
“Sarà come dici… state attenti”


Sentendosi ancora gli occhi addosso, esce dalla sala, scambiandosi uno sguardo di intesa con Tetsuya per accertarsi che sia tutto sotto controllo.
Il demone non smette di guardarla per un secondo. Continua a sorridere.


“Ora ritrasformati, Amon”, dice Tetsuya.
“No”, ghigna il demone, protendendosi verso di lui.
“Stai spaventando tutti in questa base. Ritrasformati”
“NON DARMI ORDINI! STAI AL TUO POSTO, UMANO!”
Tetsuya si alza in piedi a fronteggiare il demone. Presi come sono dal pericolo che stanno fronteggiando nessuno dei piloti si rende conto delle squadre dei militari che hanno cominciato a bloccare le uscite della stanza, e di Yumi che sta mandando comunicazioni continue.


“Maria… Tetsuya… Hiroshi…stiamo inviando soccorsi”


Sempre sorridendo, Amon si ritrasforma in Akira, pian piano. “Ok, ok, scusate!”, dice con il tono più rilassato che ha quando è in forma umana, uscendo e tornando alla sua cabina, passando vicino ai soldati della base già schierati.
Tetsuya non dice nulla. Poi, infuriato, esce dalla sala, seguito dagli altri.





“Sono stanco di questa situazione!”, sbotta il pilota del Great Mazinger, entrando nella Sala Riunioni.
Hiroshi e Maria restano in silenzio, come anche Sanshiro e Yumi, l’uno seduto e l’altro in piedi accanto a una mappa tattica.
“Non sopporto di dover ricorrere ancora a creature che disprezzano l’umanità, o che nel migliore dei casi se ne disinteressano. Il modo con cui Amon ha pronunciato la parola umano non aveva nulla di diverso dal tono che usano i Generali di Mikeros!”
“E’ una guerra, Tetsuya. Fattene una ragione e dacci un taglio coi tuoi moralismi”, ribatte Sanshiro.
“Beh, non mi aspetto di certo molti moralismi, da te. In fondo c’eri anche tu a rastrellare esseri umani da portare a Mikeros”
Sanshiro scatta in piedi. “Piantala con questa storia! Quello che voglio dire, perché finalmente tu lo capisca una volta per tutte, è che OGNI mezzo per vincere questa guerra va bene. Mentre tu ti ingozzi di scrupoli e begli ideali, fuori la gente sta morendo!”
I due piloti restano a fronteggiarsi, senza dirsi una parola.
“In questo Sanshiro ha ragione, Tetsuya – li interrompe pacatamente Yumi – in fondo, è per la vita per le persone che combattiamo”
“Anche se questo significa stringere la mano a chi ci vorrebbe estinti o loro schiavi? Anche se significa spedire da sola Maria in pasto a Rigarn? Non può permettere di…”
“Sono in grado di decidere da sola, Tetsuya, grazie. Quanto all’essere da sola, non è una condizione molto diversa dal solito”, ribatte Maria, gelida.
Un pesante sbuffo di Hiroshi spezza la discussione. “Ma non è vero!”
“Maria – dice Yumi – Ovviamente non sarai sola. E ovviamente, nessuno oltre è in grado di valutare se effettivamente questa richiesta di Rigarn abbia più o meno una base reale. Lo conosci meglio di noi, hai già… avrai già avuto a che fare con lui”
Maria annuisce, restando in silenzio, con un’espressione meditabonda. “Sono quasi certa che non sia una trappola. Il fatto che si sia rivolta a me, e non a voi, non credo possa essere una coincidenza. Purtroppo, però, non sono minimamente in grado di prevedere cosa chiederà in cambio”
“Nessuno è in grado di prevederlo – dice Hiroshi – Forse l’unico modo per saperlo è davvero parlamentare. Poi possiamo valutare se accettare o meno quello che ha da dire”
Tetsuya, esasperato, batte un pugno sul tavolo. “Perché non chiedere aiuto a Daisuke, allora? Non si ha nessuna notizia di lui?”
“Io non tenderò la mano a un traditore”, replica Hiroshi, con freddezza.
“Nel futuro, Daisuke è l’unico che abbia mosso un dito per aiutarci… e la sfida del Generale Nero era rivolta anche a lui!”
“Davvero? – la voce di Hiroshi si alza sempre di più – Ben venga… dopo aver sconfitto il Generale Nero, allora sarà il mio prossimo obbiettivo!”
Gli occhi di Tetsuya scoccano uno sguardo rabbioso verso Hiroshi. “Sei disposto a dar fiducia immediata a quel demone, o a un Generale delle Sette Armate e non a uno che ha sempre combattuto con noi?”
“Sarà perché ancora non posso sapere quanto Amon o Rigarn possano essere un pericolo… mentre Daisuke me l’ha ampiamente dimostrato!”


“Ora smettetela – dice Yumi, illuminando la mappa tattica – Notizie di Daisuke ne abbiamo raccolte dall’equipaggio dell’Alphard, la nave che ha risposto alle trasmissioni di Koji e ci ha raggiunti in Corea”
Uno schermo si accende: davanti all’immediato sconcerto dei piloti, una registrazione mostra Grendizer, a capo delle Armate Jamatai, impegnato a combattere i mostri di Mikeros. Nel filmato – ripreso evidentemente dall’Alphard, trovatasi in mezzo al conflitto – Grendizer sembra un gigante cupo e silenzioso, che abbatte i suoi nemici con molti meno scrupoli rispetto al passato.
“Jamatai contro Mikeros… non erano alleati una volta?”, mormora sbigottito Sanshiro.
“Avrà tradito anche loro”
Ignorando il commento sarcastico di Hiroshi, Maria guarda il monitor. “Ci devono essere stati degli sconvolgimenti negli equilibri di potere di uno o dell’altro schieramento. Forse Rigarn potrebbe dirci qualcosa anche su questo”
“Ci terremo su tutti i fronti – dice Yumi – Maria, tu e Hiroshi andrete a Berlino a parlamentare con Rigarn. Tetsuya, tu cercherai di contattare Daisuke nel Kyushu. Sanshiro, tu e gli altri resterete a difesa della base”
Poco prima che la riunione finisca, Maria propone a Yumi di approfittare della permanenza a Berlino per unire i suoi poteri mentali a quelli di Grace e cercare la presenza di Koji.
Quando Yumi sente la teoria elaborata dai piloti in Sala Mensa, sull’eventualità che Kabuto possa trovarsi a Tokyo, un pesante velo di preoccupazione discende sul suo volto.
“Sarebbe gravissimo. Tokyo non è stata mai come ora sotto sorveglianza Mikeros”
“Gli ultimi monitoraggi non avevano mostrato un loro massiccio spostamento di truppe in Sud America?”, chiede Tetsuya, riferendosi alle informazioni raccolte col sistema satellitare di Blocken a Berlino.
“No – risponde Yumi, scuotendo la testa – Penso che buona parte di quegli spostamenti siano stati una manovra per ingannarci. Sono quasi certo che l’elite dell’esercito Mikeros sia ancora a Tokyo… ammassandosi attorno al Monte Fuji”


Ogni pilota ritorna ai propri alloggi, chi a preparare le ultime cose prima della partenza, chi a rilassarsi in uno dei rari momenti di pace che la Fortezza sembra star vivendo.
Maria non riesce a trattenere un’espressione di meraviglia, nel vedere Tetsuya che la sta aspettando sulla soglia della sua cabina.
“Non mi importa di quello che dicono gli altri – mormora il pilota del Great, con lo sguardo serio – Per colpa di Rigarn ho perso già una volta una persona a cui tenevo. Non permetterò che accada di nuovo. Volevo solo che sapessi questo”
Maria resta in silenzio.
“Grazie”, riesce solo a sussurrare, prima di affrettarsi per entrare nella sua stanza.
Tetsuya, senza aggiungere altro, prende il comunicatore.
“Akira, ti voglio tra cinque minuti nell’hangar del Great Mazinger”





“Vediamo cosa sei capace di fare, allora”


Senza la minima nota di gentilezza nel dirlo, Tetsuya accompagna Akira dentro l’hangar del Great Mazinger. Alcuni soldati fanno un passo avanti quando vedono lo straniero arrivare; poi, la presenza di Tetsuya che fa loro cenno di stare tranquilli li fa tornare alle rispettive postazioni.


“Vengo anche io con voi”, dice qualcuno alle loro spalle.


Tetsuya si volta, per vedere Jun – ancora con la stessa espressione risoluta e determinata che aveva nella sala mensa – appena dietro di loro.
Akira abbozza un sorrisetto di sfida.


“Non è necessario”, dice Tetsuya.
“Voglio vedere”, ribatte Jun, con un tono che non ammette repliche.


Senza aggiungere altro, Tetsuya apre gli sportelli dell’hangar, chiedendo ai tecnici ancora impegnati nelle riparazioni di uscire per un momento.
La presenza massiccia del Great Mazinger incombe su tutti e tre. Una sagoma gigantesca in cui solo gli occhi sembrano debolmente illuminati. Occhi costruiti per giudicare, direbbe Tetsuya, che ha una sensazione piuttosto affine alla prima volta che – da piccolo – in questo stesso hangar ha visto per la prima volta il gigantesco robot.


Jun si appoggia a una parete, a guardare la scena.
“Credo che ci sia del vero, in quello che ha detto la vostra amica – commenta Akira, guardando il robot – sento qualcosa, qui”
Tetsuya, già sul punto di salire sul Brain Condor, si ferma, voltando appena la testa. “Qualcosa?”
Akira annuisce, mentre cammina fino a porsi proprio davanti al colossale Great. “La presenza di qualcosa. Qualcuno. Imprigionato lì dentro”
Con un cenno, indica la sagoma del robot, ancora avvolta tra le ombre.
“Sento la sua rabbia”, mormora.


Tetsuya non commenta. Da una vita intera è sicuro che dentro il Great Mazinger alberghi qualcosa di vivo, di minaccioso. Per certi versi, le parole di Akira sono quasi una conferma rassicurante. Per altri, portano con sé delle implicazioni terribili, a cui non può fare a meno di pensare senza provare una profonda inquietudine.
“Hai detto che sei in grado di cambiare forma”
Akira annuisce, guardando con la coda dell’occhio Jun che si ritrae nell’oscurità. “La capacità di alterare la propria struttura fisica, è qualcosa di comune a molti demoni”
“Bene – risponde Tetsuya, lanciandogli un’occhiata prima di salire sul Brain Condor – Dimostramelo”


In una veloce manovra di agganciamento, il Condor entra nel vano all’interno della testa del Great Mazinger.
Gli occhi si accendono del tutto. Due punti di luce in un’oscurità che sembra via via farsi più solida, invece di alleggerirsi. Il bagliore emanato dallo sguardo del robot, illumina appena un volto di acciaio, la cui griglia assomiglia a un sorriso spettrale.


Davanti a lui, Akira Fudo si rannicchia su se stesso.
Tetsuya, dal suo abitacolo, vede solo la sagoma come gonfiarsi di una nuova e più possente muscolatura. Con una rapidità del tutto inaspettata, poi, la sagoma dello straniero cresce di dimensioni, diventando più grande, più alta.
Nere ali da pipistrello si distendono in tutta la loro apertura. Gli artigli si piantano nel pavimento, afferrandolo come di riflesso al dolore provocato dalla trasformazione. In pochi istanti, Amon è simile al demonio visto solo il giorno prima nella Sala di Controllo, ma più alto, più alto ancora, sempre di più.


Finchè il suo volto non viene debolmente illuminato dagli occhi del Great Mazinger.
Si fronteggiano, il demone nato secoli prima della razza umana e quello che invece la razza umana ha creato. Due giganti terribili, i volti contorti in sorrisi folli e contratti.
Jun, ancora a terra, li vede: uno maestoso, dalla forma resa affilata dal rigore e dalla fredda rabbia del suo stesso pilota. L’altro, contorto, dal corpo nervoso, in cui spiccano i fasci muscolari, che si protende verso il Great come lo stesse studiando o fosse sul punto di scattare contro di lui..
Non potrebbero essere così simili e diversi allo stesso tempo.


“Soddisfatto?”, ruggisce la voce rauca di Amon.
“Sì – risponde freddamente Tetsuya – Puoi diventare grande abbastanza per contrastare un mostro di Mikeros ad armi pari. In ogni caso, ancora non so nulla delle tue potenzialità offensive”
“Possiamo fare una prova, se vuoi”, ghigna il demone, protendendosi ancora di più sul Great.
“Non a così scarsa distanza dallo scontro col Generale Nero”, ribatte Tetsuya, come se non avesse colto il non troppo sottointeso invito a combattere.
Amon guarda ancora una volta il Great, prima di rimpicciolire e riprendere le sembianze di Akira. Dopo pochi secondi, il Brain Condor si sgancia dal Great Mazinger.
Akira guarda verso Jun, rimasta a osservare la scena senza commentare. Poi si rivolge a Tetsuya.
“Hai una donna molto coraggiosa”.
“Non è la mia donna – risponde Tetsuya, togliendosi il casco, decisamente stupito per il fraintendimento – Jun è una sorella”


La mano della ragazza si contrae per un istante in un pugno. “Beh, torno ad allenarmi, se non avete più bisogno di me”
Senza attendere una risposta, Jun abbandona a grandi passi l’hangar del Great Mazinger. Dietro di sé, un perplesso Tetsuya fa da contraltare a un divertito Akira.





Un pugno. Un altro pugno. Un altro pugno ancora.


“Decisamente non male. Che ne diresti di allenarti con me?”


Jun si volta, smettendo per un momento di prendere a pugni il sacco da boxe che ciondola appeso al soffitto della palestra.
Davanti a lei, appoggiato all’ingresso, Akira Fudo la guarda con le braccia incrociate e un sorrisetto strafottente sul volto.
“Non faccio sparring”, risponde seccamente la ragazza, dando un altro secco pugno.
Akira si stacca dalla parete e va verso di lei, sempre con un’espressione divertita sul volto.


“No, ma si direbbe che hai parecchie energie da sfogare”
“Stai cercando di renderti simpatico?”
Akira sbuffa. I suoi occhi, contornati di nero, la squadrano con un’intensità penetrante, quasi fastidiosa. “No, cercavo davvero solo di allenarmi con qualcuno… ma se non vuoi…”
Conclude la frase con un’alzata di spalle, facendo per girarsi e andarsene.


“Aspetta!”
Quando si volta di nuovo verso di lei, Jun si passa l’asciugamano sul collo, e poi fa scrocchiare le dita. “Va bene – dice, con un mezzo sogghigno che non preannuncia a nulla di buono – In fondo, se proprio devi far parte dell’Armata Mazinger, sarà meglio vedere subito la tua preparazione”


Nella palestra, completamente deserta, Akira e Jun si fronteggiano l’un l’altro, ognuno di loro con un sorriso da predatore stampato sulla faccia.
“Quindi? Sei la sorellina di Tsurugi?”, chiede Akira, con il sogghigno che si allarga.
Il primo pugno di Jun lo colpisce in piena faccia. Il ragazzo trattiene il respiro, mentre i suoi muscoli si tendono.
“Allora? Ti è già passata la voglia?”, lo prende in giro Jun. La voce, però, le si smorza leggermente, nel constatare che il suo violento colpo non sembra aver spostato Akira di un passo.
“Forse è meglio se ti limiti a evitare i miei”, mormora lui, con la voce decisamente incupita.
Un altro pugno di Jun, dritto sulla faccia. La rabbia di Amon inizia a montare lenta dentro le sue vene.
“Davvero… credo sia il caso che tu la smetta”, sussurra a denti stretti.
L’ennesimo pugno dato da Jun, che non sembra minimamente intenzionata a dare retta agli avvertimenti, gli fa per un momento guizzare qualcosa sotto la pelle. I lineamenti del volto si contraggono, per un attimo quasi cambiano. I capelli di nuovo fanno per sollevarsi, come per effetto di una scarica elettrostatica.
Poi colpisce Jun con un pugno violentissimo, che la fa cadere dritta per terra.


Con lo stesso sguardo di una pantera, Jun si lecca il sangue dal labbro spaccato. Sorride.
“Bene… sembra che ti sia deciso a fare sul serio”
Per alcune ore il combattimento, stremante, continua. Poi Akira si ritrae.
“Non male. Ora mi scuserai – ghigna – ho una specie di appuntamento”


"Stia attenta... siamo sicuri che durante la notte un braccio si sia mosso e abbia divelto uno dei fermi, anche se non sappiamo perchè. Forse un cortocircuito..."
"Non mi succederà nulla, grazie mille lo stesso", risponde Maria a uno dei tecnici del team di manutenzione di Minerva X.


Maria entra nell’hangar di Minerva.
C’è qualcosa di strano, se ne accorge subito. L’hangar è completamente vuoto, come se i tecnici – apportate le opportune riparazioni – avessero avuto fin troppa fretta nell’abbandonarlo.
La telepatie, entrandovi, non se ne stupisce troppo. Molto più di altre volte, la furia del suo robot è palpabile, pesante.
Strozza il respiro in gola alla ragazza, le stringe il cuore in una morsa. Per quanto abbia molte volte sentito la rabbia indomabile di Minerva X, Maria non ha mai provato nulla di simile.


Sente quella rabbia rivolta a ogni cosa, lei – per la prima volta –compresa.
Sente la furia di qualcosa rimasto imprigionato, che vuole uscire a ogni costo. Si spoglia sotto gli occhi del robot che la guardano freddi e pieni di rancore. Lentamente si allaccia la suite piena di cavi neurali e si mette nel vano di pilotaggio. I cavi la stringono forte, come se volessero stritolarla, farla a pezzi.


“Minerva…”, sussurra Maria con voce ferma.


Con qualcosa di simile a un grido, il robot scatta fuori dall’apertura dell’hangar verso l’esterno della Fortezza. Fuori, sul ponte, Jeeg corre prima di buttarsi, sganciare l’energia elettromagnetica che unisce le braccia al torso e ricevere i Mach Drill dal Big Shooter.


Jeeg e Minerva non sono gli unici, però.
Seduto sul ponte, a guardarli con un’espressione indecifrabile, anche il gigantesco Amon. Le sue proporzioni sono il quadruplo rispetto a quelle con cui è apparso ai piloti nella sua prima trasformazione, dentro la Sala di Controllo della base. Il colore della sua pelle si è fatto leggermente più chiaro, assumendo una malsana sfumatura verdognola.
Due immense ali da pipistrello sono avvolte lungo i suoi fianchi.


Vedere il diavolo così da vicino, è un’esperienza che turba profondamente entrambi i piloti.


Amon volge lo sguardo su di loro.
“Andiamo?”
“I tuoi ordini sono di rimanere qui alla base, Amon”, le risponde Maria, con la voce amplificata dai microfoni di Minerva.
Il demone fa un sorriso decisamente poco rassicurante. “Solo per un po’ Solo per un tratto”
Jeeg manda uno sguardo perplesso alla compagna.


“Dottor Yumi… che facciamo?”, chiede, mandando una comunicazione interna al Direttore della Base.
Lo scienziato prende qualche minuto per pensare. “Per il momento lasciate che vi accompagni fino all’area limite dei radar. Se arrivati lì accenna a non voler tornare indietro, convincetelo con le cattive”
Hiroshi non risponde immediatamente, stupito dall’improvvisa durezza del professore. “Ricevuto”, dice infine.


Non appena si libra in alto, Amon si pone immediatamente vicino a Minerva.
Maria cerca di allontanarsi dalla sua traiettoria, ma il demone continua a starle accanto. I cavi sembrano strattonarla sempre di più. Il respiro inizia a contrarsi.
Di nuovo, la telepatie prova una manovra di disimpegno, ma il demone sembra più veloce di lei… o forse è Minerva che non risponde adeguatamente ai suoi comandi.
Un artiglio scintilla minacciosamente, prima di affondare nella carne di Amon, senza che Maria abbia dato l’impulso.


“NO!”





Lungi dall’essere arrabbiato, Amon reagisce ridendo, come se si fosse aspettato quella reazione. A sua volta, reagisce con un colpo nel pieno petto di Minerva.
Maria viene sbalzata in avanti. Apre la bocca per chiedere aiuto, ma non esce nessun suono oltre un gemito prolungato.


Amon e Minerva X si librano molto al di sopra di quanto il robot non faccia di solito, lasciandosi indietro Jeeg che cerca disperatamente di colmare la distanza in tempo.
I colpi si susseguono velocissimi. Artigliate, graffi, profondi squarci. Non una sola arma viene usata in questo scontro, in cui – a tratti – il demone afferra Minerva e le apre braccia e gambe con forza, come se volesse violentarla nel cielo.


Maria non riesce a impedire che il suo robot si aggrappi con gli artigli alla schiena di Amon, lacerandola e tagliandola con quello che sembra una strana via di mezzo di furia e passione. Sembra che non solo Minerva non le obbedisca più, ma che voglia addirittura tagliarla fuori dalla loro perenne comunicazione empatica.
Ma quel poco che riesce a filtrare, riempie Maria di una strana sensazione. Qualcosa che le fa bollire il sangue, che la lascia col respiro corto.


Con sorpresa e imbarazzo, si accorge di essere umida tra le gambe. È solo in quel momento che riesce a recuperare il controllo e planare verso il basso.


“Maria, tutto bene? Che cosa sta succedendo?”, urla Hiroshi al comunicatore.
“N-niente”, risponde lei, ansimando. Prende fiato, mentre Amon si allontana, guardandola un’ultima volta e tornando verso la Fortezza delle Scienze.
“Minerva ha… ha perso il controllo… ma ora va tutto bene”


Tutto bene, ripete a se stessa, mentre guarda il demone allontanarsi, con una rabbia crescente verso di lui e il proprio stesso robot.





Nuvole nere coprono l’intera superficie del Kyushu.
Tetsuya si addentra sempre più, col Great Mazinger, in quella che è una cortina che non lascia passare nessuna luce, nessun suono, nessuna comunicazione radio. Forse, nemmeno nessuna speranza.
Tetsuya non si perde d’animo. Via via che avanza, radar e comunicazioni si oscurano del tutto. La scintilla di umanità che ha visto nel Duke Fleed del futuro, si sovrappone ai villaggi e ai centri distrutti nella sanguinosa guerra tra l’Impero Jamatai e le Sette Armate Mikeros. Ai corpi dei mostri macellati e impalati ai pali della luce divelti, come macabri trofei: corpi giganteschi di cui si intravedono solo le sagome nella foschia densa che avvolge l’intera regione.
Il Great Mazinger vi si addentra sempre di più, fino a che non è costretto a una brusca virata.
Una gigantesca montagna appare nella nebbia. Tetsuya trattiene il fiato quando la vede librarsi in aria, circondata da lingue di fuoco che serpeggiano intorno alla sua base, prendendo la forma di giganteschi draghi.
Yamata No Orochi.


“… Daisuke?”


Tutto è silenzio, oltre lo stridere spaventoso dei draghi della corazzata di Himika.


Poi, un mostro Haniwa, una sorta di sinistro pegaso o ki-rin, esce dalla nebbia, con una figura minuscola che si tiene aggrappata alla sua immensa criniera. Tetsuya riconosce subito Flora, la guardia del corpo del futuro Principe di Fleed, e il mostro con cui combatteva.
Ma è nel vedere il disco volante dietro di lei, che trattiene il fiato. In piedi sull’UFO, a braccia incrociate, una sagoma fin troppo familiare. Per quanto nascosto dalle nuvole, Grendizer si erge sullo scenario devastato metri e metri sotto di loro.


Una voce cupa, dal robot.


“Tetsuya”

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Faccio sesso con i robot :-)

Anonimo ha detto...

Sorellina? Ci credo che Jun si è arrabbiata!!
Possibile che a fare sesso in questa storia siano solo i robot!!!

Reika

Anonimo ha detto...

Ma povera Jun, a Tetsuya glielo sbatte letteralmente in faccia e manco se ne accoge rotfl

errante ha detto...

ehi!
il povero tsurugi non è avvezzo a ste cose...
...vi vorrei vedere a voi, dopo un'infanzia di dolore e sacrificio e alienazione alla fortezza...
...mica ci ha avuto una adolescenza normale lui...
...poor tetsuya poor...

p.s. Prima o poi accopperò amon...
...prima o poi nagare o tsurugi lo accopperanno...lo giuro...

Anonimo ha detto...

Seeeeeeeeeeeee come no